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Sessant’anni di UNIONE EUROPEA. Non è facile parlarne senza cedere alla retorica. Ma ci si può provare.

Per esempio c’è tra i nostri collaboratori chi ha fatto di LUMINOSI GIORNI un luogo dove si parla con continuità di Europa, credendoci e portando argomenti competenti e qualificati. Si tratta di Bruno Gerolimetto che sta fornendoci un servizio importante e che può e deve lasciare il segno. Lo fa anche su questa stessa pagina oggi. Ogni lettore che se ne accorge segnali perciò questo nostro spazio europeo con il suo passaparola e condividendo tra i suoi contatti. Il tema Europa è sempre più attuale, urgente, decisivo come mai lo è stato nel passato. Quello che lui scrive in occasione del sessantennio lo condivido pienamente. E vorrei rafforzare il concetto.

L’Europa è sugli scudi dunque in questi giorni nel bene e nel male. La celebrazione ufficiale e le manifestazioni pro e contro qualcosa hanno detto. E alcune considerazioni si possono fare.

Per la prima considerazione da cui parto faccio però un passo indietro rispetto alle manifestazioni. Ieri su Repubblica c’era un’inchiesta sull’Europa e sul suo indice di gradimento tra i cittadini, europei s’intende. Tra le varie domande rivolte a cittadini europei (con il ?, ma domande non erano, erano affermazioni da condividere o meno) una, da condividere o meno appunto, suonava così: “ Europa: obiettivo giusto realizzato in modo sbagliato ? “Tra il 60 e il 90 è risultata la percentuale di chi è d’accordo con tale affermazione, che mi pare, mi perdonerà Diamanti e la sua fondazione che hanno condotto l’inchiesta, un tantino tendenziosa, più buona per i mass media, di loro natura provocatori e sensazionalisti, che per una inchiesta seria. I restanti, con percentuali tra il 10 e il 40, probabilmente sono quelli che ritengono l’obiettivo sbagliato in sé stesso, come si dice, a prescindere, figurarsi i mezzi che risultano per forza sbagliati.

E forse una piccola parte, e mi metto tra questi, con l’affermazione non è d’accordo perché ne avrebbe gradita un’altra che non è stata nemmeno posta: “obiettivo giusto, realizzato nell’unico modo, sicuramente imperfetto, con cui fino ad ora l’ha consentito la storia sociale, politica ed economica degli stati che l’hanno voluta o dovuta costituire”. E’ in definitiva il mio un invito a ‘storicizzare’ il processo e a evitare moralismi e perfezionismi per ripartire da quello che c’è e da quel che c’è stato. Perché invece domina una concezione ideologica della politica, da cui per altro nasce l’antipolitica, per la quale dalla politica si pretende una eccellenza che, vorrei essere smentito, mai sì è vista nella storia universale in Europa e nel resto del pianeta. Potessero esserci anche politici eccellenti, rarità vere e proprie, la natura complessa e contraddittoria del terreno in cui operano da sempre smorza e riduce le eccellenze. La storia è infatti andata avanti a strappi, a sbuffi, ad arretramenti a fallimenti, a volte consecutivi. La politica gli è andata dietro, qualche volta al passo, raramente davanti a trainare e a dirigere. Solo in pochi fortunati casi la politica ha lasciato il segno, a volte negativo, qualche volta molto positivo, e guarda caso si è trattato sovente di una politica condotta, nel male e anche nel bene, da “uomini soli al comando” e che non nomino perché sono troppo noti a tutti. Con la democrazia complessa e garantista che conosciamo  in Europa anche solo dal dopoguerra ad oggi segni positivi a tutto tondo non si sono visti se non nei grandi momenti emergenziali ( e su questo in altra occasione bisognerebbe riflettere).

Per l’Europa il processo di unità è anch’esso, e non poteva essere diversamente, stato affidato alla politica ed è avvenuto con questi stessi limiti sopra ricordati che bisogna sempre considerare come tara oggettiva. E ringraziamo iddio che uomini con un certo coraggio e una certa tenacia, il nostro De Gasperi tra questi svariati anni prima della firma del trattato ufficiale, hanno voluto fortemente avviare sesant’anni fa il processo. Che è partito a pochi anni di distanza da una guerra disastrosa, mettendo insieme nel tempo quasi trenta stati diversi per lingua e cultura, alcuni con una storia lunga, alcuni come il nostro e come la Germania giovani, formati da meno di un secolo, un processo compiuto durante e dopo una divisione politica in blocchi contrapposti andata avanti per quasi mezzo secolo e con un divario tra nord e sud del continente ben più marcata allora in partenza di ciò che è adesso. Il processo poi in questo decennio finale è stato pesantemente condizionato da due fenomeni globali di cui l’Europa non è certo la causa, vale a dire la crisi economica e le ondate di profughi.

In un contesto del genere e con queste storie alle spalle pensare che fare l’Europa Unita fosse una passeggiata è stare nel mondo dei sogni o usare l’argomento strumentalmente. Non lo è stata una passeggiata, eppure Bruno Gerolimetto ci ricorda quante cose sono state fatte comunque in sessant’anni con l’Europa unita sul piano dell’integrazione, dei diritti, dello sviluppo. Vuol dire che la politica qualcosa ha prodotto. E’ che, per chi si mette sul pulpito, i risultati raggiunti non bastano mai e sono sempre insufficienti. Curiosa è poi, da parte di questi seduti sugli scranni a pontificare, la pretesa che un processo d’integrazione non sia rigoroso sul piano economico, come se l’economia fosse un corollario e non, com’è invece, l’unica cosa reale che domina le vite di uomini e donne quotidianamente e che determina tutto il resto. Tant’è che nella stessa pagina di LG Lorenzo Colovini ci prefigura la catastrofe che seguirebbe ad un’uscita dell’Italia dall’Euro.

Altra cosa. Le manifestazioni di ieri a Roma ci hanno dato uno spaccato degli umori sull’Europa, soprattutto in Italia. E ci presentano una novità abbastanza sorprendente: la manifestazione autenticamente europeista ha fatto i numeri di tutte la altre messe insieme. Un corteo senza bandiere se non la corona di stelle dorate in campo azzurro. Un popolo non ‘cammellato’ che si è messo in marcia per un’idea da mantenere con tenacia. E’ un segno di grande importanza perché la politica con i suoi limiti e soprattutto quella che continua a voler guidare il processo integrativo la si sostiene nel sociale, nella quotidianità con la cultura diffusa, con la “positività sempre” che quella manifestazione interpretava. Dall’altra parte ci sono stati a manifestare i ‘sovranisti’ di ogni colore e gli “Euro stop”. Vanno considerati con preoccupazione e non sottovalutati perché poi in Italia riguardano almeno il 40% dell’elettorato a cui inoltre aggregare i numeri di quei veterosinistri imbandierati con vessilli tutti rigorosamente di ‘parte’ che hanno sfilato nella ‘finta’ manifestazione a favore dell’Europa. Con credibilità circa una reale volontà e cultura europeista pari a zero. Quando si dice, come loro dicono, di volere un’ “altra Europa” si esprime un giudizio negativo implicito che non considera minimamente tutti i passi fatti nei decenni, pretendendo di ricominciare tutto daccapo fuori da ‘questa’ Europa, l’unica che abbiamo. Ma è una pretesa scopertamente strumentale. Di fatto anche loro sono ‘contro’. Questo essere ‘contro’ in modo così trasversale dai Centri Sociali a Forza Nuova, passando per 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia, è un problema perché il processo integrativo ha bisogno di coesione sociale e di consenso diffuso. Uno dei punti da cui ripartire dovrebbe essere a parer mio proprio quello che risale la china del consenso affidando il processo a forze politiche in grado di svolgere quella promozione nella società che va sotto il nome di “egemonia”. E per farlo dovranno essere forze politiche coordinate tra loro al massimo livello, ben sapendo che una ferma volontà europeista garantisce di per sé di essere dalla parte dei diritti di cittadinanza e delle libertà civili. L’egemonia la si svolge lavorando ad ampio raggio con una logica inclusiva e di connessione dei problemi. In più, proprio a partire dalla giornata dedicata all’Europa, sarà bene non farsi condizionare da chi è ‘contro’ per essere indotti a procedere lentamente e con compromessi; oggi il processo ha bisogno di un’accelerazione per smontare gli scetticismi e chiamandoli con il loro vero nome: egoismi. Per metterli ai margini e renderli ininfluenti. L’accelerazione ha un solo obiettivo davanti a sè, un obiettivo che può essere perseguito utilizzando proprio quell’aggettivo di nuovo conio, l’essere ‘sovranisti’, che gli oppositori si sono autoassegnati per darsi quella dignità che non hanno. “Sovranisti” si, verrebbe da replicare, ma per  l’unica piena e senza concessioni sovranità per cui in questo nuovo millennio vale la pena di spendersi, quella Europea.