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Secondo le conclusioni rassegnate dall’Avvocato Generale Eleanor Sharpston, responsabile della richiesta di asilo non deve essere il primo Paese UE raggiunto ma il Paese in cui tale richiesta è stata effettivamente presentata.

Se queste conclusioni dovessero essere accolte nella sentenza della Corte di Giustizia UE (come molto spesso avviene), si tratterebbe davvero di una grande novità, capace di mettere in discussione il principio di Dublino III in base al quale, la richiesta di asilo deve essere presentata nel primo Paese UE raggiunto per chi è entrato clandestinamente.

La vicenda giudiziaria prende avvio da due casi, quello di un cittadino siriano è quello di due sorelle afghane.

Nel primo caso, causa C-490/16 il cittadino siriano è giunto in Slovenia dove ha presentato la richiesta di asilo dopo essere transitato per la Croazia, nel secondo caso, C-646/16, le due sorelle hanno presentato richiesta di asilo in Austria dopo essere transitate per Grecia e Croazia.

Due sono le ragioni per le quali l’Avvocato Generale ha messo in discussione il principio di Dublino III.

La prima, è che non si può parlare di attraversamento clandestino davanti a flussi massicci di persone che chiedono protezione all’interno dell’Unione.

In altre parole, per l’Avvocato Generale le parole «attraversamento clandestino» nel regolamento Dublino III non sono applicabili a una situazione in cui, a seguito di un afflusso di massa di persone in Stati membri di frontiera, questi ultimi hanno consentito a cittadini di Paesi terzi di entrare e di transitare nel proprio territorio per raggiungere altri Stati membri”.

La seconda ragione, riguarda il fatto che se gli Stati membri di confine, come la Croazia, fossero ritenuti competenti a gestire numeri molto consistenti di richieste di asilo, vi sarebbe il rischio che semplicemente, questi Paesi, non potranno essere nelle condizioni di gestire tali situazioni, compromettendo così in termini più generali il diritto di asilo.

Gli Stati membri, diventerebbero incapaci di ottemperare ai propri obblighi discendenti dal diritto dell’Unione europea e dal diritto internazionale.

Nei due casi citati, per l’Avvocato Generale, dovranno essere quindi Austria e Slovenia a farsi carico delle richieste avanzate dai dei casi citati, nonostante siano giunti in modo non regolare nei due Paesi.

Dalle stesse conclusioni dell’Avvocato Generale, discende anche l’affermazione secondo cui è necessario adottare misure di maggior condivisione degli oneri da sostenere per affrontare situazioni di crisi eccezionali.

Una simile conclusione sembra chiamare in causa in particolare gli Stati dell’Est Europa che, ad oggi, hanno rifiutato anche la proposta avanzata dalla Commissione UE relativa a meccanismi semi-automatici di ridistribuzione dei soggetti che richiedono asilo.

Tuttavia, l’orientamento espresso dall’Avvocato Generale non sembra nemmeno avallare l’altra proposta in tema di migranti avanzata da Malta sull’introduzione di una sorta di solidarietà flessibile che permetterebbe agli Stati di sostituire la metà dei posti di accoglienza pagando circa 60 mila Euro a richiedente asilo rifiutato.

Ciò che è interessante delle conclusioni raggiunte dall’Avvocato Generale nei due casi citati, è ancora una volta il tentativo di affermare che il modo migliore per rispondere alle sfide che l’Unione Europea sta affrontando è quello di farlo insieme, così come già ribadito da Mario Draghi nel suo bel discorso in occasione del Premio De Gasperi del 2016.

In quell’occasione, Mario Draghi ricordava che, in termini pratici la strada da seguire per realizzare progetti comuni è quella di riscoprire lo spirito che ha permesso a pochi grandi leader, in condizioni ben più difficili di quelle odierne, di vincere le diffidenze reciproche e riuscire insieme anziché fallire da soli.

È senz’altro questo lo spirito da seguire in tema di migranti e dal punto di vista giuridico le sentenze che verranno emesse potrebbero aprire la strada ad un cambio di prospettiva importante, anche da parte degli stessi organi Ue, rispetto all’applicazione del Regolamento di Dublino.

Da ultimo, e sempre in ottica pragmatica è interessante ricordare il caso italiano di Riace, centro spopolato del meridione italiano, che nel tempo ha concesso ospitalità a oltre seimila richiedenti asilo di venti azioni diverse, integrandoli e inserendoli nel tessuto cittadino.

È chiaro che si tratta di un caso, ma in termini più generali all’Unione Europea e all’Italia in testa non resta che applicare in chiave contemporanea gli elementi giuridici che, già i Romani ben conoscevano quando crearono l’unita mediterranea, non solo con la forza ma soprattutto con attente e graduali politiche di inclusione (socii, foederati, cives) da cui il termine oggi più che mai moderno di ius hospitalitatis migrationis.