C’è da aver paura?

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Gioco a carte scoperte. Come è nella mia natura. E ci gioco dicendo che a me il “grillismo” fa paura. Attenzione: nelle mie amicizie ho sempre valutato come elemento accessorio, quasi inutile le reciproche appartenenze politiche. Ho amici che votano centrodestra; amici che rasentano l’estrema sinistra (all’estrema destra non ci arrivo, lo confesso). E ho anche amici che votano 5stelle. Li conosco e ne riconosco l’intelligenza, l’obiettività. Ovvio che non ho paura del loro voto. A me fanno paura gli altri. Gli acritici. I cultori delle bufale a gogo. Ora se qualcuno di voi avesse la pazienza di leggere ciò che spesso scrivo del PD faticherebbe, non conoscendomi, ad intuire che io milito in quel partito (mentre riconoscerebbe immediatamente la mia fede calcistica). Sono talmente critico che, qualche settimana fa, un onorevole mi ha addirittura “bloccato” nella sua pagina Facebook. Perché dunque il grillismo mi spaventa (mentre ad esempio non mi ha mai spaventato il leghismo?). Perché deve gran parte delle sue fortune non solo o non tanto alla cosiddetta antipolitica (questa è una bufala, una contraddizione in termini: in fondo proprio coloro che sono stati i protagonisti del “vaffaday“, coloro che si vendono come i paladini dell’antipolitica fanno politica) quanto ad un atteggiamo settario e fideistico. Talmente fideistico che il suo fondatore può nell’ordine:
far eleggere il collegio dei probiviri composto da tre membri da scegliere in una rosa di tre candidati tre dando l’illusione di essere davvero fondamentali nella loro scelta;
cambiare e ricambiare, nel giro di 24 ore, la collocazione europea;
permettersi addirittura di proporre una sorta di giuria popolare (peggio che a San Remo) per valutare la correttezza delle notizie giornalistiche (altro che Miniculpop)
Immaginate per un momento se simili cose fossero accadute all’interno di un partito: apriti cielo. A Grillo tutto è permesso. Al limite nel giro di qualche ora, nel suo blog, il bianco diventa nero senza manco passare per il grigio. E tutti vivono felici e contenti.
Ve lo ricordate il mito delle dirette streaming? Si, la convinzione che tutto doveva essere trasparente persino l’incontro con l’allora premier incaricato Bersani? Perché ora i grillini non parlano più di questo? Perché non fanno vedere più in diretta streaming le riunioni dei loro gruppi parlamentari? Forse perché, guardandoli, i loro militanti dovrebbero ammettere che le correnti esistono anche al loro interno? Che esistono le simpatie territoriali? Che insomma alla fine non sono molto diversi dagli altri?
Ecco: io non so se Grillo guardi al suo movimento come ad un movimento di destra. Però indubbiamente rischia di rassomigliarci. E non è un caso che giusto in queste ore alcuni esponenti pentastellati di primissimo piano mostrino di guardare con molta simpatia Trump da un lato e Putin dall’altro (cioè quanto di peggio, temo, potesse vedere l’Ovvidente). Al di là di questo ciò che io so è che questa acriticità dei suoi militanti mi spaventa. Il dissenso interno? Non esiste perché appena emerge, lui e/o Casaleggio jr.,  richiamano all’unita pena l’espulsione immediata (l’avesse fatto Renzi, sai il casino?).
Ma a me il grillismo spaventa anche per un’altra cosa. Ho l’impressione che tragga il suo humus dalla proliferazione delle bufale che stanno sempre più invadendo i social network ed in modo particolare Facebook. Quando Renzi sbagliava un verbo in inglese veniva dileggiato per ogni dove. Quando Di Mario canna un congiuntivo la colpa è della grammatica italiana che i congiuntivi (ancora) li ha. Mettete un sindaco di un altro partito al posto della Raggi. A questa ora avrebbe fatto già le valigie (han cacciato Marino per molto meno in fondo). Persino Pizzarotti vorrebbero far fuori e mi pare che il sindaco di Parma certo non sia peggiore di quello della capitale. Mi fa paura perché magari c’avessero quel sano (si fa per dire) centralismo democratico. No. Altro che “uno vale uno”. Persino un documento di fondamentale importanza come il “non Statuto” viene votato da una minoranza ma diventa comunque fondante per il movimento (immaginate se Bersani fosse stato eletto segretario del PD da qualche migliaio di persone, ne sarebbe uscito delegittimato). Non so se sia un caso o una mia lettura viziata da pregiudizio ma se osservo chi, fra i miei “amici” di Facebook, condivide una bufala riconosco che solitamente si tratta nella maggioranza dei casi di elettori dei cinque stelle, seguono poi gli elettori leghisti. In netta minoranza gli elettori degli altri partiti. E trovo in questo un insano parallelismo con ciò che a me pare essere la natura del movimento di Grillo. Un movimento apparentemente democratico ma in realtà autoreferenziale, monocratico, persino dittatoriale. E a me questo fa davvero paura. Perché è come se ci si affidasse, lungo una ripidissima discesa, ad una auto di cui ignorassimo l’assenza di alcun sistema frenante. È la stessa cosa. Delegittimo,  condivido notizie inesistenti , getto qualunque cosa in quel tritacarne che è Internet e trasformo un movimento (che ha del buono e questo buono sarebbe anche tanto) in un qualcosa che è ad personam. Non solo non rispetto l’avversario (che continua ad essere una delle prime regole della politica) ma lo offendo, lo denigro nella consapevolezza che il mio consenso aumenta con l’aumentare di questo odio collettivo dove l’altro è sempre e comunque brutto, sporco e cattivo. E non mi rendo conto che, così facendo, rischio alla fine che l’odio collettivo aumenti al punto da diventare incontrollabile. Perché questo odio generalizzato, questo vaffa…generalizzato alla fine è alla radice di ogni populismo. E i populismi oggi hanno due vantaggi per chi se ne nutre. Il primo: fanno aumentare i propri consensi. Il secondo: cancellano la coscienza collettiva e, dunque, mi permettono di nascondere le mie incongruenze, le mie contraddizioni, la sterilità delle mie proposte politiche. Che, invece, dovrebbero essere le sole su cui si possa misurare il consenso.