Luminosi Giorni, con spirito di servizio al fine di accrescere la consapevolezza per il prossimo voto alla Amministrative del Comune di Venezia, ospita una serie di interventi di personalità che riteniamo offrano spunti di riflessione per un voto ponderato e consapevole. Gli amici che hanno cortesemente offerto il loro contributo provengono da aree culturali, politiche e ideali le più diverse e offrono visioni talvolta molto confliggenti tra loro. Ma mai banali. Come Redazione ci piace pensare di poter contribuire a un confronto sereno e non fazioso sui temi che riguardano il futuro della nostra città. Alcuni degli autori scenderanno personalmente nell’agone elettorale. A loro, indistintamente, va il nostro in bocca al lupo e a tutti, candidati e no, un sentito grazie per la collaborazione.
Lo si sente dire un po’ ovunque, un po’ da tutti, a volte un po’ a sproposito: Non c’è sicurezza! Venezia è in mano alla delinquenza! I cittadini sono indifesi e abbandonati!
Il problema innegabilmente esiste ed è centrale nella vita e nello sviluppo della città. Ma come si realizza una città in cui i cittadini si sentono e soprattutto sono sicuri? Sì, perché il punto fondamentale è il reale livello di sicurezza, la percezione infatti è un aspetto importante ma anche facilmente manipolabile da chi è alla ricerca di un modo semplice per “raccattare” consensi. E non mancano certo esempi al riguardo. Una Venezia sicura per me significa una Venezia che può essere vissuta dai suoi abitanti e dai suoi ospiti in ogni luogo: nelle piazze, come nelle strade, nei parchi come nei luoghi di aggregazione. Perché ciò sia possibile la gestione della sicurezza non può essere, come è avvenuto in questi anni, demandata esclusivamente all’operato delle forze dell’ordine, il cui ruolo è fondamentale nel controllo del territorio e nella repressione dell’illegalità, ma deve essere sostenuta dal lato della prevenzione da un’altrettanta, se non più, importante azione volta a favorire lo sviluppo e la presenza di un tessuto di reti sociali e di servizi alle persone che vivono situazioni di disagio economico e sociale.
Di cosa si parla quando ci si riferisce a reti sociali o servizi alle persone? Prendiamo un esempio concreto: Gruppo di Lavoro via Piave. Un’esperienza sviluppata a Mestre che purtroppo dopo cinque anni si è dovuta momentaneamente interrompere per cercare un nuovo spazio in cui continuare ad operare (il problema degli spazi e della loro fruibilità influisce non poco sulla sicurezza della città). Il “Gruppo di Lavoro via Piave” non è altro che un gruppo di persone che hanno deciso di prendere in gestione un luogo per consentire ai cittadini di incontrarsi, esprimersi, dare vita ad incontri culturali, creare iniziative per mamme e bambini, consentire a immigrati di imparare l’italiano facendo così quel primo e fondamentale passo per una reale integrazione, aiutare persone in difficoltà e molto altro. Ecco, questo è ciò che si intende per rete sociale, presidio del territorio. Presidio oltretutto svolto in una zona, via Piave, nell’occhio del ciclone per quanto riguarda la sicurezza in città. Anche se su via Piave ci sarebbe da riflettere un attimo, soprattutto su una narrazione che per certi aspetti a volte appare superficiale. Quando sento dire o leggo che in via Piave sono tornate le prostitute, io che in quella zona vivo da oltre 50 anni, resto un po’ perplesso, perché le prostitute le vedo da quando ero bambino e più o meno sempre negli stessi posti.
Su questo, riallacciandomi a quanto dicevo prima, meriterebbe aprire un capitolo dal titolo “percezione vs realtà dei fatti”, dove un ruolo importante lo hanno i media che troppo spesso preferiscono fare un titolo ad effetto invece di dedicarsi all’approfondimento; ed essere così, veri, mezzi d’informazione.
Ma restiamo in via Piave, dove un altro discorso va fatto sullo spaccio di droga che è drammaticamente cresciuto, trasformando Mestre in un centro primario di smistamento. Senza volermi addentrare sul tema di politica nazionale dell’antiproibizionismo, che ritengo una via almeno da sperimentare a fronte del fallimento a livello globale delle politiche proibizioniste; sono convinto che a Venezia sia indispensabile riattivare e potenziare il servizio degli operatori di strada, uno strumento che in passato ha già dimostrato la propria utilità sia fornendo un valido aiuto a chi si trova nella marginalità del mondo delle tossicodipendenze attraverso la pratica della riduzione del danno, sia svolgendo un’attività di monitoraggio attraverso la quale avere in tempo reale il polso della situazione e delle criticità del territorio.
Mi pare evidente che sul problema droga a Venezia in questi anni sia venuta meno la capacità e soprattutto la volontà di operare sul fronte della prevenzione, dove è importante disporre di strumenti per recepire in anticipo i segnali di mutamento nel mondo delle sostanze stupefacenti e della loro diffusione. Questo ha portato a non essere attrezzati per reagire in modo tempestivo e di conseguenza abbiamo assistito ad un capillare insediamento di organizzazioni malavitose e a un drammatico aumento dei morti per droga.
Nel dibattito cittadino sulla sicurezza non manca il tema dell’immigrazione, tema sul quale,
accettando il rischio di essere impopolare per non essere antipopolare, sono convinto si debba compiere uno sforzo per cambiare approccio affinché questo fenomeno epocale sia visto come un’opportunità e non come un problema. Deve crescere la conoscenza agendo sul fronte culturale e comunicativo, si deve acquisire la capacità di mantenere distinti gli aspetti delinquenziali, di competenza di forze dell’ordine e magistratura, da quelli relativi all’integrazione sociale di quanti, e sono la maggioranza, giungono nel nostro paese e nella nostra città alla ricerca di un futuro per se stessi e le proprie famiglie. A Venezia e nella Città Metropolitana sono molti gli esempi di immigranti perfettamente integrati nella cultura e nel territorio che contribuiscono attivamente allo sviluppo economico e sociale, basti pensare per un attimo a quella moltitudine di immigrati ai quali ogni giorno affidiamo la cura e l’assistenza dei nostri affetti più cari per comprendere l’importanza che queste persone hanno, e sempre più avranno, nella nostra società. Ma anche a quanto importante sia il loro lavoro per moltissime aziende operanti nei più diversi settori, come testimoniano i recentissimi fatti di cronaca relativi all’azienda grafica di Quarto d’Altino o a quella agricola di Jesolo dove, immigrati regolarmente assunti, rappresentano una componente fondamentale nella produzione e nell’esistenza stessa delle aziende.
Venezia città sicura, quindi, è innanzitutto una città in mano ai suoi cittadini, una città la cui amministrazione mette a disposizione luoghi, occasioni d’incontro, di socializzazione, di integrazione, e consente agli abitanti di riappropriarsi degli spazi urbani facendoli tornare vitali, distruggendo così l’habitat naturale della criminalità rappresentato da spazi vuoti e senza vita sociale. Per fare questo è indispensabile riassegnare ruolo e funzionalità a quelle istituzioni che per prime vengono in contatto con i cittadini: le municipalità. Che non devono essere un doppione degli organismi comunali, ma, come recita lo statuto del Comune di Venezia, un mezzo per “rappresentare le rispettive comunità, curarne gli interessi e promuoverne lo sviluppo”. Che tradotto in azioni concrete significa rilanciare la vita culturale, creare sinergie tra servizi sociali, associazioni cittadine e polizia locale per costruire un efficiente sistema che garantisca vivibilità e sicurezza a tutti i veneziani, siano questi in centro storico, nelle isole o in terraferma.
Chi è Franco Fois: classe 1962, tecnico informatico. Impegnato in politica fin da giovane sui temi dei diritti civili e delle libertà individuali, tra i promotori del comitato per l’istituzione dei registro comunale di Venezia dei testamenti biologici. Candidato alle prossime comunali
