Da sempre potere e stampa mica van d’accordo. Il che potrebbe sembrare pure paradossale giacché, a ben pensarci, entrambi hanno uno stesso obiettivo: vendere. Idee, progettualità (non vogliamo pensar male) la prima, copie la seconda. Ed entrambe, specie in questo ultimo trentennio, si muovono attorno ad una stessa cosa da cui dipendono più di quanto esse ammettano: la pubblicità (cosa è in fondo una campagna elettorale se non una più o meno grande campagna…pubblicitaria?).
E’ constatazione fin troppo ovvia riconoscere che mai come proprio in questi ultimi tre decenni la conflittualità tra potere e stampa ha raggiunto livelli così alti. E, badate bene, assolutamente bipartisan: se il Berlusca giunse a fare persino le liste di proscrizione, non è che il baffino (D’Alema intendo) fosse poi così tenero coi mezzi di comunicazione di massa (tranne quando il solo intervistato era lui e possibilmente senza nemmeno contraddittorio). Ed in fondo pure Renzi talvolta non ci e’ andato leggero.
Eppure, in questo cortocircuito, un politico continua a fare carte false per una ventina di righe in quindicesima pagina o una manciata di secondi di riprese televisive. Se poi ci scappa l’articolo di spalla in prima o addirittura (summa laude) l’intervista nel tiggi della sera la goduria è incontenibile. E se un giornalista strappa l’esclusiva, da il buco alla concorrenza la goduria e la stessa. Prendete tutto questo è rimpicciolitelo, passate dal generale al particolare, dal nazionale al locale e il conflitto aumenta enormemente. E continua ad essere bipartisan: non è che Cacciari fosse particolarmente tenero coi giornalisti. Anzi! Molti cronisti potrebbero scrivere interi racconti sulle sue memorabili sfuriate (l’uomo è sanguigno benché sia un filosofo…ma solitamente non v’è categoria più sanguigna, fumantina, irruenta degli intellettuali).
E non conta il mezzo. È una balla colossale quella secondo cui la carta stampata è temibile perché poi il giornalista “scrive quel che vuole”. Basta un frame in meno, un montaggio particolare e la (presunta) manipolazione della informazione è bella che servita pure in televisione. E dunque in questa contraddizione, in questa sorta di odi et amo giornalista vs. politico vs. giornalista si consumano conflitti su conflitti.
Un terreno di “lotta” particolarmente evidente proprio a livello locale: perché l’ambito dei destinatari è circoscritto, limitato e le sensibilità aumentano. Specialmente in terra veneziana dove storicamente le due testate locali vivono in una contrapposizione su cui giocano anche le presunte diverse (ora ridottissime) appartenenze politiche: l’uno percepito come conservatore (pressoché tutti i parroci lo leggono ancora ) , l’altro espressione invece di un progressismo operaista. L’uno considerato molto vicino alla DC, l’altro al PCI.
Se poi ci si mette di mezzo un sindaco molto poco politically correct le cose si complicano. Un sindaco sanguigno e diretto insomma come è il sindaco Brugnaro, quello del te speto fora rivolto ad uno studente (che poi nulla di minaccioso avevano quelle parole trattandosi invece di un invito a ritrovarsi in separata sede per continuare il confronto). Quello che mescola (volutamente) dialetto e italiano perché così la ggente lo sente più vicino. Quello che gioca con l’accento, con le vocali trascinate e aperte proprio come noi che veniamo dalla campagna. Una differenza abissale, insomma, con chi lo ha preceduto. Con gli Orsoni e i Costa in particolare – meno con il Cacciari de i “cittadini sono rompicoglioni” ( che poi chiunque abbia avuto un minimo di esperienza amministrativa difficilmente da del tutto torto al sindaco barbuto) – e che lo rende un (quasi) unicuum nel panorama politico veneziano.
C’e poi, in questo conflitto, un ulteriore elemento che esula dall’aspetto prettamente caratteriale ed è cioè l’idea, nel politico, che la verità sia tutta da una parte e che il “ruolo” automaticamente porti una sorta di evangelica referenzialita che rende insopportabili le critiche perché viste come reazionarie, di parte. Dall’altra c’è un analogo sentimento di superiorità in taluni esponenti dei mass media che non colgono o che non hanno strumenti per capire, nella fattispecie, ciò che rappresenta Brugnaro. E che spesso lo dileggiano, ci ironizzano sopra perché è più facile così che sforzarsi di capire le ragioni che hanno portato Venezia a questa amministrazione.
In questa conflittualità dunque il colpo di genio, le coup du theatre: Brugnaro decide di concedere una intervista (“televisiva”) a tutto tondo non ad un quotidiano o ad un altro emittente. No: la concede a “Lo Schitto” un giornale satirico nato proprio a ridosso della campagna elettorale veneziana. Qui gioco a carte scoperte: la più parte di quanti hanno inventato “lo Schitto” sono cari (ma proprio cari) amici di chi scrive. Con alcuni abbiamo anche condiviso un tratto di strada professionale. Per’altro ancora adesso guardo con affetto ad uno dei due quotidiani locali veneziani ( quello piccolino giusto per non far pubblicità) perché ci ho lavorato per quasi 12 anni. Detto questo (è dunque caricatomi sulle spalle la mia buona dose di partigianeria) quella di Brugnaro è stata una scelta di altissimo impatto. Politicamente pesantissima. Perché scardina il rituale – a domanda rispondo (spesso non rispondendo veramente ma sviando l’interlocutore e portandolo in tutt’altra direzione), cui in troppi erano abituati.
Brugnaro sovverte le regole, le consuetudini. Scardina le convinzioni e le prassi. Nel riconoscere “Lo Schitto” il solo mezzo di comunicazione a lui consono, Brugnaro rovescia tutto: la satira è populista, io sono populista e i nostri populismi si incontrano (occhio: uso il termine populismo in accezione neutra!) in una sit comedy dove il sindaco è libero di parlare di tutto, di ironizzare sulla opposizione, di rilanciare le proprie progettualità. E con un contraddittorio che mostra (ma è una messinscena) di essere accomodante quando invece il tono di voce, le domande, i sorrisi, le provocazioni sono tutt’altro che comprimarie. Quello de “Lo Schitto” è, cioè, vero e autentico giornalismo. Canzonatorio, beffardo, ironico ma è vero giornalismo. Una sorta, insomma, di metalinguaggio che rovescia i rituali triti e ritriti. Un contropotere che si svolge lungo un canovaccio che, dunque, è assolutamente in linea con ciò che Brugnaro immagina di rappresentare. Seguitemi: se io penso di essere l’autenticamente nuovo, se voglio scardinare tutto ciò che c’era prima, se solo io, in un certo senso, penso di possedere la verità (e guardate che questa è una caratteristica che praticamente tutti i politici pensano di avere: provate a pensare ad un politico cui avete sentito dare ragione ad un avversario) non posso che fare esattamente il contrario di ciò che tutti i miei predecessori hanno fatto. Chi erano i loro interlocutori? I partiti. I miei sono i cittadini perché la mia coalizione “sono io“. Quali canali comunicativi usavano? Televisione e stampa. La prima magari la riconosco ma la stampa non la considero più, Meglio: la considero asservita alla opposizione e dunque le impartisco una lezione. Non solo non la considero ma, paradossalmente, mi rivolgo al suo esatto contrario: la stampa dovrebbe essere portatrice della verità mentre la satira gioca con la verità e dunque io gioco con la satira! E poiché giocando con la verità, la satira è portatrice di verità (ve lo ricordate quel Hanno la faccia come il culo di un Cuore di qualche decennio fa?) io “usando” la satira porto la mia verità. Insomma: assistiamo ad un gigantesco, contemporaneo, gioco delle parti. Con i giornali costretti a rilanciare i contenuti dell’intervista a Brugnaro citando un giornale satirico come fonte. Il massimo se ci pensate bene! Cuore aveva una rubrica in cui sfanculava i giornali. Oggi i giornali usano la satira come fonte! Si, Brugnaro è un genio. E quelli de Lo Schitto di più.
E la stampa locale? Fa buon viso a cattivo gioco. Lo fa perché mostra inesorabilmente un limite di analisi culturale, sociologica, politica. Brugnaro non è una macchietta. Non è un provincialotto. Non è un contadinaccio. Non è qualcuno da trattare con superficialità perché viene dalla campagna (lo so è la mia fissa). È uomo intelligente. È uomo che ha saputo leggere la pancia della gente adeguandovisi perché in fondo quella pancia è anche la sua. E facendo così ha saputo vincere le elezioni. Contro tutto e tutti. Contro anche le ottimistiche previsioni dei mezzi di comunicazione.
Vi è chi sostiene che se al posto di Casson, il centrosinistra avesse scelto Pellicani probabilmente Brugnaro non avrebbe corso. O se la sarebbero giocata davvero. E che mestiere fa(ceva) Pellicani? il giornalista guarda caso.

Vive da sempre nella terraferma veneziana. Per cinque anni è stato Vicesindaco (con delega alle politiche culturali e turistiche) del comune di Mira. Laureato (cum laude) in Lettere a Padova ha collaborato per oltre un decennio coi quotidiani del gruppo editoriale Finegil (La Nuova Venezia, Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso), con La Repubblica e con Gente Veneta. Si occupa di gestione del personale e della sicurezza presso alcuni musei veneziani. Nel tempo libero ama la montagna e le immersioni subacquee.