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“Di tutto ciò che l’uomo costruisce ed erige, nulla appare ai miei occhi più bello e più prezioso dei ponti.

Essi sono più importanti delle case, più sacri dei templi, sono il desiderio dell’uomo di unire, di riappacificare e collegare ogni cosa, perché non ci siano divisioni, avversioni ne separazioni”.

Le parole scritte da Ivo Andrić nel suo libro: “Il ponte sulla Drina”, sono quanto di più lontano dal pensiero e dal programma elaborato dalla destra populista francese.

Del resto che cos’ è l’Unione Europea se non uno splendido insieme di ponti che prendono i nomi di Eurozona, Guam, Schengen, Visegrad, EFTA, consiglio nordico, Unione doganale, consiglio d’Europa.

Il problema, per tornare a ciò che sta succedendo in Francia, non sono dunque i ponti, ma coloro che stanno facendo di tutto per distruggerli.

Tra questi, un posto di riguardo lo occupa oggi il Front National guidato da Marine Le Penn.

Le Penn e il suo partito hanno elaborato un programma che con i suoi “144 punti” rischia di mettere in seria difficoltà i partiti tradizionali alle prese con scandali e divisioni poco incoraggianti.

Più decisa la sfidante figlia d’arte, incendiaria quanto basta per procurare il terribile allarme di una devastante distruzione dell’Unione Europea.

Uno dei punti forte del populismo in salsa francese è sicuramente quello economico.

Il Front National, coerentemente con le sue posizioni di forte ostilità nei confronti dell’Unione Europea, propone tra le altre cose l’introduzione di una tassa sulle importazioni.

Una simile tassa dovrebbe servire a finanziare progetti di assunzione per i lavoratori francesi.

Ecco, dunque, in altre parole, il proseguimento delle tesi del nuovo presidente USA, applicate ad uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea con altri e differenti mezzi.

Si tratta, però, di un punto del programma a ben guardare non privo di limiti.

E, infatti, le nuove produzioni francesi rischierebbero di essere meno efficienti e costare di più delle merci importate che sostituirebbero, con il rischio quindi che a parità di lavoro, si possa determinare una quasi contestuale minor produzione.

Per la classe media (quella agiata infatti, negli USA come in Francia continuerà a comprare prodotti di alta gamma a qualsiasi prezzo) il rischio vero è quello di veder ridotto il proprio potere d’acquisto con un quasi inevitabile impoverimento generale.

A lavoro ed economia si aggiunge la stretta anti immigrati per i quali, sempre secondo Le Penn, la ricreazione è finita.

Le ricette del protezionismo e del giro di vite sugli immigrati del lepenismo e di tutti i movimenti ad esso affini, seppur con molti limiti, rispondono al crescente senso di insicurezza che attanaglia molti cittadini europei, i quali potrebbero essere spinti in Francia così come in Olanda e Germania addirittura a premiare chi, attraverso la distruzione dei ponti di cui sopra, fa intravvedere l’illusione di un futuro migliore.

Per evitare un simile risultato non sono più rinviabili scelte decisive a livello europeo che partano, però, da un preciso presupposto condiviso: l’impossibilità di svalutare e la maggior concorrenza attraverso il mercato comune sono le leve per spingere i singoli governi ad affrontare i propri problemi strutturali.

Partendo da questo presupposto il populismo si può poi sconfiggere politicamente con proposte chiare per ridurre le disuguaglianze.

Ad esempio perché non ridurre le imposte sui redditi da lavoro e prevedere una tassazione diversa sui capitali finanziari? Perché non spostare maggiori risorse verso le famiglie giovani? Perché non introdurre una base comune impositiva sulle multinazionali?

Queste politiche di redistribuzione, insieme all’impegno concreto di ridefinire una parte dell’assetto istituzionale dell’Unione, possono essere la chiave per consolidare i ponti faticosamente costruiti dal 1950 ad oggi e segnare così la differenza tra un’Europa che si rinnova e un’Europa senza futuro come quella disegnata dai nuovi populismi.