Ora vi prego, ditemi se sono un inguaribile ingenuo. Nella mia grettezza le cose funzionano in questo modo: un lavoratore viene assunto da una azienda perché ha determinate competenze che a quella azienda servono (lasciamo perdere la questione delle raccomandazioni che’ in una azienda, specialmente medio piccola, valgono nulla un po’ come quando Montananelli scriveva oggi hanno assunto in Rai tre giornalisti: un democristiano, un socialista ed uno…bravo). Certo: essere bravi a giocare a calcetto può pure aiutare.
Chiaro sino a qua? Bene. Nel corso della sua esperienza professionale un lavoratore può, di sua sponte (perché magari vuole implementare i propri saperi e dunque valorizzarsi ulteriormente sul mercato del lavoro) oppure perché è la sua azienda a chiederglielo, arricchire ulteriormente il suo curriculum.
Chiaro sino a qua? Bene. Nel primo caso a me pare assolutamente normale che questo lavoratore informi la propria azienda di qualunque modifica (in positivo) ha conosciuto il proprio curriculum. La trovate logica questa mia convinzione? E periodicamente a me pare normale che l’azienda possa chiedere lei stessa ai propri dipendenti se i loro curricula sono aggiornati rispetto a quanto è in suo possesso. Pare normale anche a voi? Si? Bene: continuate a leggere questo pezzullo . No? Chiudete tutto e fate qualunque cosa vi sembri migliore (portare a spasso il cane, giocare a tresette col morto, rimanere spaparanzati sul divano).
Ora facciamo un piccolo passo in avanti. Ebbene: nella mia ingenuità ho sempre pensato che tra i compiti delle organizzazioni sindacali vi fosse anche quello di stimolare i propri iscritti a migliorarsi, a valorizzarsi anche al fine di vedersi maggiormente tutelati rispetto ad esuberi, riorganizzazioni, cessioni aziendali. Ebbene: se mi state giudicando un ingenuo aspettate ancora un poco perché la mia ingenuità probabilmente è molto maggiore di quanto vi appaia.
Accade questo: una azienda chiede ai suoi dipendenti di comunicare eventuali migliorie dei propri curricula. Fossi uno di questi lavoratori non mi farei scappare l’occasione: oddio ho inserito il mio brevetto sub? E quella piccola qualifica in inglese elementare quasi a livello zero la inserisco? Il fatto che aiuto una anziana ad attraversare le strisce pedonali migliora la percezione di me da parte del mio datore di lavoro? A parte gli scherzi: se ho a che fare con un lavoro che mi mette in contatto con migliaia di visitatori – ad esempio, chesso’, faccio il bigliettaio all’Actv oppure sono il tipo che lega il vaporetto all’ormeggio lanciando la corda e fissandola (che poi è uno dei lavori che mi affascina di più e non ne capisco il motivo) e decido di fare un corso sul “problem solving” oppure sulla “tecnica di riduzione dei conflitti” (a proposito: son mica i fondamenti di quella che Eco chiamava la “Facoltà di Irrilevanza Comparata” dove la materia più ostica era la “tetrapiloctomia” ovvero l’arte di tagliare il capello in quattro….’sti corsi esistono davvero, io me li son sorbiti) ovvio che alla mia azienda farebbe comodo saperlo, no?
Ed invece ecco spuntare una organizzazione sindacale che informa i propri iscritti che questa richiesta, se proviene dalla loro azienda, non è obbligatoria e che dunque loro possono anche non dire nulla, Ma perché? Non lo capisco. Non è un “consiglio” che alla fine rischia di danneggiare i lavoratori?
Facciamo una ipotesi: lavoro in una grande azienda il cui core business sta tutto in Europa. Questa azienda entra in crisi e per uscirne prova ad espandersi sul mercato asiatico. Ma ha un problema: nessuno dei suoi commerciali parla il cinese, il giapponese al limite l’utzbeko. Come lo sa? Semplice: prende in mano i loro curricula da cui si evince che nessuno lo parla. Proprio nessuno? No: in realtà il signor Rossi (lo so non ho fantasia) il giapponese lo parla. Lo ha studiato per conto suo (perché vi chiedete? Ma saran fatti suoi no? Che lettori pettegoli che ho!). Ma c’è un problema: l’organizzazione sindacale cui è iscritto gli ha detto che lui può benissimo non dirlo alla azienda. E lui non lo ha detto. Risultato? Anche il signor Rossi rischia di rimanersene a casa. Perché l’azienda deve rifondare il settore commerciale assumendo persone che siano in grado di supportarla in questa nuova fase. Vi sembra un paradosso? A me no.
E allora mi chiedo: ma perché una simile posizione? Ma come? Hai la possibilità di vedere i tuoi iscritti maggiormente qualificati e tu dici loro di non farlo? Meglio: siccome sei “furba” dici loro che non sono tenuti a farlo dunque di fatto scarichi su di loro il peso della scelta. Non li consigli. Non li orienti. Lasci che siano loro a decidere e tu semplicemente spieghi loro che dire no è un loro diritto. E poi magari sei esattamente la stessa organizzazione sindacale che …ecco, la fuga dei cervelli, ecco, la mancata meritocrazia“!
Ve l’ho detto che sono un ingenuo vero? E allora lasciate che io naufraghi nella mia ingenuità. Perché è perfino lapalissiano che questo nostro (bel) Paese deve lottare, reagire al declino cui le precedenti generazioni lo hanno condotto. In cui lo hanno condotto le tante organizzazioni sociali, i “corpi intermedi” che hanno abdicato al loro ruolo. Ecco perché è inutile riformare questo nostro Paese se prima non riformiamo qualche testa. Qualche? Beh…più d’una a dir la verità.

Vive da sempre nella terraferma veneziana. Per cinque anni è stato Vicesindaco (con delega alle politiche culturali e turistiche) del comune di Mira. Laureato (cum laude) in Lettere a Padova ha collaborato per oltre un decennio coi quotidiani del gruppo editoriale Finegil (La Nuova Venezia, Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso), con La Repubblica e con Gente Veneta. Si occupa di gestione del personale e della sicurezza presso alcuni musei veneziani. Nel tempo libero ama la montagna e le immersioni subacquee.