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L’aeroporto Marco Polo di Tessera chiude l’anno 2018 con risultati lusinghieri. Superati alla grande gli 11 milioni di passeggeri (+7,8% sull’anno precedente), quarto scalo italiano, alle spalle di Fiumicino, Malpensa e Orio al Serio (ma quest’ultimo praticamente solo per l’exploit delle low cost) con un discreto numero di rotte intercontinentali (unico in Italia, oltre ai due hub di Roma e Milano).

Ed ora si fa bello: 477 milioni di euro di investimenti destinati a manutenzione ordinaria delle piste e all’ampliamento del terminal, quest’ultimo quanto mai necessario, visto che nelle ore di punta ci si calpesta letteralmente. Tutto questo naturalmente comporta lavoro (sì: lavoro..), 2.700 posti di lavoro nei cantieri e poi dai 500 ai mille posti stabili nei nuovi spazi dell’aeroporto (che si aggiungono agli esistenti 10000). Insomma, un’azienda florida, che porta ricchezza e lavoro (ancora una volta: lavoro..) al territorio.

L'interno del Marco Polo

L’interno del Marco Polo

Naturalmente, una struttura simile ha un impatto ambientale significativo ed è una precisa responsabilità del gestore dell’aeroporto farsene carico. Per il suo contenimento (e per eventuali compensazioni) è indispensabile lavorare di concerto tra i tanti soggetti interessati. Senza contrapposizione preconcetta e atteggiamenti inutilmente livorosi. Perché in qualsiasi posto al mondo un’eccellenza locale starebbe a cuore ai cittadini.

Macché, Venezia no. A Venezia una canea di proteste e lamentele. Le inesauste vestali della decrescita felice, quelli che è tutta colpa di Brugnaro, quelli che il delicatoequilibrioidrogeologico (ormai è diventata una parola sola..) della gronda lagunare, quelli che gli sporchi interessi del business… Cui si aggiunge, e ti pareva, la tuttologa UNESCO che si dice convinta che “le strutture aeroportuali esistenti abbiano raggiunto la capacità di carico e il limite di compatibilità con i valori patrimoniali della Laguna, in particolare nelle vicinanze dell’aeroporto e delle sue connessioni con la Città di Venezia. Espansioni sostanziali delle attuali strutture aeroportuali devono pertanto essere pianificate per un’altra localizzazione..” Una dichiarazione apodittica e ridicolmente prescrittiva: le espansioni devono essere pianificate altrove.. ma a che titolo?..

Né poteva manca Italia Nostra che tramite il prof. Lanapoppi tocca picchi di lirismo non banale: “Ma proprio qui dovevano farlo? … c’è tanta bellissima pianura attorno a Treviso … noi siamo solo 50 mila. Vorremmo restare tranquilli nella bellezza del nostro paesaggio. Avere un massimo di 20 mila turisti al giorno. Invece loro cementificano. Dovranno disfare tutto, perché tra qualche decennio la gente rinsavirà, capirà di più e cercherà di ritornare all’antica pienezza di vita”.

Ebbene, caro professore, le do una notizia: in tutta la pianura veneta, vada a controllare su Google Earth, non c’è un buco che sia uno dove ci sta un aeroporto. Ma soprattutto: l’aeroporto non serve solo ai poveri 50000 veneziani, serve ad un’area vasta di cui Venezia giustamente si deve candidare ad essere Capitale; non è funzionale solo al turismo: l’aeroporto serve alle imprese, alla gente che lavora, che deve muoversi per il mondo, a quella classe professionale che io e lei vorremmo riportare a vivere (anche) a Venezia, serve ripeto a dare lavoro (e magari qualificato) ai nostri giovani, che non devono emigrare e che magari trovano un reddito alternativo a fare gli affittacamere. Insomma è un motore di sviluppo del territorio, sviluppo del tutto alternativo alla monocultura turistica che lei tanto abborre. Ed io con lei.

Ma questa vicenda merita attenzione non tanto per il merito (per fortuna l’aeroporto continuerà per la sua strada), piuttosto perché evidenzia una volta di più l’esistenza in questa città di un diffuso mal di pancia protestatario e vagamente luddista. Un pot-pourri di gruppi diversissimi e magari anche lontani politicamente. Una galassia mutevole che si coagula occasionalmente intorno a temi i più disparati, che incontra di volta in volta per strada compagni di viaggio più o meno interessati, una volta incrociando l’interessamento peloso dei separatisti dell’una o dell’altra parte, un’altra volta (sempre) gli antibrugnariani in servizio attivo, una certa sinistra ambientalista nostalgica, quelli che protestano per il ponte Molin o per l’ambulatorio per gli immigrati in centro a Mestre, quelli che sono stufi dei turisti o del freddo o del caldo, o delle zanzare. Ma non è un’armata Brancaleone: vanta dei punti di forza significativi, accomuna il popolano e l’elitario, dimostra una buona capacità di mobilitazione e gode di buona visibilità sui media perché fa notizia.

Se alle prossime Comunali i “quelli che..” trovassero un masaniello che riesca a rappresentarli tutti, anche solo per l’espace d’un matin della tornata elettorale, sarebbero dolori. È un’ipotesi remota ma non impossibile.