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Si respira aria brutta dalle parti del Pd. Sembra davvero che le guarnigioni “messicane” siano pronte a sferrare l’ultimo attacco al ridotto manipolo di combattenti che sta difendendo strenuamente l’avamposto “texano”.

Scusate la metafora ma davvero siamo a questo: Renzi e il gruppo dirigente di quello che ancora oggi è il più importante partito di centrosinistra a livello europeo sono vicini alla capitolazione.

Destino che era stato scientificamente preparato e disegnato fin dalla battaglia referendaria del 4 Dicembre 2016.

Giù dal piedestallo e fortemente ridimensionato l’artefice principale di quella stagione che avrebbe voluto cambiare i parametri della politica italiana forzando la serratura costituzionale che da sempre blocca i cardini della nostra Repubblica.

Cambiare quell’assetto significava riuscire a cambiare anche gli equilibri di potere, di tutti i poteri, anche quelli che non fossero stati toccati direttamente dalla riforma costituzionale.

E la politica, la più conservatrice, quella che più di altre avrebbe avuto da perdere il suo potere di interdizione e di veto, ha reagito ben supportata dall’altrettanto conservatore mondo dell’informazione, cercando di completare il compito che si era prefissa.

E’ tutto un florilegio – oltre che di diaspore al piĂą rumorose ma altrettanto poco numerose – di editoriali, di commenti, di comparsate televisive – è una bella compagnia di giro quella dei vari Damilano, Travaglio, Scanzi, De Bortoli, Massimo Franco, Giannini, Panebianco per ricordare i piĂą “famosi”, che quando non scrivono sui loro giornali vanno in TV ben diretti dal sedicente “neutrale” Mentana – dove l’argomento principe è la delegittimazione del segretario del PD e il vaniloquio su scenari post elettorali di cui nessuno al momento sa definire il punto di caduta.

E che comunque per effetto della meno peggio delle leggi elettorali che si potevano allestire nel tempo dato – il costituzionalista Ceccanti dice “Ci sono due veritĂ  nella legge Rosato…i nostri parlamentari avevano un compito che hanno assolto ridurre il triplice danno delle leggi vigenti come aveva chiesto il Presidente Mattarella…la legge non dĂ  un contributo efficace sul piano della governabilitĂ .” – sembra si stia per disegnare una sconfitta latente del PD stesso che quella legge l’ha promossa e soprattutto sostenuta.

Dove sono gli avanguardisti del “una nuova riforma si fa in 6 mei”? E i saccenti commentatori fervidi e indefessi sostenitori del Meglio (che è sempre nemico del Bene)? Tanto poi loro non devono mica rendere conto a nessuno dell’irresponsabilità che li ammanta e li pervade.

La responsabilitĂ  del governo spetta ad altri ai quali rimane solo il compito di mettersi davanti al plotone di esecuzione dei nostri benemeriti editorialisti per una fucilazione a man salva.

Non che il clima del Paese sia dei più favorevoli tanto che persino la sequenza positiva di dati economici, che a questo punto segnano un trend e non più solo accadimenti episodici, non riesce a scalfire. Perché nella realtà quotidiana la più lunga e drammatica crisi economica, che ha colpito l’intero mondo occidentale, nel nostro Paese, strutturalmente e finanziariamente debole, sta facendo pagare ancora le conseguenze più pesanti.

Guai a riconoscere i meriti di chi si è fatto carico delle scelte che stanno producendo quegli effetti positivi e delle battaglie politiche che hanno sottointeso quelle scelte. Minimizzare, soffocare, sopire. E soprattutto delegittimare.

E della questione Bankitalia ne vogliamo parlare? Perché se uno dice che c’è un problema di responsabilità di chi doveva vigilare sulle malefatte di alcune banche e di alcune banchette si deflagra verso l’attentato alla Istituzione per antonomasia?

Perché si accusa di populismo chi dice che preferisce difendere i risparmiatori che sono stati imbrogliati, beffati e rapinati piuttosto che la difesa d’ufficio di Banca d’Italia? Che poi non è di Banca d’Italia che si parla, ma del suo Governatore e della sua squadra preposta alla vigilanza. Non si tratta mica del Papa che non sbaglia mai per definizione.

E quando si è trattato di Fazio (il governatore, non il presentatore) non ci si è mica trincerati dietro la difesa d’ufficio della Banca d’Italia. O mi sbaglio?

E allora via, qui insorgono tutti, gli ultraconservatori per primi e i “paraculi” per secondi: quelli che a mezza bocca dicono le stesse cose di Renzi ma poi a viso aperto fanno la parte dei difensori indefessi del decoro istituzionale.

Così anche questo è un altro bel fronte d’attacco e di delegittimazione.

In questo clima i sondaggi disegnano scenari preoccupanti per il centrosinistra: che la scommessa di Renzi di aprirne i confini e sfondare al centro sembra proprio non dare i suoi frutti. Anzi.

Sul fronte sinistro ci si accapiglia e ci si distingue, ci si lacera e si emigra in altri lidi. Con la speranza di riuscire a fare massa critica. Ma c’è la Storia, non è un’opinione, a dimostrare quanto fugace e del tutto vana sia questa prospettiva. La sinistra è brava a distinguere, a dividersi, a fare battaglie di testimonianza, non è mai stata capace di aggregare pensieri e storie diverse. Solo episodicamente e spesso strumentalmente.

Il Centrodestra invece è in gran spolvero, in crescita. Pagnoncelli fotografa così “Il centrodestra gode di buona salute. Nonostante le differenze anche marcate — ad esempio di Fratelli d’Italia sulla legge elettorale, o la freddezza degli elettori di Forza Italia in occasione dei referendum autonomisti, oppure ancora le posizioni distanti sull’Europa — gli elettorati non solo tengono ma si ampliano. FI cresce di tre punti in pochi mesi, più o meno come la Lega, mentre tiene bene FdI. Come abbiamo più volte detto, si tratta di un elettorato capace di superare le divisioni e di compattarsi nella prospettiva di vincere, a differenza di quanto avviene nell’elettorato centrosinistra”. Ecco appunto.

I M5S sembra in affanno anche se spera in un rilancio mediatico, e quale sennò? che gli potrebbe derivare dall’esito delle elezioni siciliane. Per legittimarsi e rafforzare la sua spinta “antisistema”. Tanto a loro di governare non è che interessi moltissimo viste anche le loro disastrose prove sul campo delle Amministrazioni locali.

Non che l’esito elettorale in Sicilia determinerebbe la caduta del segretario ma sicuramente aprirebbe quella tormentata fase di discussioni tutte interne e tutte politologiche per arrivare alle elezioni politiche della prossima primavera ancor più deboli e tormentati. E lì sì che sarà in gioco il futuro del PD e di Renzi.

Quella è la vera deadline dalla quale i più si aspettano di poterlo far definitivamente scomparire dal panorama politico nazionale.

Ma non si rendono conto che da una sconfitta del segretario che si trascinerebbe dietro anche la sconfitta dell’intero Pd non c’è nulla da guadagnare? Che pur immerso in tutte le sue contraddizioni il PD è l’unica vera prospettiva di avanzamento progressista (lasciamo perdere “riformista”, sono tutti riformisti!) per l’Italia?

E che Renzi, ancora oggi, nonostante tutto il male che se ne possa dire, è l’unico personaggio della politica italiana, di tutto il centro-sinistra – con i trattini per distinguere bene i due mondi – che possa ancora cercare di mettere assieme i vari pezzi del Paese?

O si preferisce il trio Berlusconi, Salvini, Meloni. O peggio ancora Di Maio, Di Battista, Fico?

Non ci resta, almeno per ora, che difendere Fort Alamo.