Dunque anche quest’anno una pletora di giovani studenti e relative famiglie dopo aver passato tutti gli open day possibili, aver trovato – di domenica – più scuole aperte che centri commerciali e magari passato qualche serata con gli inevitabili spettacoli teatrali che rientrano (immancabili! qua siam tutti attori che credete?) nei POF di istituti di varia natura hanno finalmente scelto a quale scuola iscrivere il proprio pargolo. Chi scrive si è diplomato al Liceo Scientifico (che buffo, il mio IPad ha scritto ascientifico . – giuro – forse mi conosce meglio di quanto io conosca lui) da cui se ne è uscito con un cursus honorum senza infamia ne lode . No, dai siam sinceri: ne sono uscito (ragionevolmente) bene perché credo di essere stato il solo e unico maturando a portare agli orali italiano come prima scelta e storia come seconda (ai miei tempi le materie le sceglievi esattamente come negli USA scelgono i giocatori di basket). E il mio prof. di matematica ha certamente commosso i commissari che hanno accettato questa scelta: in fondo ne andava anche della sua professionalità. E però tornassi indietro mi iscriverei al Liceo ma virerei senza dubbio verso il classico (qualche volta l’entropia me la sogno ancora la notte).
Orbene: oggi a leggere i giornali pare si confermi l’aumento di iscrizioni ai Licei. A tutti i Licei che’ in Italia abbiam più specializzazioni liceali che la Belen scarpe con tacco 12.
Ma questa pletora di possibili liceali è un bene o un male?
Anche perché a questo dato non posso che affiancarne altri due. Intanto quello della dispersione scolastica: oggi in Italia quasi un giovane su tre non consegue una istruzione superiore. E se pensate che il fenomeno riguardi in particolare l’Italia meridionale, vi sbagliate di grosso: nella ricca Lombardia ben il 29.9% dei ragazzi non finisce la scuola superiore (dato ricavato da Tuttoscuola). Poi quello dei laureati: in Italia solo il 26% di giovani tra i 30 e i 34 anni è laureato. Il che ci fa essere al penultimo posto in Europa. Peggio di noi fa solo la Romania. E dire che l’Europa ci chiederebbe di raggiungere, entro il 2020 (fra tre anni!) , quota 40% di laureati (va beh che a noi le scadenze non è che ci preoccupino: c’è stato chi, a dicembre, ci aveva garantito che entro sei mesi sei avremmo avuto una nuova costituzione e per di più anche una nuova legge elettorale).
E dunque torna la domanda iniziale: ma questa pletora di liceali è un bene o un male tenuto anche conto del bassissimo tasso di laureati?
Certo, messa così, la questione apre le porte a tutte quelle balle sulla vocazione, sul lasciar fare ai ragazzi quello che si sentono, sulle inclinazioni individuali etc.etc. Resta il fatto che a me questo dato suona come la più evidente spia del declino industriale (e dunque economico) del nostro Paese. Cosa è accaduto nel territorio veneziano? Che allo sviluppo di Porto Marghera si è accostata la nascita di due istituti tecnici come Pacinotti (nato nel 1941) e Zuccante (nato nel 1969). Insomma i nostri nonni avevano capito l’ovvietà: inutile avere un sito produttivo (allora) di importanza internazionale se accanto non ci si preoccupa di formare manodopera. E guardate che mica è vero che i ragazzi italiani preferiscano le facoltà umanistiche: i dati Ocse ci dicono che il 40% dei giovani universitari italiani si laurea in materie scientifiche, come la Germania (la media europea si attesta al 37%) e molto al di sopra degli Usa (26.8%).
Ma se paradossalmente gli istituti tecnici sparissero? Non passa giorno che artigiani, piccoli e medi industriali si lamentino per la difficoltà di trovare manodopera specializzata; che i mass media ci informino sulle professioni del futuro, gran parte delle quali non prevedono una formazione universitaria. Eppure stiamo perdendo per strada l’industria, specialmente quella manifatturiera, e dunque anche quella manodopera specializzata che ha contribuito non poco a proiettare l’Italia fra i paesi più industrializzati al mondo.
Insomma: non si può concretamente ridefinire la vocazione industriale del nostro Paese, se non ci si rende conto che oltre a bravi ingegneri (per fare un esempio) servono anche bravi e formati operai. Perché altrimenti, al solito, siamo il cane che si morde la coda: esaltiamo i licei, puntiamo alla formazione universitaria e poi ci lamentiamo che i giovani fuggono all’estero per lavorare (anche qui un dato interessante: a 12 mesi dalla laurea risulta occupato, e in Italia, quasi il 78% dei laureati in discipline scientifiche ma di questi il 59% è occupato nel settore dei servizi e “solo” il 38% nell’industria).
Occorre anche in questo caso una rivoluzione copernicana nel nostro modo di vedere e dunque progettare il futuro. A cominciare dalla scuola dove ancora scarse sembrano efficaci politiche di orientamento e dove, probabilmente, a 13 anni è difficile che un ragazzino possa davvero sapere cosa farà da grande.
E se spostassimo di un paio d’anni in là la risposta a questa domanda?

Vive da sempre nella terraferma veneziana. Per cinque anni è stato Vicesindaco (con delega alle politiche culturali e turistiche) del comune di Mira. Laureato (cum laude) in Lettere a Padova ha collaborato per oltre un decennio coi quotidiani del gruppo editoriale Finegil (La Nuova Venezia, Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso), con La Repubblica e con Gente Veneta. Si occupa di gestione del personale e della sicurezza presso alcuni musei veneziani. Nel tempo libero ama la montagna e le immersioni subacquee.