By

Parliamo di quelle del PD perché degli altri non ce n’è traccia e semmai da quei fronti arrivano solo critiche e sofismi.

Perché la democrazia passa anche da qui, da questo che molti dei critici da tastiera definiscono “un rito stanco e ripetitivo”. Anche se poi devono sorprendersi dell’affluenza e giù allora a confrontare il 2013 (2,8 Milioni) con quelle di oggi, con circa 2 Milioni di votanti: un’altra stagione politica e un altro contesto.

Non c’era stata la sconfitta del Referendum del 4 Dicembre e i “fuoriusciti” non se n’erano ancora andati.

Perché poi bisogna allora star lì a fare le pulci alla qualità del voto: troppo di centro, troppo di destra, troppo poco di sinistra. Senza accorgersi che la politica è cambiata, che è sempre meno ideologizzata, fatta sempre meno di schieramento pregiudiziale.

Sì è vero che esistono ancora i pasdaran, di tutti i colori e quelli del M5S sono i più accaniti e i più ottusi, e lo sono perché appartengono a quella cultura della protesta come cifra politica, della contestazione a prescindere, del populismo s-fascista, dell’oscurantismo e dell’anti scientificità.

Ma l’evoluzione non si arresta e gli esempi in giro per il Mondo, e in Europa in particolare, si sprecano: vogliamo parlare di Trump (ancora!?) o di Macron in Francia? Solo per restare attaccati alla realtà dei fatti recenti.

E’ evidente, nessuno lo nega, Renzi fra i primi, che non tutto va per il verso giusto, che molte sono le storture da rimediare, che le differenze diventano ogni giorno più marcate e più difficilmente tollerabili.

Ma c’è un disegno politico che sorregge una volontà a cambiare le cose, a far sì che, cominciando dall’Italia e dall’Europa, madre di tutte le battaglie, si possa invertire la tendenza di un’assenza della Politica, il perdurare di un’economia asfittica e regressiva. Che non genera reddito diffuso, che si disarticola in mille rivoli e non riconosce la diversità dei lavori, non valorizza i meriti, non crea opportunità per le nuove generazioni, non sorregge le famiglie, non accoglie, come sarebbe persino economicamente vantaggioso, i flussi di migranti che cercano nuove opportunità e una nuova Patria.

E questo disegno è fatto di idee, di proposte, di provvedimenti che prescindono dall’ideologia, si materializzano nelle scelte concrete, misurano i costi e i benefici, allargano la platea dei destinatari, incidono nella vita di tutti i giorni, si misurano con la realtà delle cose.

Si compiono delle scelte che cercano di conquistare il gradimento dei più, ma non di tutti, perché altrimenti non sarebbero scelte e si finirebbe nella palude della politica politicata e non nella sfera virtuosa del governo dei fenomeni economici e sociali.

Arrivano consensi trasversali? Dov’è lo scandalo? Se la politica è l’arte del compromesso un Partito, una classe dirigente che si definisca tale, deve essere in grado di raccogliere il maggior numero di consensi possibili, anche perché altrimenti con quali numeri si dovrebbe governare?

Con il proporzionale puro che ci ricaccia, questo sì, indietro di 20 anni alle “buone pratiche” della prima Repubblica?

Ma guarda caso i maggiori detrattori di queste primarie e del successo incontrovertibile di Matteo Renzi – che indefessamente continuano a provare a delegittimare in tutti i modi, nonostante i numeri di questa partecipazione così popolare e così democratica – sono schierati come pelle di leopardo su quella ipotesi elettorale: frenare, sopire, troncare ogni velleitĂ  di innovazione, nei metodi e nella sostanza.

Per continuare a lucrare una rendita di posizione che garantisca posto, prebende e un reddito (personale)