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La liberazione di Silvia Romano è un avvenimento gioioso, un epilogo positivo di un dramma durato 18 mesi, che in certi momenti aveva fatto temere il peggio.

Il ritorno della ragazza, il suo abbigliamento appena scesa dall’aereo, le sue prime dichiarazioni hanno scatenato commenti da ambo le parti dello schieramento politico, e soprattutto da parte degli attivisti dell’una e dell’altra parte che non perdono occasione di manifestare sui social le loro “passioni”. Da una parte insulti pesantissimi, vergognosi, spesso di stampo sessista, trattandosi di una donna – purtroppo pesano ancora molto gli stereotipi di genere -, dall’altra celebrazioni incondizionate, acclamazioni di stampo buonista, totalmente assolutorie, vertenti sulla libertà di abbigliamento, sulla libertà di intraprendere compiti rischiosi, addirittura sulla esiguità per ciascun cittadino italiano del – probabile – importo pagato per il riscatto, una considerazione ridicola.

Si è ironizzato pesantemente sulla sua conversione all’Islam, fatto che dovrebbe essere visto con umana comprensione, in quanto probabilmente un espediente per sopravvivere, per porsi al riparo di ritorsioni qualora le prospettive di liberazione fossero scemate. La Romano ha affermato all’ANSA che la sua conversione è stata “spontanea e non forzata” (ANSA, 12/5/20). Comunque, “Ora è libera sia di accettarla consapevolmente sia di liberarsene” (come scrive Tahar Ben Jelloun nell’articolo “I misteri di una conversione” su Repubblica del 12/5).

Riguardo a Silvia Romano, è fuori discussione la libertà di intraprendere la propria vocazione, anche in contesti rischiosi; solo che questa libertà deve essere accompagnata da una preparazione ai compiti richiesti, e dal diritto ad essere seguiti e protetti. I cooperanti costituiscono una ricchezza per il nostro paese e per quelli in cui vanno ad operare: ma la libertà di scelta e la buona volontà da sole non bastano, sono una precondizione, sia pur di basilare importanza.

Riguardo al riscatto: si presume che sia stato pagato. “E’ arrivata la prova in vita e si è trattato il prezzo del rilascio” scrive il Corriere della Sera (F.Sarzanini) del 9/5/2020.

E’ stata rapita o invece venduta, come ipotizzava all’inizio la polizia Keniota? (F. Sarzanini, Il Corriere del 16/5, “Rapita o venduta”?).

I rapimenti di personale occidentale, con il contrabbando ed il traffico di droga, costituiscono le principali fonti di approvvigionamento dei gruppi terroristici islamici presenti in Nord Africa, nel Sahel e nel Corno d’Africa. “In parecchi stati dell’area i nostri cooperanti sono conosciuti con il soprannome di “walking money”, “denaro che cammina”” (Jacopo Turri in LIMES dell’11/5/20). E inoltre (sempre Turri in LIMES) “Se l’Italia dovesse risultare (come sta avvenendo) l’unico grande paese occidentale disposto a pagare, i rapimenti finirebbero tutti con l’indirizzarsi inevitabilmente verso cittadini del nostro paese”.

Il costo dell’operazione non è consistito solo nell’ammontare del riscatto. E’ da considerare il costo prolungato delle operazioni, e soprattutto il costo politico per l’aiuto fornito dall’intelligence turca, per la sua conoscenza della realtà locale e la crescente influenza sulla Somalia; l’aiuto prestato comporta una contropartita da parte dell’Italia (“La contropartita geopolitica per la liberazione di S. Romano”, di F.Del Monte, DIFESAOnline dell’11/05).

Riguardo alla ONG. La Onlus in cui operava Silvia Romano, Africa Milele, è oggetto di indagine da parte dei magistrati, che indagano sulla documentazione relativa allo status di volontaria della Romano, e sulle modalità del suo rapimento. Ma una riflessione generale sul mondo delle ONG si impone.

Le ONG per beneficiare dei contributi della cooperazione italiana devono essere riconosciute dal Ministero degli Esteri. Sono soggetti politici talora molto potenti, ricevono finanziamenti da Governi e Nazioni Unite. Molti cittadini, aziende e associazioni versano contributi alle ONG, ed è loro diritto conoscere come vengono impiegati i fondi.

Ma pare che i sistemi di registrazione siano piuttosto superficiali; e pare – il condizionale in questi casi è d’obbligo – che in Italia l’AICS, l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, che eroga sovvenzioni alle ONG italiane, non esamini i dettagli dei destinatari finali delle ONG. Quanto sopra secondo Gerald Steimberg, presidente israeliano di NGO Monitor, organizzazione che controlla i possibili legami del mondo del volontariato con i gruppi dei terroristi. “Molti governi, come nel caso dell’Italia o della UE, che assegnano denaro alle ONG e i cui fondi vengono poi trasferiti ad altre ONG, fanno affidamento sull’autocertificazione dei destinatari e non si preoccupano di svolgere analisi indipendenti” (Articolo di G. Perino, “L’Israeliano che scova i terroristi nelle Ong: Più controlli sui finanziamenti di ONU e UE”, Il Messaggero del l’11/6/2019). E’ una critica di parte: ma se corrispondesse al vero, questa mancanza di supervisione e di linee guida per il finanziamento costituirebbe una vistosa e pericolosa falla.

Ci si chiede: esistono rendiconti, da parte delle ONG, non solo delle spese effettuate, ma anche del lavoro svolto e dei risultati raggiunti?

Il problema della trasparenza è sentito anche da associazioni del settore cooperazione; vengono propugnati l’adozione per ogni ONG di uno standard di trasparenza, e uno di accountability, vale a dire di rendiconto dell’uso dei finanziamenti sia sul piano della regolaritĂ  dei conti sia su quello dell’efficacia della gestione. (Si veda il sito OPENCooperazione, che raccoglie dati sul mondo della cooperazione).

Il criterio della trasparenza è importantissimo, in quanto il mondo della cooperazione è variegato: il fatto che l’attività di cooperazione sia encomiabile e necessaria, non vuol dire che ogni organizzazione ed il suo agire siano parimenti apprezzabili ed efficaci.

E’ con l’informazione e la trasparenza – di cui le ONG per prime debbono farsi carico –, e con il controllo da parte delle agenzie statali, che si può alimentare la fiducia dei donatori e si possono mantenere attività indispensabili per aiutare le comunità in difficoltà.