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Uno degli argomenti decisivi, che da solo dovrebbe essere tale da convincere i dubbiosi, è la considerazione del complicatissimo processo di separazione sul piano giuridico e amministrativo. Dividere due parti che decenni di amministrazione hanno saldato e intrecciato inestricabilmente è impresa al limite del temerario. Giova innanzitutto sottolineare che non esistono precedenti. Non esiste un paradigma certo di riferimento, alcuna linea guida, tanto che neppure si ha certezza del criterio di ripartizione dei beni. Tutta la materia è nebulosa anche perché i casi di scorporo di contano sulle dita di una mano in tutta Italia. Un esempio prezioso è il Cavallino ma proprio quello, pur essendo una frazione molto piccola che si è staccata, dimostra che anche in quel caso infinitamente più semplice è stato un casino tanto che a vent’anni di distanza non è ancora risolta. Andate a leggere per esempio l’ordinanza del TAR in merito al ricorso del Comune (n° 1029/2001 per i curiosi) avverso la prima ripartizione stabilita dalla allora Provincia: davvero illuminante e (terrorizzante) leggere di difficoltà derivate dalla “mancanza di previsioni legislative” e della finale dichiarazione di impotenza in cui si legge “occorre dunque sospendere il giudizio perché sulla questione di pronunci la Corte Costituzionale”. Ma torniamo alla ripartizione dei beni. Ripartizione per abitanti? Per superficie? o, come per il Cavallino, la media aritmetica delle due? (il che per inciso favorirebbe clamorosamente Venezia, con buona pace degli aspiranti amministratori mestrini che dicono che la separazione sarebbe un affare). C’è da ripartire i beni immobili: ovviamente il criterio è la localizzazione geografica ma come la mettiamo con il valore patrimoniale complessivo (visto che il patrimonio immobiliare in valore è molto sbilanciato su Venezia? Poi i beni mobili, le partecipazioni (azioni e quote) nelle varie controllate, i contratti accesi con terzi e, non ultimi i rapporti finanziari e patrimoniali. Due sole cose: vi sono mutui contratti dal Comune in cui, come di prassi, si è dato un immobile, un patrimonio in garanzia. Nella generalità dei casi questo si trova nella parte lagunare, per ovvi motivi. Il giorno che si dividesse il Comune la quota di mutuo di competenza del Comune di Mestre (Dio sa come stabilita per quanto visto sopra) NON avrebbe copertura della garanzia perché il Comune di Mestre non ha più la titolarità del bene in garanzia. Risultato: l’ente prestatore chiederebbe di rientrare col debito (oppure di porre un immobile di altrettanto valore in sostituzione). Risultato: Comune di Mestre in default nel primo anno di esistenza.

Infine le partecipate: il Comune di Venezia ha da sempre, per saggia politica, badato a detenere almeno il 51% delle quote in quelle che non a caso si chiamano controllate. La ripartizione di questo 51% o più, quale che sia, comporterà la perdita della maggioranza di controllo sia da parte del Comune di Venezia che di quello di Mestre. Quindi, vi do una notizia: non ci saranno più controllate perché appunto tali non saranno. Ce ne faremo una ragione, direte voi, ma consentirete che non è il miglior viatico per i due neonati Comuni. Nota a margine: qualche separatista non particolarmente informato a volte obietta: “che problema c’è? Veritas, ACTV ecc, già svolgono la loro attività in altri Comuni oltre a quello di Venezia?”. Per quanto ovvio precisiamo: non c’entra nulla. Un conto è l’area di competenza del servizio svolto, un conto il controllo azionario da parte di un Comune.

Ultima perla – mi si perdonino queste note di colore ma è importante che si colga la sproporzione tra le problematiche in gioco e l’inconsapevolezza delle stesse – uno dei più autorevoli esponenti del separatismo, nel corso di un batti e ribatti su FB sul precedente del Cavallino, ad un certo punto è sbottato: “basta parlare del Cavallino, è troppo piccolo per essere preso a paragone”. Spero si colga il paradosso. Una aggravante (se c’è stato casino col piccolo, figurarsi il caso grande..), diventa, nel meraviglioso mondo dei separatisti, un motivo di negazione del problema…

Perché tanto lo sappiamo, anche quanto sopra sarà sicuramente bollato come terrorismo..

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Perché queste note

Queste note nascono dalla constatazione che un dialogo con i separatisti non è possibile. Perché ogni tentativo di fare informazione seria si vanifica in un estenuante batti e ribatti con considerazioni surreali esposte sovente in modo aggressivo. 

L’ho chiamata “Dieci ragioni per me posson bastare” in omaggio al grande Lucio: una ragione diversa per dieci giorni esposta brevemente (ove possibile) per cui sostengo che la separazione sarebbe sbagliata e anzi una jattura. Per la città d’acqua e per quella di terra.

Anche solo riuscissi a far meditare uno dei lettori, non sarebbe stato sforzo vano.