“Quando deve giocare la nazionale, gli italiani? Tutti commissari tecnici”. Mutatis mutandis: “Dopo le elezioni del 4 marzo, gli italiani? Tutti editorialisti ed analisti”. Infatti un secondo dopo la chiusura delle urne domenica alle 23 con davanti solo gli exit-pool chiunque apriva bocca negli studi televisivi diceva la sua con severo piglio razionale. Nelle tv è comprensibile perchè è uno spazio presidiato dagli addetti ai lavori, politici e giornalisti. ma la cosa è proseguita poi nella rete e nei Social e poi a cascata nelle discussioni da bar e financo nelle telefonate di famiglia, nelle quali dopo le normali informazioni per la giornata, scattava l’editoriale: ” oggi non posso andare a prendere Andrea all’asilo….secondo me il PD ha perso perchè non ha saputo dare risposte e bla e bla e bla”.
Tutti alla ricerca della razionalità di uno sconquasso insomma. “…E non c’è niente da capire”, diceva in musica il cantautore, che vuol dire che è tutto chiaro, ma anche il contrario, che è tutto terribilmente confuso e irrazionale da non provarci neanche, a capire. Ebbene: propenderei per questa versione. Non c’è razionalità in quel che è accaduto il 4 marzo. Lo diceva bene Renzi nella conferenza stampa in cui in prima battuta ha fatto finta di dimettersi ” A Pesaro abbiamo candidato Minniti, una delle persone più competenti e affidabili del governo e che ha tentato di risolvere la questione migranti con soluzioni apprezzate anche dal fronte opposto. I 5 Stelle hanno candidato uno che loro stessi avevano definito ‘impresentabile’. Dunque? In quel collegio ha vinto l’impresentabile” ( e la citazione non era contro Minniti come la stampa occhiuta ha voluto leggere maliziosamente). Come dire: potevamo candidare anche un premio nobel o il meglio del meglio del meglio e avremmo perso lo stesso. Quindi, dico io, cosa volete fare editoriali… A meno che, come il mio di adesso, non dicano proprio che non c’è niente da dire. Almeno per ora.
Dal DOSSIER 4 MARZO che presentiamo emerge anche questo. I 4 interventi che pubblichiamo ( Marchetti, Moro, Vianello Moro, Cusumano) provano certamente a dire qualcosa di sensato, anche le ragioni di vittorie e sconfitte ( a seconda dei punti di vista), ma tutti convergono, ed è la cosa più sensata di tutte, sul fatto che siamo di fronte a una situazione in divenire e solo all’inizio di un film nel quale ne vedremo delle belle.
Ovvio che chi, come noi, ha seguito con interesse e passione il ruolo del Partito Democratico non può far finta di niente e cavarsela come nella favola di Esopo (“nondum matura est” eccetera….). Per questo partito nulla sarà come prima. La sua collocazione, la sua strategia saranno da oggi comunque di necessità radicalmente diverse. Adeguati al ridimensionamento dei numeri che c’è stato e che obbligherà a pensare ad ogni azione futura con questa dimensione e non con altre ipotetiche. E adeguati soprattutto alle diverse domande politiche e ideali che le nuove generazioni sembrano aver espresso nettamente in queste elezioni, come ci ricorda Filippo Cusumano nel suo intervento. Questo è forse l’unico dato certo: nulla potrà essere come prima. Ma come è impossibile dirlo ora. Bisogna aspettare l’evolversi degli eventi con la fermezza di chi sa sopportare anche i momenti più critici.
Perchè tutto è ancora in gioco. Calma e gesso allora.

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.