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Chiude i battenti la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Arrivederci alla gaia liturgia del glamour, delle star e dei red carpet e soprattutto arrivederci ai film. Anche quest’anno mediamente di buonissimo livello, ennesimo record di biglietti venduti e conferma dello standing sempre solido di questa anziana e rispettabile Signora nata nel ’32. Ancora una volta il Lido saluta l’atmosfera simpaticamente incasinata e l’umanità la più varia che l’ha popolata per 10 giorni. Sì, perché chi ama il cinema può essere di destra o di sinistra, ricco da far schifo o povero in canna, bello o brutto, intellettuale ascetico o sibarita.. ma la magia dello schermo che illumina la sala buia accomuna tutti coloro che amano questa forma d’arte.

Senza nessuna pretesa di essere esaustivo, condivido le mie amatoriali e del tutto personali impressioni sui film che ho avuto il piacere di vedere.

J’accuse – di Roman Polanski

Ricostruzione accurata e cronachistica del celebre affaire Dreyfuss che scosse la Francia alla fine del XIX secolo, quando il capitano Alfred Dreyfuss fu accusato ingiustamente di alto tradimento (e successivamente riabilitato).

L’eroe e protagonista assoluto del film è il Colonello Georges Picquart che, giunto a capo dei Servizi Segreti si rende conto dell’innocenza di Dreyfuss e della fragilità delle prove raccolte sotto la guida del suo inetto predecessore. Picquart persegue pervicacemente, e pagando pesantemente di persona, la rivelazione della verità. Il colonnello obbedisce a un imperativo categorico interiore, nonostante sarebbe molto più facile adeguarsi alle pressioni di tutta la struttura gerarchica e non ammettere l’errore compromettendo il prestigio dell’Esercito. Grande lezione di etica e fa piacere che sia una storia vera.

Una scena del film ©MadMass

Una scena del film ©MadMass

È questo a mio parere l’aspetto migliore dell’opera che pecca, invece, nella contestualizzazione storica. La Francia dell’epoca viene dipinta come livorosamente antitedesca e antisemita (ma con gli anticorpi democratici, primo su tutti una libera stampa) ma meritava uno sguardo meno sbrigativo. Resta peraltro (volutamente?) ambiguo l’aspetto della questione ebraica. Dreyfuss viene incolpato per una serie di superficiali errori, non in quanto ebreo ma il fatto che lo fosse lo rende un colpevole “comodo” per tutti. Sontuosa la mise en scene, talvolta persino stucchevole nella ricerca ossessiva di inquadrature che richiamino Manet o Toulouse Lautrec. Film da vedere, comunque. E fermarsi a riflettere su quanti pochi Georges Picquart ci sono in giro.

 

Joker – di Todd Phillips

Arthur Fleck, alias Joker, non è un barbone. Ha una casa (vecchia ma dignitosa), un lavoro per quanto non gratificante, una madre. Non, dunque, uno degli ultimi. Ma uno dei (tanti) penultimi. Quelli “dimenticati”, quelli che per la società sono un peso. Disagiati, invisibili, spesso vittime di gratuite vessazioni, con un carico di speranze deluse e velleitarie, insieme illusi e rassegnati e, soprattutto, disperatamente soli. La sola certezza è di non interessare a nessuno, di non essere mai davvero “ascoltati”, neppure dall’assistente sociale.  Nessuno a cui rivolgere il suo personale grido di dolore in JoaquiPhoenixuna Gotham City livida e minacciosa, ma non distopica (il mondo degli altri funziona regolarmente), traboccante di pattume e di gentaglia. Arthur quasi per caso scopre la strada della ribellione, il gusto acre e inebriante della violenza (e lo spettatore con lui: impossibile non compiacersi quando massacra i tre giovinastri in metropolitana). Straordinariamente centrati e organici al racconto i vecchi classici musicali (la cavalcata dell’auto della polizia con Joker a bordo nella città in rivolta sulle note di White Room dei Cream è da delirio!). Monumentale la prova attoriale di Joaquin Phoenix, ora guitto, ora dolente reietto, ora leggiadro ballerino, ora vendicatore. Un po’ Edipo, un po’ Amleto. Film asperrimo e affascinante. Imperdibile.

 

Adults in the room – di Constantin Costa Gavras

Tratto dal libro-diario di Yanis Varufakis è un dietro le quinte dei mesi roventi che seguirono alla salita al potere in Grecia del Partito Syriza e alle baldanzose aspettative di trattare con l’Europa una revisione delle clausole capestro imposte dalla Troika per rientrare del colossale debito accumulato.

Venezia 76 - "Adults In The Room" Photocall

Venezia 76 – “Adults In The Room” Photocall

Aspettative infrante contro l’indifferenza per la tragedia umanitaria nel Paese, vanificate dalla stolida ottusità dei funzionari di Eurogruppo, IMF, BCE, dallo strapotere del Ministro delle Finanze tedesco. Costa Gavras, nonostante i venerandi 86 anni, maneggia con agio la sua materia preferita, il cinema politico di denuncia, la descrizione critica del Potere, delle sue ipocrisie, delle sue fissazioni infantili (che fanno dire alla Lagarde “we’d need some adults in the room” da cui il titolo) per le dichiarazioni finali e le foto di gruppo.

Lo spettatore è catapultato ai tavoli di negoziazione, sente lo stringersi della morsa del dilemma tra la resa o l’uscita dall’Euro, sottoposto alla fine a referendum popolare (il cui esito verrà disatteso) fino alle dimissioni di Varufakis e alla resa incondizionata di Tsipras. Classico film da godersi in originale, con dialoghi in greco e inglese soprattutto. Roba da Mostra del Cinema. Insomma.

Certo, è un racconto di parte, di uno dei protagonisti di una fazione ma credo assai probabile che anche le manifestazioni che sembrano esageratamente aggressive siano vere. Basti leggere il linguaggio assolutamente lontano dal politichese dell’accordo finale che all’epoca sancì la mortificante sottomissione e la totale cessione di sovranità della Grecia.

Un film che piacerebbe a Salvini..

 

Guest of honour – di Atom Egoyan

Vorrebbe essere un thriller dei sentimenti che svela, tramite un ininterrotto susseguirsi di flash back, una vicenda dalle pieghe tragiche attraverso i punti di vista dei due protagonisti, padre e figlia.  Ma ne viene fuori un film fiacco e poco coinvolgente; manca di sostanza, il disvelamento progressivo risulta artificioso, non pochi aspetti sono poco credibili. Di rara inespressività la protagonista (Laysla De Oliveira) che nelle intenzioni degli autori dovrebbe essere l’eroina della vicenda ma finisce per risultare solo una stronza.

Bravo altresì il padre (David Thewlis), nonostante le incongruenze a cui lo costringe una sceneggiatura inconcludente.

 

Lan xin da ju yuan (Saturday fiction) – di Lou Ye

Gli ingredienti per un gustoso melodrammone noir stile Hollywood anni ‘40 c’erano tutti, perfino il bianco e nero sgranato da pellicola logorata dal tempo. Ambientazione esotica nella Shangai ancora (per poco) “isola” libera nel mare dell’occupazione giapponese, nei giorni immediatamente precedenti Pearl Harbour e guerra di intelligence tra giapponesi e alleati. Insomma, ci si poteva aspettare un Casablanca in salsa cinese. Niente di tutto questo, purtroppo.

gongLiUna star del teatro ritorna a Shanghai (Gong Li), ufficialmente per recitare in una pièce teatrale ma in realtà… ecco, appunto, in realtà per cosa? Liberare l’ex marito? Fare la spia per gli alleati? Rivedere l’amante? Non si capisce nulla fino alla grottesca carneficina finale in cui la protagonista, che in teoria è un’attrice prestata allo spionaggio, si dimostra una pistolera che neanche Rambo..

Gong Li estorce informazioni, amoreggia (con un lui o una lei), stermina agenti giapponesi.. sempre con identica espressione, tra l’imbronciato e l’annoiato (vedasi foto sopra). Sembra dirsi ma che ci faccio io in questo pasticcio?

 

Martin Eden – di Pietro Marcello

Film notevole solo per lo iato tra le evidenti ambizioni e il risultato poverissimo.  Liberissimamente tratto dal romanzo di Jack London (da cui prende quasi nulla), l’idea forte è situare l’azione in una Napoli temporalmente “cubista”, dove c’è la televisione ma essere socialista è un peccato mortale, gli operai sembrano credere di essere alla Comune di Parigi  e la famiglia Orsini sembra vivere nei primi decenni del secolo. La voglia insomma di abbracciare l’intero Novecento sottolineata anche dal pesante intercalare di immagini di repertorio. Ne risulta un effetto di straniamento fastidioso che grava su tutto il film, oltretutto affetto da un ritmo narrativo fiacco e lento.

Non si riesce neppure a simpatizzare con il protagonista, il cui interprete ha vinto la Coppa Volpi. Che non è andata a Joaquin Phoenix (che l’avrebbe meritata cento volte più di Luca Marinelli) solo perché Joker è stato insignito del Leone d’Oro.

Una puttanata pretenziosa e indisponente.