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Che la situazione per il CentroSinistra e per il PD in particolare sia difficile sembra quasi un luogo comune ripeterlo.

Tanto è lo scetticismo, tanta è la sfiducia indotta e procurata che la maggior parte dei commentatori – e una buona parte delle persone con le quali si ha a che fare e soprattutto a che ragionare di politica – avvalorano la tesi della sconfitta “a prescindere”, basandosi sui sondaggi e sul mood che loro stessi contribuiscono a diffondere.

Quasi una tesi più che un’ipotesi. Perché ci aggiungono tutte le loro considerazioni a supporto, tutte le loro distonie e le loro contrarietà ai metodi e alle modalità di gestione.

Dimenticandosi che se andassimo a riprendere gli archivi della loro produzione negli analoghi precedenti forse dovremmo solo aggiornare i nomi dei protagonisti coinvolti nella bagarre, ma la sostanza sarebbe la stessa di oggi: “notti dei lunghi coltelli”, scambi di favori, nominati gli amici, le spinte e le pressioni, gli esclusi che sono sempre il meglio che c’è e così via a sfiduciare sempre e comunque.

Se dovessimo andarla a giocare, sulla base di tutto questo, potrebbe essere una scommessa già persa in partenza o per chi fosse bravo provare a fare come quelli che in borsa giocano al ribasso.

Nel PD Renzi è il responsabile unico di tutto questo “disastro”. A lui si imputano tutte le malefatte e tutti gli errori di gestione di un partito che “bisognava tenere unito”. A prescindere.

Dalle circostanze, dai comportamenti politici, dalle battaglie interne fatte per delegittimare e per indebolire l’avversario più che per aprire una discussione di merito e nel merito.

Che Renzi porti le sue belle responsabilità è una certezza, d’altra parte chi è quello che facendosi interprete e leader di un progetto non si assume le responsabilità e per ciò stesso si mette in gioco?

Certo è che il trend positivo di una aspettativa di rinnovamento della politica italiana, che la sua entrata in scena aveva innestato, si è rapidamente, troppo rapidamente, interrotto. Fin dopo il risultato delle mitiche Europee del maggio 2014.

E qui davvero si è creato un break traumatico e destabilizzante che è arrivato fino allo show down referendario del 4 dicembre 2016. Con tutte le ricadute e tutte le aggravanti del caso.

Nonostante i più che lusinghieri risultati dell’azione di Governo delle due fasi: Renzi-Gentiloni.

Tanto che gli stessi sondaggi (Demos) che danno il PD in caduta costante e penalizzante fotografano un gradimento di Renzi, nonostante tutto, al 31% e di Gentiloni ben sopra il 40%.

Se poi provassimo a guardare la composizione della coalizione che si presenta alle elezioni del 4 marzo scopriremmo che Emma Bonino riscuote un consenso pari al 42%.

Ma allora c’è da domandarsi: è mai possibile che il cittadino elettore si comporti in maniera così distonica, così contradditoria fra la voglia di penalizzare il PD, di disconoscerlo come reale e sicura forza di governo, e dall’altra parte il riconoscimento personale dei suoi interpreti più coinvolti?

La Bonino è di ulteriore supporto, anche se decisamente esterno. Ma appartiene alla coalizione e i voti che convergessero su +Europa contribuirebbero allo stock della coalizione di CentroSinistra. Con il beneficio di tutti. PD in testa.

Certo che la composizione delle liste lascia sempre un po’ di amaro in bocca. Nessuno si sente particolarmente gratificato, fatti salvi i candidati.

Che però in questa occasione devono davvero sudarsela, soprattutto nei collegi in cui si parte in svantaggio o fortemente ad handicap.

La disarticolazione dei consensi e la liquefazione della forma partito certamente danno il loro bel contributo alla fatica di costruire un contatto vero e riconosciuto con l’elettorato.

La riforma che attribuisce il 65% dei seggi con il metodo proporzionale da questo punto di vista migliora solo di un po’ la situazione che si era determinata con mitico “Porcellum”.

Il 35% è deciso dal maggioritario.

Ma lascia ancora troppo spazio ai nominati e di conseguenza ai legittimi sospetti che le liste riflettano l’adesione e l’appartenenza al gruppo di comando.

Ma se vogliamo essere realisti e forse anche un po’ cinici qual è quel gruppo dirigente che non cerca di contornarsi di persone di fiducia? Soprattutto quando lo scenario che si prospetta è uno scenario di grande difficoltà, in cui devi garantirti di poter gestire i rapporti di forza contando su un gruppo omogeneo e coperto.

Certo bisogna che ci sia anche il riconoscimento del “merito” e questo lo possono decidere solo i territori nei quali si misurano i candidati.

Ma non è che puoi avere troppi fronti aperti: quello con gli avversari politici – che con questa legge saranno molti e frantumati, molti di più di quelli che un sistema maggioritario avrebbe prodotto – e quello di una opposizione interna che più che sulle idee ti fa la guerra di posizione, di delegittimazione, ti scava la terra sotto i piedi.

Non ti riconosce la leadership nemmeno se questa è stata certificata dalle primarie – che erano il suo mantra.

Già dato!

E allora anche la composizione delle liste riflette necessariamente questa esigenza e qualche volta – anche qui da noi – si produce un’offerta politica non proprio entusiasmante anche se definitivamente non del tutto fuori dalla logica di rappresentanza del territorio.

Storie personali che hanno la loro piena legittimità e dignità.

Certamente si poteva fare meglio, con più coraggio e con qualche slancio in più.

Rimane il fatto che, anche se qualcuno storce la bocca – nonostante la preventiva, permanente e ingiustificata avversione a Renzi – il voto al PD si raffigura come la vera opportunità di poter continuare a tenere questo nostro Paese su un binario di ripresa, di rilancio, e di garanzia europeista.