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Premetto che a me i TAR stanno simpatici quanto un goal del Padova nel derby col Venezia. E idem la Consulta. Perché la giustizia amministrativa nel nostro Paese ha funzionato e funziona come freno a qualsiasi istanza riformista. Lo può fare grazie ad un eccesso di leggi, sovente contradditorie tra loro e così criptiche che sembrano scritte dall’oracolo di Delfi. Tanto per citare un caso che ci interessa da vicino, basti pensare al casino allucinante del conflitto tra la Legge Delrio e la LR 25/1992 che sottende il tema del referendum sulla separazione del Comune di Venezia.

Umanamente quindi capisco la stizza di Renzi e del Ministro dei Beni Culturali  (Mibact) Franceschini per la recente sentenza del TAR del Lazio che, a seguito del ricorso di alcuni non vincitori del Bando, ha annullato le nomine dei direttori stranieri di alcuni Musei di interesse nazionale. Nomine fortemente volute dal Ministro con un’operazione all’epoca molto orgogliosamente sbandierata e, va detto, molto apprezzabile per il tentativo (riuscito) di sprovincializzarsi e di selezionare il meglio del mercato internazionale.

Il TAR ha dato ragione ai ricorrenti per alcuni vizi di forma sulla trasparenza della procedura ed in particolare sul fatto che i colloqui si sarebbero tenuti “a porte chiuse” mentre le prove orali avrebbero dovuto tenersi in locali accessibili a chiunque. Il Mibact ribatte che non è vero e che i colloqui comunque sono stati registrati e agli atti. Insomma, siamo al “la mia parola contro la tua”.

È molto più facile capirci qualcosa sull’altra motivazione della sentenza (che ha avuto molta più eco) ovvero l’inammissibilità dei concorrenti stranieri. Questo in base ad un preciso disposto di legge (art. 38 del D.Lgs n. 165 del 2001).

Su questo punto, purtroppo per Franceschini, c’è poco da discutere: il famigerato articolo recita testualmente: “I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale.”

Ora, siccome non c’è dubbio che il ruolo di direttore di un grande Museo implichi pubblici poteri e abbia a che fare, eccome, con la tutela dell’interesse nazionale, c’è poco da dire: il TAR (purtroppo) ha ragione. Dico purtroppo perché, nella fattispecie, questa esclusione è davvero odiosa, illogica e peraltro poco fair visto che non rispetta la reciprocità (molti prestigiosi incarichi di questo tipo all’estero sono ricoperti da italiani).

E tocca dare ragione (ripeto: a malincuore) al Presidente dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi: “Le istituzioni rispettino i magistrati, chiamati semplicemente ad applicare le leggi, spesso poco chiare se non incomprensibili. La nomina di dirigenti pubblici stranieri (chiamati a esercitare poteri) è vietata nel nostro ordinamento. Se si vogliono aprire la porte all’Europa – e noi siamo d’accordo – bisogna cambiare le norme, non i TAR”.

Le domande sorgono dunque spontanee: ma prima di istituire l’atto più significativo e qualificante della gestione Franceschini, il funzionari del Ministero non hanno pensato di passare ai raggi X dell’ufficio legale la procedura del Bando? Invece di parlare ex post, come si legge nel comunicato sul sito del Mibact, dei più alti standard internazionali, di commissioni di altissimo profilo scientifico (tutte precisazioni non pertinenti al merito della bocciatura del TAR, il che fa sospettare che anche al Mibact sotto sotto sappiano di averla combinata grossa..) non potevano controllare prima? E cambiare la legge? O al limite tutelarsi chiedendo al TAR un giudizio preventivo sulla eventuale ammissibilità di un’interpretazione restrittiva dell’art. 38 alla luce delle successive disposizioni europee? In una parola: pararsi le spalle (per non dire un’altra parte del corpo)?

Amara conclusione: figura di m… internazionale e, oggettivamente, figura di m… di Franceschini. E non consola il fatto che il Nostro è un politico di lungo corso, che tra l’altro controlla un pacchetto di voti determinante per il controllo del maggior e più strutturato partito italiano. Se anche personaggi di una notevole caratura istituzionale incorrono in incidenti simili, vuol dire che non siamo proprio un Paese per riformisti…