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Vabbè che come è d’uso dire “gli Italiani hanno la memoria corta”, ma non mi ricordo una crisi di Governo più slabbrata, confusa, così poco istituzionale come questa.

Commentare e fare previsioni alla luce della ridda di notizie, “si mormora”, “si dice”, retroscenando oltre ogni logica, mi pare del tutto improbabile e inutile.

Anche adesso che il quadro si è definito, almeno nelle premesse politiche, i dubbi, le perplessità, gli sgambetti dietro l’angolo, ogni possibile tentativo di complicare le cose, sono lì a segnare una stagione in cui il meglio che si possa dire è “Salvini è stato messo nell’angolo” (per il momento).

Per cui non rimane che attendere lo sviluppo degli eventi, alla luce di quelle che saranno alla fine le conclusioni che tirerĂ  il Presidente Mattarella dopo questo secondo giro di ballo. Affidando a Giuseppe Conte il mandato a formare un nuovo Governo.

Certo è che non deve essergli piaciuto molto se consideriamo, al di là della notoria sobrietà e discrezione dell’uomo, la manifesta rigidezza che si esprimeva attraverso il suo standing, il suo tono di voce, le sue parole molto nette. I più bravi la definiscono “prossemica”.

Alla fine del primo giro ai più è sembrato incavolato oltre misura perché c’è più di qualcuno che l’ha preso in giro o forse ha pensato di traccheggiare ancora una volta senza prendere un orientamento minimamente chiaro e convinto.

I vari personaggi sulla scena hanno dato l’impressione di comportarsi, più che nel rispetto delle Istituzioni e del Paese, quasi stessero invece interpretando uno dei più noti drammi pirandelliani.

Lascio a voi scegliere fra “Questa sera si recita a soggetto” e “Sei personaggi in cerca di autore”.

In ogni caso vale la pena provare a tracciare una qualche riflessione non tanto sul finale di partita, ancora del tutto indefinito, ma proprio sul comportamento degli interpreti di questo dramma politico tutto italiano.

Non che dalle altre parti dell’Europa le cose vadano meglio in ordine a crisi di Governo (Spagna su tutte) o a indecisioni derivanti da referendum improvvisati e dagli esiti, ma soprattutto dalle conseguenze, non sufficientemente valutate e soppesate, (Regno Unito la fa da maestro) o ancora dalle difficoltà derivanti dai risultati elettorali che definiscono nuovi equilibri e nuovi rapporti di forza fra i diversi partiti (Germania docet).

Ma c’è un limite a tutto e soprattutto alla decenza. Nel senso della mancanza del rispetto dei cittadini, della precarietà delle posizioni politiche, dell’indifferenza delle alleanze, dell’insussistenza programmatica, della sottovalutazione delle vere e reali ragioni che ci hanno portato a tutto questo, della mancanza di una strategia di politica economica che sappia fare i conti con le emergenze e le carenze strutturali del Paese.

Che alla fine si parli con chiarezza ai cittadini senza continuare a propinare solo slogan e proclami o promesse che nessuno, in queste condizioni economiche, può mantenere.

A meno che non si voglia andare a sbattere o si decida per un’uscita unilaterale dal sistema economico europeo (ItalExit).

I personaggi e interpreti di tutto questo pessimo teatrino (Mattarella a parte, di cui si è già detto) hanno manifestato in ruoli diversi, in modi radicalmente differenti le loro propensioni, le loro incertezze, le loro vacuità, le loro ambizioni. Spesso smisurate.

In ordine logico e fattuale: Matteo Salvini.

Ha aperto una crisi fuori tempo, non tanto perché Agosto è il mese delle vacanze (parlamentari, ma non solo), ma perché il suo obiettivo era quello di andare alle elezioni anticipate, per avere la maggioranza che gli accreditavano i sondaggi, così da esercitare i tanto agognati “pieni poteri”.

Qualcuno dice anche per non dover firmare una manovra troppo complicata e soggetta alle valutazioni severe della Commissione Europea, al di lĂ  delle vuote promesse (vedi sopra).

Qualcun altro dice anche perché il Russia gate sembra incombere giudiziariamente e pericolosamente per le sue fortune politiche.

Ma non ha fatto i conti con le regole parlamentari, e se n’è fregato bellamente del rispetto delle Istituzioni.

Vuoi per ignoranza, vuoi per supponenza, vuoi, piĂą facilmente, per arroganza.

Su questo ha scritto limpidamente su queste stesse pagine Lorenzo Colovini https://www.luminosigiorni.it/2019/08/la-realta-illusoria-di-salvini/?fbclid=IwAR0x2Qt786GdXTwIRdGhPV7wJRVuSFMpEAMqUDf25K4zPrsZeeuYetexE14

Se fosse voluto andare alle elezioni avrebbe dovuto provare, al netto delle reazioni che poi ci sono state, ad aprire la crisi subito dopo le Elezioni europee perché i tempi gli avrebbero garantito di portare a casa una Legge di Bilancio come la voleva lui, tutta promesse e slogan, tutta a debito, tutta contro l’Europa e i suoi vincoli e soprattutto il superamento delle clausole di salvaguardia (aumento dell’IVA) a Governo insediato.

Alla luce delle prassi, dei tempi regolamentari, di quelli parlamentari, ad oggi, un’elezione anticipata (fine Ottobre – primi Novembre) ci avrebbe portato alla costituzione di un Governo salviniano non prima di Fine Anno. Con il che non solo sarebbero scattate le Clausole, ma persino l’Esercizio Provvisorio di Bilancio.

Sempre che il suo disegno fosse andato in porto come lui si augurava e sperava. E come molti cittadini, e molti Parlamentari, che alla fine sono quelli che decidono, invece hanno visto come un pericolo reale.

Luigi Di Maio: il gestore dei “Do Forni” – con tutto il rispetto per la Famiglia Paties che gestisce l’omonimo e rinomato ristorante veneziano – che sta camminando sul filo, per mantenere a tutti i costi in vita il Parlamento vigente.

Per le ragioni opposte del Capitano (capitan Fracassa per i più generosi, Capitone per i più scafati). E che le sta provando tutte senza quel minimo di coerenza che ha spinto il “suo” Presidente del Consiglio (l’avvocato del Popolo Giuseppe Conte) – quello del “sarà un anno meraviglioso” – a pronunciare, per altro molto tardivamente, persino fuori tempo massimo, una delle più dure, inequivocabili e ferme reprimende rivolte al suo junior partner governativo. Omologo del di cui Luigino.

Nicola Zingaretti: signor Tentenna, il quasi segretario del PD, che ci sta provando a darsi un tono, una linea, confusamente, così come sono confuse le voci che provengono dall’interno di quella formazione politica. E se non sono proprio confuse, sono quantomeno contraddittorie con le decisioni che – udite-udite! – sono state prese per questa volta (dopo anni) all’unanimità.

Avendo alle spalle, o meglio sulla sua spalla, appollaiato come Jo Condor, un Matteo Renzi che se ha avuto il coraggio e la prontezza di stoppare l’iniziativa salviniana – e di questo gli va riconosciuto non solo il merito, ma anche la sfacciataggine – non può pensare che il popolo “democratico”, il popolo del CentroSinistra allargato si senta appagato e soddisfatto di ingoiare il rospo più grande che gli sia mai capitato di trangugiare.

Tant’è che un fermissimo e determinatissimo Carlo Calenda ha deciso di separarsi dal Partito che l’aveva accolto a braccia aperte e con il quale ha percorso molto positivamente un tratto di strada comune.

PerchĂ© questo Governo che si sta profilando in un quadro di alleanza politica, non piĂą un contratto, fra M5S e PD – che fino a ieri l’altro si sono sparati a “palle incatenate” – è, ad essere generosi, una scommessa delle piĂą azzardate.

Molto più facilmente è un rischio ad altissima intensità che dovrà pagare dazio agli elettorati dei due partiti che guardano con diffidenza, scetticismo e molta apprensione la prospettiva a medio termine.

Perché solo una “rivoluzione culturale”, una vera e propria revisione del pensiero politico da parte del PD e una rifondazione valoriale da parte del M5S potrebbe mettere una pezza a questo mostro a due teste che si sta profilando. Ribaltando le previsioni più pessimistiche.

Anche se nemmeno ai tempi del Comitato Centrale di memoria “picciina” (il PCI) e del suo “centralismo democratico”, nessuno si peritava di dichiarare “compagni ci siamo sbagliati, i coccodrilli non volano”