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Tre, tra i piĂą grandi autori di cross della Serie A di tutti i tempi, sono dell’Isola della Giudecca a Venezia. L’ancestrale esigenza isolana di attraversare il piccolo braccio di Laguna per giungere al cuore della cittĂ , come un cross-assist recapitato al finalizzatore di una squadra

 “Sei proprio un … venezia”. Velato rimbrotto o estorto finto complimento?

Buona la prima. Perchè a Milano, ma anche in tanti altri diversi luoghi, essere un “venezia” rappresenta una semi ipocrisia per redarguire il compagno di squadra che si innamora della palla dimenticandosi di chi gli sta intorno. Il perchè di tale ossimoro? Perchè si dice che i Veneziani, al di là di essere dei virtuosi col pallone, il cuoio, una volta tra i piedi, non lo mollano mai.

Da dove nasce questo detto? Dal fatto che chi gioca col pallone a Venezia ha sempre l’ansia di non farlo cadere in acqua con conseguente perdita. E ciò accresce l’abilitĂ  tecnica e l’indotta e indispensabile conservazione della sfera.

Se il detto non è così strampalato, o irreale, è vero altrettanto che non tutti i Veneziani sono dei… “venezia”. Gunnar Nordahl, John Charles e gli attaccanti del Bari primi anni 2000 possono essere i primi a convenire su quest’ultima ipotesi.

I deputati a smentire il vulgo piĂą comune sono Mario Renosto, Giorgio Stivanello e Mattia Collauto. I primi due scudettati degli anni ’50, il terzo eccellente esterno nella Serie A dei primi anni 2000. Li accomuna essere nati e cresciuti tutti e tre nell’Isola della Giudecca e di essere tre splendidi artisti del cross.

Copertina del libro “Venezia è un pesce” di Tiziano Scarpa

Copertina del libro “Venezia è un pesce” di Tiziano Scarpa

 Se “Venezia è un pesce” (ed. Feltrinelli, 2000), come dice lo scrittore Tiziano Scarpa relativamente al suo aspetto fisico, la Giudecca è la sua lisca distaccata.

La Giudecca è l’Isola che sta di fronte a San Marco ed è lunga e sottile come una spina di pesce (uno dei suoi nomi antichi era “Spinalonga”).

Il sito è carico di opere artistiche, il tempio votivo del Redentore realizzato nel 1576 su progetto di Andrea Palladio è il massimo, ma di grandi valori ce ne sono parecchi altri. La “Casa dei Tre Oci “ (neogotico,1913), a cui non bastano due occhi per godere del fantastico panorama, sede di grandi mostre ed esposizioni, rappresenta, forse, l’aspetto simbologico piĂą appariscente perchĂ©, è fondamentale il fatto di trovarsi di fronte al massimo della bellezza di Venezia con la possibilitĂ  di gustarsi gli occhi e riscaldare il cuore di fronte alla visione totale di San Marco, Palazzo Ducale, la Basilica, la Torre dell’Orologio, il Campanile, le cupole del Tempio di S.M. della Salute.

Meglio, quindi, passeggiare in Fondamenta della Giudecca (anche se spesso battuta dalla Bora) e godersi di un panorama ineguagliabile che fare quattro passi nella dirimpettaia Fondamenta delle Zattere dove c’è sole e clima costantemente primaverile ma dove manca una visuale mozzafiato come quella che si può godere dall’Isola.

Dove però, e soprattutto, la Giudecca ha pochi rivali è il lato Sud dove spiccano incantevoli giardini, silenzi paradisiaci e, un tempo, primeggiavano le attivitĂ  a cui la CittĂ  aveva demandato l’onere della industrializzazione pre- Marghera. Oggi la Giudecca ospita alberghi extra lusso, su tutti il Cipriani e l’Hilton e dove vivono molti grandiosi personaggi internazionali dell’arte e dello spettacolo.

La casa dei “Tre Oci” di fronte alla magnificenza di San Marco. Non bastano due occhi per ammirare il dirimpettaio splendore

La casa dei “Tre Oci” di fronte alla magnificenza di San Marco. Non bastano due occhi per ammirare il dirimpettaio splendore

Nella prima parte del 1900 la socialitĂ  della Giudecca era rappresentata dal popolo delle torme di operai che vaporetti traboccanti scaricavano sull’isola e che andavano ad aggiungersi agli autoctoni che affollavano soprattutto gli immensi spazi della fabbrica tedesca di orologi Junghans (al tempo di guerra divenuta provvisoriamente fabbrica anche di spolette per bombe) e l’immenso ed immaginifico neo-gotico Molino Stucky.

Nel mezzo del turbinio di fabbriche e cantieri navali la Giudecca viveva intensamente una sua vita propria con negozi di vicinato, trattorie, bar tanto da poter garantire ogni cosa senza dover attraversare il breve tratto di canale (250 metri) che la divide dal centro cittĂ , pur essendo essa stessa centro storico a pieno titolo (ne fa fede il ferro da gondola che, con la rappresentazione dei Sestieri, riserva il pettine posteriore proprio all’Isola della Giudecca, settimo sestiere ancorchè separato da un canale).

E intensamente in Isola si è sempre vissuto lo sport, autentica fucina di grandissimi campioni veneziani donati allo sport nazionale e che hanno nobilitato svariate discipline sportive. Tra queste, noblesse oblige, il grande calcio. L’elenco, nel tempo, dei giocatori forniti alla Serie A è lungo e di autentico pregio. E pensare che alla Giudecca un campo omologato per giocare in undici non è mai esistito se non nel primo novecento con l’Ardor Giudecca (1923-1928) in Terza Divisione nazionale.

Il tempio votivo del Redentore. A destra si nota uno scorcio di uno dei piccoli campi di calcio dove si sono formati giocatori scudettati e titolati grandi crossatori

Il tempio votivo del Redentore. A destra si nota uno scorcio di uno dei piccoli campi di calcio dove si sono formati giocatori scudettati e titolati grandi crossatori

Ma dove lo spirito giudecchino ha raggiunto il suo apice è stato, appunto, il cross. I Giudecchini, come si diceva, hanno sempre goduto del vantaggio che offre l’isolamento, ma anche il disagio che obbliga al ricorso a vaporetti  (o gondole da traghetto, quando le turbolenze del moto ondoso ancora lo permettevano) per potersi muovere tra i due lati del canale. Per cui il raggiungere l’altra parte è sempre stato un mantra per tutti: “bisogna scavalcare il canale, arrivare dall’altra parte per entrare nel cuore della città”. Proprio come un cross che fa volare il pallone da una parte all’altra per farlo andare a segno. Che sia per questo motivo che tra i piĂą grandi crossatori del campionato italiano hanno un posto di diritto i tre calciatori giudecchini in questione?

Il primo tra questi è Mario Renosto (1929-1985) nato e cresciuto in una palazzina proprio davanti alla riva del Canale e formatosi nel Patronato Don Bosco prima di passare al Venezia all’etĂ  di sedici anni ed esordio in Serie A il 6 gennaio 1946 a Modena (stesso anno di esordio in Serie A del fratello maggiore Bepi). Dopo cinque anni in Laguna avviene il trasferimento al Milan.

Mario Renosto colpisce gli osservatori rossoneri per la sua velocitĂ , la grande tecnica, l’abilitĂ  di giocare con entrambi i piedi e la capacitĂ  di servire cross vellutati per teste di pregio.

E di teste di pregio non manca di certo il Milan del fenomenale trio svedese Gre-No-Li (Gren, Nordahl, Liedholm). Il pompierone Gunnar Nordahl , straordinario e potentissimo ariete, sembra non aspettare altro che i traversoni di Renosto per scatenare la sua potenza aerea che ne ha fatto uno dei piĂą grandi cannonieri rossoneri di tutti i tempi.

Mario Renosto “Toceto”, vincitore di scudetto e Coppa Latina nel Milan (1951) e grande fornitore di cross per Gunnar Nordahl

Mario Renosto “Toceto”, vincitore di scudetto e Coppa Latina nel Milan (1951) e grande fornitore di cross per Gunnar Nordahl

Mario Renosto non è altissimo, apparentemente smilzo, ma ha tendenza ad ingrassare e per questo viene costantemente controllato a tavola. Una volta, visto eccedere, si giustifica dicendo in dialetto veneziano : “go magnĂ  solo un fia’ de polenta col toceto (sugo)”. Da qui il nomignolo di “Toceto” che lo segue per tutta la carriera e con cui conquista lo scudetto milanista del 1951 e la Coppa Latina dello stesso anno.

Juventus_1957-58 con Stivanello Charles e Sivori

Juventus_1957-58 con Stivanello Charles e Sivori

Non è dato a sapere se Giorgio Stivanello, di tre anni piĂą giovane, quattro portoni di casa piĂą in lĂ  di Renosto, abbia avuto scuola dal con-isolano, sta di fatto che le sue caratteristiche sembrano sfornate in carta carbone. Dopo l’esordio nel Venezia, a distanza di una decina d’anni dalle evoluzioni nella stessa squadra da parte del papĂ , Giorgio viene ingaggiato dal Padova che grazie al suo contributo viene promosso in Serie A. La Juventus si mette in moto e ingaggia Stivanello  che, in bianconero vince tre scudetti e due Coppe Italia (in totale può vantare 6 campionati sotto la Mole, 93 presenze e 20 gol).

Mario Renosto col Milan scudettato

Mario Renosto col Milan scudettato

Giorgio Stivanello colpisce l’inventiva del tecnico Brocic. Il Giudecchino è dotato di grande corsa lungo linea e sa crossare con “dosaggio euclideo”. Brocic intuisce che i traversoni dalla sinistra sono i toccasana per i testa/gol imperiosi di “Long” John Charles o per le spizzicate a favore del sinistro adamantino di Omar “Cabezon” Sivori, così il Giorgio veneziano diviene l’esecutore principe della realizzazione delle teorie dell’allenatore jugoslavo.

Mattia Collauto premiato da Carlo Rubini col Quinto

Mattia Collauto premiato da Carlo Rubini col Quinto

Mattia Collauto (1973) arriva molti anni dopo, la tecnica cristallina però è sempre la stessa, anche se cambiano le caratteristiche di partenza. Mattia non abita sulla riva del Canale della Giudecca, lui sta nel cuore pulsante dell’Isola, viene anche lui da una famiglia di calciatori/allenatori, predilige però la fascia destra del campo. Inizia a calciare in Isola e, giovanissimo, va in tour nelle foresterie di settori giovanili evoluti (Torino e Como) fino ad approdare in prima squadra al Como, poi al Bari e alla Cremonese per finire col ritorno a Venezia dove diviene capitano e stimatissimo giocatore leader e simbolo per tanti anni. Proprio a Bari Collauto conquista il titolo simbolico della Gazzetta dello Sport di miglior crossatore della Serie A, sulle orme dei con-isolani Renosto e Stivanello.

Ora Mattia Collauto è il direttore del settore giovanile del Venezia FC, abita sempre alla Giudecca e sta cercando di individuare in isola il quarto moschettiere che rinverdisca una grande tradizione.

Essere un “venezia” è tutt’altra cosa. Ma forse questo detto è limitato ai soli sei sestieri della Serenissima. Il pettine posteriore del ferro di gondola (quello che rappresenta la Giudecca) è il supporto di pregio che integra e sostiene l’inarrivabile diamante.