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Qualche flusso veneziano, nelle elezioni politiche del 4 marzo. Ho appositamente postato come foto il diagramma elaborato dal Centro Italiano Studi elettorali/Luiss e riguardante i flussi elettorali nel comune di Venezia.

A Venezia, dove la percentuale dei votanti è scesa dal 78,3% del 2013 al 73,3% del 2018, si sono verificati alcuni spostamenti interessanti: il 37% circa degli elettori del M5Stelle nel 2013 è passato alla Lega nel 2018; questo flusso è stato compensato da un 26% di voti che nel 2013 facevano parte della coalizione di Bersani e nel 2018 passati al M5S.
Inoltre il voto ha premiato la Lega, passata dal 4,6% del 2013 al 23% del 2018, grazie anche ad un consistente apporto di voti ex Forza Italia. Della ex coalizione Monti del 2013, una metà si è indirizzata verso il CS ed un terzo verso il CD.

Passando ai risultati nazionali, oltre al mutamento dei rapporti di forza tra partiti e tra poli, emerge una territorializzazione dei principali partiti, nel senso che il centrodestra domina al Nord ed è a trazione leghista; il M5Stelle si meridionalizza; il Pd perde il Sud, in cui si manifesta una tendenza al bipolarismo tra centro destra e M5S.

Elezioni caratterizzate da notevoli passaggi di voto rispetto alle elezioni politiche precedenti. Un mutamento dei rapporti di forza tra i poli, e tra partiti. Tra i flussi più rilevanti a livello nazionale, il passaggio di voti dal PD al M5S per una percentuale che va dal 14% al 18%, a seconda delle rilevazioni; ed un 40% circa di voti andati alla Lega dall’ex PdL (dalle ricerche Demopolis e IPSOS).

Altra considerazione di rilievo: rispetto alle elezioni del 2008, in dieci anni abbiamo avuto il crollo del centro politico, moderato e filo-europeo: ben 18 milioni di voti (calcolo del Centro Italiano Studi Elettorali/Luiss), confluiti per l’80% verso partiti anti-establishment come M5S e Lega (quest’ultima parzialmente anti-sistema, considerando l’apparato di potere in Veneto ed in Lombardia). Gli elettori hanno privilegiato un voto di protesta. Questo fenomeno per alcuni politologi potrebbe suscitare interrogativi di futura stabilità del sistema politico, dato che a questa stabilità il centro politico è considerato funzionale.

Lo svuotamento del centro ed il ridimensionamento del PD rivelano mutamenti nei blocchi o categorie sociali rappresentate. Il PD diventa partito rappresentativo dei ceti meno svantaggiati, o per lo meno dei ceti non travolti dalla crisi o dai processi di globalizzazione, laici ed urbani: un partito che qualcuno ipotizza come partito delle élites (si veda l’articolo di Lorenzo de Sio,nel sito del Centro Italiano Studi Elettorali/Luiss), o per lo meno partito dell’establishment, in declino netto nelle periferie; da considerarsi come periferie del potere, ma anche periferie territoriali, infatti il PD riscuote consenso nei grandi centri urbani (per esempio Torino). Il PD ed il Centro sinistra rappresentano la componente europeista ed integrazionista, inclusivista, che prevale nei quartieri borghesi delle grandi città; meno nelle periferie delle grandi città e nelle aree provinciali.
Per i disoccupati, per esempio, stando al loro voto, la raffigurazione positiva delle trasformazioni socio-economiche e dei provvedimenti presi dagli ultimi governi non è condivisibile. La visione ideologica e programmatica della sinistra, fatta in buona parte di europeismo, di messaggio terzomondista, di visione positiva della globalizzazione, viene rifiutata sia per motivi economici – soprattutto di difficoltà di reperimento delle risorse per il lavoro e per l’assistenza – sia per motivi culturali – di difesa della propria identità e della propria cultura (spesso erroneamente e colpevolmente scambiata da buona parte della sinistra semplicemente per razzismo).

L’elettorato del M5Stelle non è collocabile tra le tradizionali posizioni poste sull’asse ideologico sinistra-destra, e questo non tanto in relazione ai programmi, quanto in relazione agli atteggiamenti tematici del suo elettorato.
In luogo della tradizionale e storica dimensione sinistra-destra, sussiste attualmente una pluridimensionalità dello spazio politico, nel senso che possiamo suddividerlo in vari spazi, uno economico, uno culturale, uno riguardante l’Europa (integrazionista filo-Europeo oppure isolazionista).

Come si è più volte accennato in questa testata, la dicotomia prevalente risulta quella inclusione/esclusione; applicandola ai vari spazi, alle varie dimensioni, abbiamo una visione realistica e sfaccettata delle fratture e degli scontri politici in atto.

Allo scontro tra le politiche pro o contro l’Europa, si affiancano le contrapposizioni sull’entità dell’accoglienza dei profughi da ritenersi accettabile, e sul modo di gestirla. Ed infine abbiamo la dimensione economica, con le difficoltà apportate dalla crisi e dai più vasti processi di globalizzazione.
Le province con più alto tasso di disoccupazione hanno dato un forte contributo all’avanzata del M5Stelle, come pure il voto dato alla Lega è più alto nelle province dove è più alta la percentuale di stranieri (secondo rilevazioni CISE/Luiss).
Un declino quindi della dimensione sinistra-destra, da vedere non più come unica dimensione.