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La società occidentale è attraversata e scossa da istanze populiste, sovraniste, di rottura o di opposizione nei confronti delle élites politiche che hanno governato negli ultimi decenni: istanze invero molto eterogenee, talora incompatibili tra loro. La Brexit, i gilet gialli, Trump in America, il M5Stelle in Italia. Tra le ragioni di tale ondata di proteste, senz’altro la stagnazione dei redditi, l’aumento delle disparità all’interno dei singoli paesi; da cui una prorompente richiesta di protezione dalla precarietà, dalle minacce della globalizzazione.

A proposito di globalizzazione, e dei suoi effetti, è imprescindibile il riferimento alla “curva dell’elefante”, ovvero il grafico costruito dall’economista serbo Branko Milanovic sui vincitori e perdenti nel processo di globalizzazione, nel periodo dal 1988 al 2008.
Osservando il diagramma (qui ripreso dal sito di Pietro Ichino, L’elefante di Milanovic, 2/11/2017), sull’asse orizzontale è raffigurata – dal primo al centesimo percentile, raggruppati cinque a cinque – la popolazione mondiale in ordine crescente di reddito; e sull’asse verticale l’aumento di reddito registrato dal 1988 al 2008.

Emergono quattro grandi fasce di collocazione dei redditi. La prima fascia è quella dei “Molto poveri, esclusi dalla crescita”, il cui reddito non ha visto alcun incremento. La seconda fascia è quella dei “Redditi in aumento nelle economie emergenti, soprattutto in Cina”, in cui si collocano 13 pallini del diagramma, in cui il ventennio di globalizzazione ha prodotto una notevole crescita del reddito, dal 40 all’80 %. La terza fascia, quella del “Declino dello sviluppo della classe media a livello mondiale”, ha configurato una crescita molto bassa, inferiore al 10%, rappresentata da quattro pallini, di cui due sotto la linea di crescita zero. La quarta fascia, quella del “Elite globale in forte espansione”, comprende il reddito più alto, una crescita tra il trenta ed il sessanta per cento, la parte alta della proboscide.

Il grafico dell’elefante è stato in seguito corretto e modificato nel suo significato da letture successive, ma non ha mutato il suo valore e significato di fondo, vale a dire l’indicazione della crescita dei paesi medi in via di sviluppo, la loro emersione dalla povertà, l’ulteriore crescita dei redditi della parte più ricca della popolazione, le sofferenze ed il declino della classe media occidentale.

In particolare, possiamo enucleare i seguenti processi. L’ineguaglianza è aumentata quasi ovunque a livello nazionale, mentre risulta diminuita a livello globale (si veda anche l’articolo di Alessandro Giuriani, “Il paradosso dell’ineguaglianza”, da IlSole24Ore del 17.12.18), grazie all’entrata nei mercati globali di paesi asiatici in via di sviluppo come Cina, India, Indonesia, Vietnam; si evidenzia, tra le didascalie del grafico, l’ingresso di un notevole numero di cinesi all’altezza del nono decile, o pallino, nella seconda fascia.
Nella terza fascia si collocherebbe la classe media occidentale, vittima di un declassamento economico per la stagnazione dei redditi. E anche se per alcuni commentatori l’impoverimento, la perdita di reddito sarebbe relativa, ovvero mitigata, tuttavia il livello dei redditi della borghesia ne ha risentito, soprattutto a livello di percezione, e non solo: si può affermare che la globalizzazione non ha portato beneficio alle classi basse e medie occidentali, ed è diffusa la percezione di essere esposti ed indifesi nei suoi confronti. Da qui le ricadute politiche, in senso populista e sovranista.

Quale strada intraprendere allora, a parere di Milanovic, per alleviare o capovolgere la situazione, ovvero la condizione di impoverimento del ceto medio europeo? Introdurre dazi e barriere? Chiudere le frontiere? Cercare di invertire insomma la globalizzazione?
Milanovic propone due soluzioni (riprendo dall’articolo di Giuriani, da IlSole 24Ore). Quella di calibrare il sistema fiscale, con tassazione maggiore sui redditi più elevati per compensare le ineguaglianze interne. E quella di investire in educazione per migliorare le specializzazioni della forza lavoro in modo che sia più competitiva e quindi in grado di competere per salari più alti.
“Solo una combinazione di vecchie politiche distributive (riprendo inoltre dall’articolo-intervista di Paolo Mossetti, “Il capitalismo non funziona più? Parla l’economista della “curva dell’elefante”, in Forbes, 16.01.2019), che compensino coloro che hanno perso il lavoro, e politiche educative che migliorino la qualità dell’istruzione pubblica, aiutando i lavoratori a stare al passo con la domanda, potrebbe sortire qualche effetto.”