Ho visto in televisione Matteo Renzi rispondere ad un’intervista… recitando. Le domande erano evidentemente concordate, e le risposte erano evidentemente studiate a tavolino e imparate a memoria. Perché anche Matteo Renzi, uomo pubblico dalla grande padronanza e grande “venditore” della politica, si piega a questa modalità comunicativa? Perché questo modo di “esternare” per frasi costruite, ormai utilizzato da moltissimi politici, è così diffuso, tanto che anche uno come Renzi ha dovuto abbassarsi ad utilizzarlo?
La spiegazione comune è la seguente: Sono i social network, ed è la comunicazione sui nuovi media, che costringe il politico a studiare a tavolino cosa dire e come dirlo; i social, infatti, amplificano a dismisura i messaggi brevi ed efficaci, ed è quindi importante definire preventivamente con cura quel “cosa dire e come dirlo”. Secondo questa spiegazione, siamo davanti ad un fenomeno, o ad una deriva, del tempo contemporaneo.
 Io credo che invece questa attenzione spasmodica al “messaggio” sia vecchia come il mondo. E credo inoltre che ci sia una chiarissima spiegazione del suo successo in determinati periodi storici – come in quello che stiamo vivendo – che nulla ha a che fare con i social.
E’ vecchia come il mondo l’idea che una frase ad effetto, detta nel modo giusto e nel momento giusto, possa cambiare gli umori del popolo. Non usavano i social network nella Grecia antica o nella Roma repubblicana; eppure quante decisioni del popolo o delle assemblee sono state conquistate da chi aveva studiato con cura “cosa dire e come dirlo”… Le orazioni di Cicerone in Senato, e ancor più il discorso di Antonio sul cadavere di Cesare – pur se giunti a noi attraverso il filtro della narrazione altrui – ci dimostrano, per fare solo due banali esempi, che anche allora una frase, un gesto, un colpo di teatro potevano guadagnare immediato consenso, e cambiare gli umori del popolo o della pubblica opinione.
I social, quindi, contano poco. La ragione vera per cui la comunicazione in questo preciso momento si fa teatro e studio è, invece, la crisi gravissima dei partiti. I politici sanno bene che il breve discorso ad effetto può portare un consenso immediato in ogni occasione e in ogni tempo; ma sanno anche che poi perde di importanza di fronte ai fatti di governo, e alle concrete politiche; sanno, soprattutto, che il breve discorso ad effetto conta ben poco, e sposta poco consenso, quando l’elettore osserva e ascolta la politica con un suo proprio chiaro riferimento ad un partito. In altre parole, quando i partiti mantengono la loro forza, è questa forza che alla fine condiziona l’elettore; il quale potrà anche farsi impressionare da un’intervista o da un discorso ma… alla fine voterà per il partito a cui si sente rappresentato e secondo l’indicazione che avrà dal partito stesso.
 E’ la gravissima crisi della rappresentanza che viviamo in questi mesi, quindi, a portare il singolo politico ad una spasmodica attenzione verso il “cosa dire e come dirlo”. Ed è per la gravissima crisi dei partiti che tutto si gioca al momento… E se nel giorno della morte di Cesare una scelta oculata su “cosa dire e come dirlo” mutò il futuro del mondo, oggi invece, in un fluido e caricaturale teatrino, i vari politici con le loro recite per la tivù si rubano a vicenda uno “zero virgola”.
E un Renzi che parla in tevisione per frasi studiate, lui che fino a un anno fa mai si sarebbe sognato di imparare un discorso a memoria, è la certificazione di questa deriva. Che non è nuova, che non dipende dai social, ma che è l’effetto (e insieme la certificazione), dell’agonia dei partiti e della rappresentanza in ogni area politica, vero cancro sociale dei nostri giorni, causa di molti dei nostri guai presenti e futuri.

Veneziano per costumi, anche se non per nascita, ha cominciato ad osservare e a raccontare la città attraverso gli articoli e le inchieste di GENTE VENETA, di cui è stato caporedattore per dieci anni. Come portavoce del sindaco Paolo Costa, nei primi anni del Millennio ha seguito da vicino alcuni dei grandi progetti per il rilancio di Venezia, dalla ricostruzione della Fenice al processo verso la Città metropolitana, dall’idea del tram a quella della rete dei parchi urbani alla riorganizzazione delle Municipalità dentro il Comune unico. Dal 2005 al 2015 è stato il responsabile culturale del Duomo di Mestre, che ha contribuito a far crescere come luogo di elaborazione di culturale e di impegno civico attraverso eventi e convegni – dove ha portato Gianfranco Fini ed Emma Bonino, il cardinal Ruini e don Colmegna, Jacques Barrot e Vittorio Sgarbi, Massimo Cacciari e Philippe Daverio, Moni Ovadia e Oscar Giannino – e attraverso le pagine del giornale PIAZZA MAGGIORE. Gli stessi temi tornano nel suo blog www.piazzamaggiore.wordpress.it, e nel suo libricino “Venezia. Cartoline inedite”, pubblicato nel 2010.
Da qualche anno segue la comunicazione dell’Azienda sanitaria veneziana.