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L’urgenza del Decreto Legge 07/06/2017 n° 73, che introduce l’obbligo delle vaccinazioni per l’accesso alla scuola, è stata motivata con la preoccupazione per la diminuzione delle coperture vaccinali, soprattutto quella per il morbillo. Un decreto deciso nelle sue prescrizioni, visto che all’obbligo normativo seguono severe sanzioni in caso di inadempienza, del resto coerenti con la materia.

Il decreto ha riscosso, oltre che il plauso della Direzione Regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dure critiche, ed è stato accusato di essere un decreto autoritario. Si è levato un insistente richiamo alla libertà, da parte dei cittadini contrari alle vaccinazioni, con la conseguente accusa di provvedimento liberticida e richiami alla Costituzione e ad altre normative; per esempio è stata richiamata la Convenzione di Oviedo, che all’art.5 recita “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso.” (Consiglio d’Europa, 1997). L’art. 5 verosimilmente si riferisce agli interventi sanitari non annoverabili tra le urgenze e non riferibili alla casistica epidemiologica. Oltretutto, nel caso dei vaccini il diritto a opporsi viene richiamato per conto di minori, e qui sussiste, con la presenza della fattispecie della patria podestà, qualche elemento giuridico aggiuntivo da tenere presente. A parte il vaccino contro il tetano, che riguarda solo la persona che decide o meno di assumerlo, normalmente i vaccini riguardano l’individuo e le popolazioni, l’individuo e la comunità in cui l’individuo vive o le comunità con cui viene a contatto.

Da altri il decreto è stato criticato in nome e a favore di una linea di intervento da parte dell’organizzazione sanitaria basata sulla persuasione ed il convincimento; in teoria si potrebbe essere d’accordo, senonchè la linea della persuasione, in sé e per sé encomiabile, ha molte probabilità di apparire inefficace e velleitaria. Fermo restando che un certo grado di informazione sulle vaccinazioni e sulle ragioni della loro applicazione dovrebbe essere sempre mantenuto, l’attività di persuasione presuppone tempi lunghi e investimenti adeguati, e si scontrerebbe con una percentuale di cittadini comunque e costantemente avversi: avversi per cattiva informazione vertente su effetti collaterali ingigantiti nella loro casistica, per avversione nei confronti della case farmaceutiche, per suggestioni operate dalle medicine alternative o da pseudo-cure, e soprattutto per sfiducia contro le istituzioni tutte, comprese quelle sanitarie.

Il decreto governativo rappresenta un atto coercitivo? L’organizzazione sanitaria di uno stato – in accordo del resto con le prassi internazionali – è l’organismo abilitato a prendere determinati provvedimenti sanitari in un dato momento, sulla base della valutazione dei rischi riguardanti l’intera popolazione e con la finalità di diminuire per quanto possibile la comparsa di malattie e disabilità. Ne consegue che un provvedimento sanitario di massa possiede inevitabilmente, per una parte almeno della popolazione, un carattere di costrizione.

Nella contrapposizione vacciniSì/vacciniNo, possiamo distinguere due livelli: il livello propriamente medico-sanitario, che sarebbe poi il livello appropriato, dove alle decisioni dell’organizzazione sanitaria si contrappongono coloro che portano ad esempio i casi di effetti collaterali nocivi della vaccinazione. In presenza di queste obiezioni occorre fare appello al metodo sperimentale e alla statistica. La verifica sperimentale ha dimostrato da tempo l’efficacia e l’insostituibilità dei vaccini, nel corso del tempo; e la casistica ha dimostrato come, nei decenni di somministrazione dei vaccini, le insorgenze di infezioni e di epidemie siano state enormemente ridotte, e i casi di effetti collaterali dannosi di gran lunga minoritari. E’ quindi la statistica a darci valida risposta al rischio – che talvolta si avvera – che il vaccino possa provocare effetti perniciosi o invalidanti.
Il metodo sperimentale sarebbe da applicare anche nei confronti delle medicine alternative, e qui emerge il datato problema dell’omeopatia, non ancora risolto dalla sanità statale.

L’altro livello da considerare è quello civico, del rapporto tra cittadino e istituzioni, tra cittadino e stato. A livello non sanitario, il problema della vaccinazione è uno dei tanti casi ascrivibili alla dialettica tra il diritto all’autodeterminazione del singolo e il rendiconto o la responsabilità del singolo nei confronti della comunità di appartenenza.
Ma perché, da parte dei contrari alle vaccinazioni prescritte, tanto appello alla libertà, tanta enfasi sulla libertà di scelta? L’appello alla libertà da tempo ha assunto nelle dispute sociali una frequenza abnorme, sistematica. Certamente vi è un diritto del cittadino a decidere sulle cure da assumere, sempre che voglia perseguire il fine della salute; ma sussiste anche un diritto della comunità a difendersi da malattie ed epidemie. Ed il diritto della comunità vuol dire diritto di tutti gli appartenente a quella comunità, dei singoli cittadini che ne fanno parte – in questo caso gli altri, rispetto a chi rifiuta le vaccinazioni – ad essere difesi e preservati.
Ed è uno dei casi paradigmatici di non compenetrazione di diritti, in cui, nella fattispecie, il diritto all’autodeterminazione del singolo deve confrontarsi con il diritto alla salute degli altri singoli.

In fondo, riferendoci all’approfondimento del termine libertà, e mutuandone la terminologia, si potrebbero richiamare i due tipi di libertà, la “libertà di” e la “libertà da”, ed affermare che la “libertà di”, vale a dire la facoltà di scelta del singolo, deve fare i conti con la “libertà da”, nel significato originario (politico) di assenza di impedimenti esterni, e nel significato traslato di assenza di vincoli dovuti a povertà, disagio sociale, situazioni di degrado. Un concetto, la “libertà da”, estensibile dunque alle situazioni di disagio e rischio sanitario, ricordando che, in assenza di libertà da questi vincoli, viene grandemente menomata la libertà di scelta.