Sono tra coloro che provano grande simpatia per i Curdi. E credo di essere in buona compagnia.
Per la umana solidarietà per tutti i popoli senza patria, illusi e traditi più o meno da tutti nel corso della storia recente. Un popolo “vero”, non come certi irredenti da operetta in Europa, con una precisa identità etnica, la cui popolazione (circa 20 milioni) è divisa tra (almeno) quattro Paesi diversi spesso in conflitto tra loro.
Per la eroica resistenza che i curdi uomini e donne (queste ultime organizzate in una milizia tutta loro, la YPJ) hanno offerto contro l’ISIS, probabilmente determinante ai fini della sconfitta del Califfato sul piano bellico. Una pagina epica e seguita in Occidente con partecipazione; qualcuno ricorderà la effimera notorietà per esempio di Asia Ramazam Antar, bellissima combattente del YPJ, morta sul campo a 20 anni combattendo i maledetti tagliagole. E purtroppo di martiri, e soprattutto donne, avremo nelle prossime settimane abbondanza. Recentissima, Hevrin Khalaf, l’attivista per i diritti delle donne e la convivenza tra curdi, arabi e cristiani. Stuprata e lapidata da una milizia jihadista filo turca.
Ma soprattutto, diciamolo, i curdi ci stanno simpatici perché sono moralmente nostri fratelli: nello spazio che in Siria sono riusciti a conquistarsi, l’Amministrazione Autonoma Rojava, hanno edificato una società aperta, democratica, ove la donna ha stessi diritti dell’uomo, tollerante e pluralistica in religione.. insomma un raggio di luce in una regione del mondo straziata da tiranni sanguinari e fanatici integralisti. In questo senso, la povera Hevrin Khalaf è stata un bersaglio emblematico, direi quasi necessitato.
Per questo l’aggressione da parte turca ai curdi siriani, cui il ritiro delle truppe USA ha dato luce verde, stringe il cuore.
Naturalmente, soprattutto in politica e diplomazia, non è tutto bianco o tutto nero, ogni parte ha le sue ragioni. Perfino l’orrido satrapo di Ankara. Alla Turchia va sicuramente riconosciuto di avere offerto un tributo di sangue non indifferente nella guerra contro l’Isis, combattendo duramente casa per casa. Inoltre il tormentato rapporto con i curdi è un tema sensibile in tutto il Paese dove non si contano, negli anni, gli atti di matrice terroristica del PKK, l’organizzazione filomarxista curda internazionalmente riconosciuta come un gruppo terrorista. Comprensibile che tutto il Paese viva come un incubo il nascere di un Kurdistan ai confini.
Quanto a the Donald, questa volta ha operato la scelta (dal punto di vista egoistico del suo Paese, ma questo è il suo mestiere) più razionale. Non gli capita spesso ma in questo caso gli va riconosciuto. Svanito l’ambizioso disegno di Obama di “soffiare” la Siria, o perlomeno una sua parte, all’influenza russa, non ha senso mantenere truppe in quell’area. A che pro? Spese ingenti, soldati fuori casa, le elezioni che incombono.. sai che gli frega agli elettori del Minnesota dei curdi. E quindi yankees a casa e no one the wiser, chi si è visto si è visto…
Ecco, magari qui in Europa ci frega dei curdi qualcosa di più che in Minnesota, per vicinanza ideale e geografica e anche, egoisticamente, per i possibili impatti dell’ennesima guerra fuori del giardino di casa. E infatti i titoli dei giornali del primo giorno erano un fremere di preoccupazione e indignazione. Coerenza avrebbe voluto che per tempo si fosse messa in piedi una forza di interposizione europea al posto delle truppe USA (come Trump aveva chiesto inascoltato). Oppure, con tutto il peso dell’Europa Unita e della potenza di fuoco dell’esercito europeo, diffidare il despota turco dal fare un solo passo oltre la frontiera siriana altrimenti…
Ecco appunto, altrimenti cosa? Altrimenti nulla, perché non c’è un esercito europeo, non abbiamo alcun potere dissuasivo, meno che meno la possibilità di decidere seduta stante di mandare un contingente di soldati, non abbiamo un organismo sovranazionale in grado di prendere decisioni immediate, di parlare con una voce. E, tragicamente, non c’è stata neppure una immediata presa di posizione unitaria europea, ma i singoli capi di stato hanno balbettato proteste esecrazione e indignazione. Con il risultato che Erdoğan il giorno dopo ha tranquillamente addirittura irriso l’Europa dicendo, in sostanza, “zitti e buoni se no vi mando milioni di rifugiati”.
Risultato: i titoli di prima pagina, in un giorno, sono passati dagli accorati La Turchia attacca La tragedia dei Curdi a terrorizzati Erdoğan ci manda i profughi.
Molti commentatori hanno osservato quanto sopra, mettendo soprattutto l’accento sulla presunta ipocrisia dell’opinione pubblica europea che si preoccupa molto dei curdi stando in salotto a vedere la TV o manifestando per le strade ma si indigna se gli altri non li vanno a difendere con i boots on the ground.
C’è certamente questo elemento. Ma io credo che la lettura sostanziale sia ancora peggiore. Più dell’ipocrisia, la vicenda certifica l’impotenza dell’Europa, la sua inesistenza come soggetto sullo scacchiere internazionale e, ancor più grave, l’incapacità di pensarsi come tale. In questo senso è patetico che, a una settimana dal disastro (una settimana!!) i ministri degli Esteri della UE si siano incontrati ieri e abbiano deciso di, ognuno separatamente, proclamare l’embargo di vendite di armi alla Turchia. Separatamente, perché non sia mai che qualcuno voglia pensarci su. Embargo di armi totalmente inutile perché la Turchia è già superarmata e rifornita. Nel comunicato finale, dopo lungo tribolare (perché UK, Bulgaria e Ungheria nicchiavano..) è apparsa la parola condanna. Ma con molta prudenza, perché altrimenti Erdoğan si incazza. E la Mogherini tutta soddisfatta ha dichiarato “risultato niente affatto scontato”. Il ridicolo e il tragico insieme è che ha perfettamente ragione: poteva anche andare peggio!
È la dimostrazione che ci vuole PIÙ Europa. Altro che i deliri dei sovranisti. Pena l’irrilevanza. Pena, per la prima volta nella storia dell’umanità, diventare provincia e non capitale del mondo.

Nato a Venezia, vi ha sempre risieduto. Sposato con una veneziana, ha due figli gemelli. Ingegnere elettrotecnico, ha lavorato all’Enel dal 1987 al 2022, è stato Responsabile della distribuzione elettrica della Zona di Venezia e poi ha svolto attività di International Business Development Manager, lavoro che lo ha portato a passare molto tempo all’estero. È stato presidente del Comitato Venezia Città Metropolitana, esponente di Venezia Una&Unica. È in pensione dal 2022