Sembrano le tre parole che meglio di altre definiscono i sentimenti prevalenti di fronte al nascente governo Lega-Cinque Stelle
Lasciando perdere il fanatismo e il tifo da curva ultrà dei più scatenati fans che sarebbero disposti a camminare con gli occhi bendati sul ciglio di un burrone purché glielo chiedessero i vari Salvini e Di Maio, sicuramente la curiosità è un elemento distintivo del sentire comune.
D’altra parte i sondaggi – eh sì sempre questi oracoli – ci dicono che più del 60% degli italiani vede di buon occhio questa alleanza (no no non si chiama alleanza perché non è su basi politiche -sic! – si chiama contratto perché è su basi di programma – sic! di nuovo) fra il M5S e la Lega.
Non c’è da meravigliarsi. Gli Italiani, noi tutti, siamo davvero dei bonaccioni che siamo disposti a dare fiducia a chiunque risulti un vincente – dura poco, a parte il ventennio fascista e il ventennio berlusconiano (sic!)
Inizialmente tutti a salire sul carro dei vincitori (bandwagon usano dire quelli più pragmatici di noi, gli anglosassoni). Soprattutto quella bella platea di intellettuali, giornalisti, commentatori, editorialisti sempre al servizio del Potere di qualunque parte e di qualunque colore. Pur che sia Potere che riservi a loro qualche vantaggio.
Poi cominciano le danze e cominciano le critiche, i maldipancia, i distinguo e i “mi dissocio” – versione bonaria di “Io? Mai votato per questi!”.
Stavolta crediamo, diciamo meglio speriamo, la disillusione arriverà prima, molto prima dei ventenni citati. Perché non ci sono le basi, non ci sono i presupposti, non ci sono le condizioni perché questa formazione (va bene formazione?) PentaLeghista riesca a realizzare quello che ha promesso. E se lo fa, sfascia i conti dello Stato e mette in mutande i risparmiatori.
Altro che Popolare di Vicenza, Veneto Banca e MPS!
Ma la curiosità rimane e il grido di incoraggiamento sale dalle tribune del fantacalcio “lasciateli lavorare, il popolo li ha votati, questa è la democrazia”.
Anche se nessun italiano che ha votato per M5S o Lega affiderebbe la propria attività o finanze a sprovveduti senza arte né parte. Però gli affidano lo Stato. Perché per molti lo Stato è cosa diversa da loro (cit. Carlo Calenda).
Comunque non c’è niente da dire, sicuramente questo esito elettorale ha cambiato i paradigmi della politica, ha scompaginato gli assetti, ha frantumato le certezze. Ha aperto scenari che dovranno dispiegare tutte le loro potenzialità in uno spazio-temporale che va ben al di là di una sola giornata elettorale: qui si fa la Storia ha annunciato con molta enfasi e molta prosopopea il leader maximo Luigino da Pomigliano.
Non si farà certamente la storia. Altro spessore, altra visione, altra capacità, altra cultura sarebbe necessaria. Ma sicuramente si è generato un break nella politica nazionale e con questa frattura ci si dovrà confrontare.
Da cui la preoccupazione. Che anima i più responsabili, i più avveduti, i meno illusi.
Che vedono in questa formazione un pericolo reale per il Paese, non solo per una questione di equilibri economico-finanziari di cui i nostri eroi sembrano volersene disinteressare, o meglio pensano di risolvere con una guerra guerreggiata a livello europeo e come ultima ratio stanno pensando ad un’uscita dalla UE e dall’Euro.
Stile Brexit, a man salva. Perché son lì a parlare della cancellazione del debito o dello sforamento senza limiti del deficit pubblico.
Ma di più vedono in questa formazione la definizione di una compagine che porta avanti valori radicalmente di destra: “Salvini, la ruspa violenta della legge, con la sua triade migranti-sicurezza-giustizia. Asili nido e reddito di cittadinanza solo per italiani, rimpatri di massa come minaccia, difesa legittima in ogni circostanza, cancellazione dei riti alternativi e delle norme premiali per i rei ravveduti. Un pacchetto di destra vera e dura, razzista e suprematista, che se davvero si tradurrà in legge farà vacillare almeno una decina di articoli della Costituzione.” (cit. M. Giannini)
E quelli che “né di destra né di sinistra”? O quelli che hanno votato M5S per dissociarsi dal PD, per mettere una barriera morale fra l’aborrita politica renziana e la loro integrità politica?
E vogliamo tralasciare il tema del “vincolo di mandato” che i nostri indefessi democratici PentaLeghisti vogliono introdurre?
Altro che incostituzionalità dell’Italicum! Si torna al regime fascista perché è di quell’epoca la norma che metteva tutti sotto la cappella del partito (unico).
Lo sconcerto invece riguarda tutti noi che avremmo voluto vedere un Partito Democratico allertato, mobilitato su questi e sui molti fronti che si sono aperti.
Che avesse cominciato a “fare opposizione” – unica via praticabile in questo contesto, al di là delle illusioni e delle ennesime fughe in avanti dei governativi ad oltranza che vagheggiavano un’apertura di credito verso il M5S – opposizione fin da subito anche in assenza di un Governo e a maggior ragione ora che il governo c’è.
Una opposizione alle idee che stavano e stanno per prendere forma e che identificheranno questo nascente Governo come il più a destra e il più sovranista di tutti quelli Europei, alla faccia degli Orban e dei Kurz.
Perché se la sconfitta è stata pesante, drammatica, questa sì davvero storica, vogliamo sperare che non sia irreversibile.
Ma che sia palingenetica, che serva per una ri-costruzione e un ripensamento profondo delle proprie basi, delle proprie rappresentanze, delle proprie alleanze, sociali prima di tutto. Dei propri programmi, delle proprie proposte, delle proprie idee.
E non invece questa continua disputa e questa continua minaccia alla conta e alla resa dei conti che toglie energie, senso di appartenenza e capacità di fare politica.
Perché è pur vero che in questa fase storica con una contingenza economica che deriva dalla più grande fase recessiva che il Mondo Occidentale e l’Europa abbia patito dal secolo scorso — con l’Italia a fare, nonostante tutto, il fanalino di coda – con una spinta migratoria che ha aperto problemi esponenziali di sicurezza, l’orientamento della popolazione italiana è decisamente spostato a destra.
Ciononostante sarebbe indispensabile che il PD facesse le sue battaglie convintamente europeiste, per il riequilibrio economico, per la difesa dei più deboli, per il mantenimento e l’estensione dei diritti civili, per una visione moderna e progressista del Paese.
Se c’è davanti a noi “un attraversamento del deserto” che sia almeno provvisto delle necessarie riserve d’acqua.

Veneziano, con i piedi nell’acqua, dalla nascita (1948). Già Amministratore Delegato di una Joint Venture italo-tedesca di accessori tessili con sede a Torino. Esperienze di pubblico amministratore nei lustri passati. Per lunghissimi anni presidente del Centro Universitario Sportivo di Venezia (CUS Venezia)