Dall’Energy Independence Order con cui Donald Trump getta nel cestino la politica ambientalista di Obama è passato un mese e le notizie dal mondo ce lo hanno fatto dimenticare in fretta. Giova invece ritornare sull’argomento visto il grave impatto sulle future generazioni.
Quanto the Donald tenga all’ambiente si era capito quando ha messo a capo dell’Environmental Protection Agency un tale Scott Pruit, eroe delle compagnie petrolifere dell’Oklahoma e ferreo oppositore della politica ambientalista di Obama. Più o meno come nominare Dracula presidente dell’AVIS (e non mi riferisco a quelli dell’autonoleggio). Purtroppo le promesse in campagna elettorale a minatori e operai del settore carbon-fossile erano chiare. L’Energy Independence Order non è dunque giunto inaspettato. Ma colpisce la capillarità dell’intervento legislativo: revoca del Clean Power Plan che imponeva limiti alle emissioni di anidride carbonica alle centrali termoelettriche (ora totalmente cancellati), abolizione della Valutazione di Impatto Ambientale per le opere infrastrutturali e libertà totale di trivellazione ovunque.
Si diceva, una mossa non inaspettata ma non per questo meno esecrabile. Politicamente, moralmente e per giunta sbagliata nella prospettiva tecnologica e assai discutibile circa le reali ricadute economiche. Vediamo perché.
Dal punto di vista politico, Trump cancella di fatto l’adesione americana agli accordi di Parigi sul cambiamento climatico. Una superpotenza che cancella unilateralmente con un colpo di penna degli accordi internazionali lungamente e duramente negoziati è un colpo mortale alla credibilità e alla onorabilità di uno Stato e un vulnus gravissimo alla credibilità di qualsiasi trattato internazionale sottoscritto da qui in avanti. Tanto per capirsi, l’altro gigante inquinatore, la Cina, che ha pure sottoscritto l’accordo, potrebbe rimangiarselo tranquillamente senza che nessuno possa alzare la voce.
Sul piano morale, l’Energy Independence Order è a tutti gli effetti un atto criminale. Perché la correlazione tra il global warming e le emissioni di anidride carbonica è un’evidenza riconosciuta da tutta la comunità internazionale sulla base di prove scientifiche schiaccianti. Negarlo ormai è come contestare la legge di gravità. Quindi il “I’am not a big believer in global warming” di Trump non è ottusità, è peggio: ipocrisia. Perché Trump al global warming non è che non creda ma, semplicemente, se ne frega. E il suo messaggio, neppure troppo implicito, alle future generazioni è dunque “cari figli dei nostri figli, io me ne infischio dell’obbligo morale di lasciarvi in eredità un ambiente vivibile. Tanto, per il tempo che a questa generazione è dato di vivere, la Terra magari acciaccata sopravvivrà e chi verrà dopo di noi si fotta pure”. Che è poi come un padre che dilapidi in vizi e lussi superflui il patrimonio di famiglia accumulato da generazioni lasciando, alla sua morte, i figli sul lastrico.
Quanto al business, quello delle energie fossili ha da anni le ali tarpate dal crollo del prezzo del greggio provocato dall’Arabia Saudita. Questa infatti ha inondato il mercato con la sua produzione per togliere margini di manovra al nemico Iran, a cui estrarre greggio costa di più che agli arabi perché ha giacimenti più in profondità. Né l’indipendenza energetica americana, ufficialmente l’obiettivo primario di Trump (perché tema di forte presa sugli elettori) è assolutamente in discussione. Non lo è da anni, da quando gli USA hanno sviluppato la tecnologia del tracking da cui ricavare il cosiddetto shale gas dalle rocce.
Infine, il rinnovato interesse per le energie fossili è drammaticamente anacronistico. Un po’ come mettere in piedi una fabbrica di lampade a gas mentre scoprono l’energia elettrica. La tecnologia sta facendo passi da gigante nello sfruttamento delle energie rinnovabili e nella tecnica dello storage che a questo è fortemente legato. È un processo in atto in tutte le nazioni avanzate tanto che quasi tutti gli Stati USA stavano rispettando gli obiettivi di contenimento delle emissioni fissati da Obama senza particolari difficoltà. Un processo virtuoso che adesso negli USA viene colpito al cuore rimettendo indietro le lancette della storia.
Di fronte a questo disastro, viene naturale chiedersi come diamine hanno fatto gli americani a portare alla Casa Bianca un tanghero simile, questo dilettante allo sbaraglio. Chissà come hanno fatto davvero. Ma prima di cominciare a coltivare sentimenti di superiorità verso gli amici yankees ricordiamoci che dopo le prossime elezioni gli italiani potrebbero aver messo a Palazzo Chigi un Di Maio o un De Battista. Quanto a dilettanti allo sbaraglio neppure noi scherziamo…

Nato a Venezia, vi ha sempre risieduto. Sposato con una veneziana, ha due figli gemelli. Ingegnere elettrotecnico, ha lavorato all’Enel dal 1987 al 2022, è stato Responsabile della distribuzione elettrica della Zona di Venezia e poi ha svolto attività di International Business Development Manager, lavoro che lo ha portato a passare molto tempo all’estero. È stato presidente del Comitato Venezia Città Metropolitana, esponente di Venezia Una&Unica. È in pensione dal 2022