Fratture pericolose

 •  0

By

Ci sono alcune contrapposizioni, tra quelle che dividono la nostra società, che sono meritevoli di particolare attenzione, per il fatto che hanno pesantemente condizionato i risultati del referendum costituzionale, e soprattutto per il fatto che possono essere determinanti, nel prossimo futuro, nell’orientare quote consistenti di voti a favore di formazioni o istanze politiche radicali, aumentando il grado di polarizzazione e rendendo più difficile la formazione di maggioranze di governo.

Parliamo del divario Nord/Sud, della frattura tra periferia e apparato politico – periferia come lontananza dal potere e dai centri di potere politico, ai vari livelli – e della frattura che concerne l’atteggiamento dei cittadini di fronte al fenomeno dell’immigrazione.

Consideriamo la contrapposizione tra il Nord ed il Sud, definita tradizionalmente come divario, ma che va presentando sintomi di radicalizzazione. La mappatura del voto referendario vede il No prevalente in maniera vistosa al Sud; il voto al Sud, secondo le analisi degli istituti di ricerca, ha espresso una forte opposizione politica al governo Renzi, riconducibile ad una massiccia espressione di disagio sociale. Un voto che ha riproposto una antica differenziazione di opportunità e di condizione economica, nei confronti di un Nord anch’esso in difficoltà rispetto a vent’anni fa, ma forse in procinto di ripresa. I settori economico-sociali in cui si avverte maggiore distacco sono diversi a seconda delle diverse regioni messe a confronto ma, guardando la differenziazione nel suo insieme, quello che è da considerare non è solo il divario economico, ma anche il divario civile, cioè gli scarti di opportunità e di accessibilità, la ridotta quantità e qualità di servizi pubblici che alimentano sfiducia generalizzata e protesta.

La seconda frattura è generata dall’avversione nei confronti del sistema politico, vale a dire lo scollamento tra la periferia, intesa come lontananza dal potere, e i centri di potere, che siano nazionali o locali. Una frattura che si è rivelata come un potente fattore di mobilitazione, e che si alimenta di furore moralista, ben incrementato nel tempo da processi mediatici televisivi. Da decenni la lotta politica in Italia si avvale dell’impeto moralistico; si ricordi il mito della “diversità”, con forti richiami morali, per molto tempo vessillo del PCI; si pensi alla Lega degli esordi, con il suo slogan “Roma ladrona”. Una carica moralista, quella della Lega e del M5S, in senso anti-sistema. Ed il M5S, come un tempo la Lega, propone ai cittadini il richiamo dell’alterità, propone il voto alla formazione “altra”, con il suo leader presentato come una sorta di taumaturgo. Una carica moralista di impronta monopolista, nel senso che chi l’attiva se ne propone come unico portatore, alquanto confusa e omnicomprensiva, ma che, basata sul risentimento, e facendo leva sulla voglia di rivalsa, cattura una consistente fetta del voto elettorale.

Un’altra contrapposizione riguarda il fenomeno migratorio. Una frattura tra chi appoggia l’accoglienza in nome di una concezione umanitaria tout court, e chi si professa contrario o critico, anche se sussiste tutta una serie di posizioni intermedie sulle modalità di accoglienza. E’ arduo conoscere il peso che l’avversione alla politica governativa sull’immigrazione ha avuto nell’orientare il voto referendario. Inoltre non sono molti i sondaggi effettuati sull’immigrazione, e per lo più hanno riguardato particolari aspetti. Ricordo il sondaggio, effettuato nel gennaio 2017 dall’IPSOS, sulla creazione dei CIE (Centri di identificazione e espulsione) di dimensioni ridotte, con il 68% di italiani favorevoli, e sull’affido ai migranti di lavori socialmente utili, con il 63% di favorevoli; e il sondaggio Demos&Pi, di febbraio, per cui il 40% degli italiani giudica l’immigrazione un pericolo per la sicurezza. Ma occorrerebbero molti più dati su come gli italiani giudicano la politica governativa nelle sue articolazioni. Ci sono contrarietà diffuse nei confronti dell’attuale tipo di accoglienza che non possono essere sommariamente ascritte ad un atteggiamento xenofobo. Vi sono questioni economiche, sociali e giuridiche che radicalizzano il dibattito su un fenomeno epocale di cui non si conosce la consistenza e la durata: quali tipologie di migranti accogliere, e per quanto tempo? Quali politiche del lavoro attuare? E’ efficace il controllo sull’osservanza delle nostre leggi e sulle sanzioni per i trasgressori? E soprattutto, che impressione hanno i cittadini, che lo stato riesca a controllare la situazione immigratoria, o la stia invece subendo?
A mio avviso occorre passare, nelle ricerche sul fenomeno immigratorio, da un’ottica emergenziale ad un’ottica strutturale. Sembra che sussista il timore di apparire partigiani nel rilevare il giudizio dei cittadini sui criteri dell’accoglienza in atto: se così fosse, sarebbe questo un ulteriore indicatore, in negativo, della faziosità del confronto. E’ da ribadire comunque che la percezione, da parte degli elettori, di quanto il fenomeno immigratorio sia sotto controllo, può essere un fattore di grande influenza sugli orientamenti di voto.