Luminosi Giorni, con spirito di servizio al fine di accrescere la consapevolezza per il prossimo voto alla Amministrative del Comune di Venezia, ospita una serie di interventi di personalità che riteniamo offrano spunti di riflessione per un voto ponderato e consapevole. Gli amici che hanno cortesemente offerto il loro contributo provengono da aree culturali, politiche e ideali le più diverse e offrono visioni talvolta molto confliggenti tra loro. Ma mai banali. Come Redazione ci piace pensare di poter contribuire a un confronto sereno e non fazioso sui temi che riguardano il futuro della nostra città. Alcuni degli autori scenderanno personalmente nell’agone elettorale. A loro, indistintamente, va il nostro in bocca al lupo e a tutti, candidati e no, un sentito grazie per la collaborazione.
Nell’immaginare la città dei prossimi cinque anni, credo che uno dei principali ambiti di impegno non possa che essere la ricucitura dello iato che esiste tra essa e l’ampio territorio regionale.
Il rapporto regione/città oscilla infatti da un estremo all’altro; da una parte stanno le connessioni sociali e urbane, le abitudini consolidate, la relazioni casa-lavoro-tempo libero, cioè la comunità di fatto, in cui il territorio veneziano è ormai fungibile con ampia parte almeno dell’area metropolitana vasta compresa tra Venezia, Padova e Treviso. All’altro estremo stanno invece le relazioni tra enti e strutture amministrative – la comunità istituzionale – che invece riscontra ancora una divaricazione tra la città capoluogo, l’area metropolitana vasta, l’intera parte del territorio regionale.
Questa divaricazione ha ad esempio prodotto nel tempo un deficit di rappresentanza della città capoluogo nelle istituzioni regionali, nonché un antagonismo a volte nocivo tra i due livelli di governo del territorio. Se per molto tempo questa situazione era fatta rinvenire alla contrapposizione politica tra i due livelli (che vedeva il livello regionale saldamente in mano al centrodestra ad impronta leghista, che si è sostituito allo storico tessuto del Veneto bianco nella transizione politica dei primi anni ’90, mentre vedeva in Venezia la prosecuzione di una storica esperienza di governo delle sinistre riformiste), è peraltro da dire che neppure l’allineamento istituzionale dell’ultimo quinquennio ha prodotto un cambio di rotta, quasi ché Regione e Città continuassero, con pervicacia, a guardare in direzioni ostinatamente opposte.
Questa condizione di reciproca estraniazione non è esente da paradossi, se pensiamo che nel portale turistico regionale il Veneto è descritto iconicamente come land of Venice , oppure al fatto che qualche anno fa, in occasione del progetto – poi abortito – di creazione dell’area metropolitana lungo l’asse Venezia-Padova, il complesso termale di Abano-Montegrotto volesse registrare il marchio “Terme di Venezia” , a testimonianza della necessità di ancorare il territorio regionale al brand di Venezia, ancorché per finalità di valorizzazione economico/turistica.
Eppure, a ben guardare, sarebbe davvero questo il tempo di ricucire questo rapporto, anche sperimentando soluzioni istituzionali radicalmente innovative e coraggiose, perché di questo abbiamo bisogno oggi.
La pandemia del covid-19 infatti, e la conseguente crisi economica e sociale, solo temperata dal massiccio intervento statale a partire dall’estensione degli ammortizzatori sociali, ha reso evidenti che la città capoluogo sta semplicemente anticipando dinamiche che riguardano, in controluce, l’intera regione, almeno nella sua area centrale.
Se delle 60.000 posizioni lavorative perse durante i mesi del lockdown ca. 30.000 riguardano la filiera turistica, e oltre 26.000 interessano l’area metropolitana di Venezia e il capoluogo, è evidente che anche il Veneto sta conoscendo quel graduale imporsi della monocultura turistica (solo mitigata dalla filiera agroalimentare e dal reticolo delle piccolissime e piccole imprese degli ex distretti, parte integrante delle catene globali di fornitura e come tale dipendenti in toto dai mercati esteri) che Venezia già conosce da tempo.
A ben guardare, la stessa istituzione della ZLS (Zona Logistica Semplificata) che ha come territorio di riferimento Venezia, l’area metropolitana fino alla provincia di Rovigo, non potrà che avere effetti positivi sull’intera economia regionale.
La ritessitura di questo rapporto esige anche, dal mio punto di vista, la sperimentazione di nuovi modelli di governance del territorio, che allarghino lo spazio metropolitano, oltre l’attuale ristretto modello istituzionale definito dalla legge Del Rio.
A Venezia va riconosciuta una specialità anche in questo senso, consentendole per via legislativa di allargare gli angusti confini amministrativi della città metropolitana, e di acquisire risorse e competenze oggi gestite dalla regione in maniera impropria. Questo consentirebbe altresì di riconsegnare al livello regionale un ruolo, quello della programmazione e della regolazione dello sviluppo locale, cui storicamente il Veneto ha abdicato, preferendo invece la gestione diretta di funzioni amministrative che invece spetterebbero ai Comuni.
L’altro grande tema su cui è indispensabile ripensare la città e l’area metropolitana nei prossimi cinque anni è quello delle politiche di integrazione socio-sanitaria: anche in questo caso l’emergenza del covid-19 ha dimostrato il carattere strategico della sanità pubblica, e della necessità di investire nel potenziamento della rete territoriale, con particolare riferimento alla domiciliarità e alla prevenzione. La proposta, concreta, è di utilizzare i fondi che arriveranno dall’UE nei prossimi mesi per uscire dai progetti di finanza dell’ospedale dell’angelo di Mestre e del padiglione Jona dell’ospedale civile di Venezia e impiegare le risorse risparmiate (ca. 70 mln di euro/anno) per un grande investimento negli interventi sociali e socio-sanitari cittadini e metropolitani, la fissazione di livelli essenziali delle prestazioni sociali esigibili dai cittadini in maniera analoga ai LEA.
Si tratta, credo, non solo di avviare nuovi servizi, ma soprattutto di ripensare la città a partire dalla salute dei suoi residenti, e quindi dalle condizioni concrete di vita, avviando spazi di relazione all’interno dei quartieri, condomini solidali in cui sperimentate il mutuo aiuto tra anziani, adulti e giovani, in uno spazio ove politiche urbane e politiche sociali si contaminano a arricchiscono reciprocamente.
Se penso quindi alla città nei prossimi 5 anni, penso all’innesco di un processo di profonda riforma istituzionale che coinvolga tanto Venezia quanto il Veneto, che ha come obiettivo riavvicinare la governance dei territori alla realtà concreta misurata giorno per giorno dalle abitudini e consuetudini dei cittadini. In questa prospettiva, auspico anche una città che possa sperimentare forme di partecipazione alle scelte collettive. Fossi il sindaco, istituirei un assessorato alla partecipazione con lo scopo di intercettare, dal basso, le diverse istanze e provare a costruire insieme soluzioni da tradurre in atti amministrativi.
Le cose che ho tentato di abbozzare qui sopra delineano un percorso destinato a durare ben più che i 5 anni proposti dalla redazione, ma sarà il prossimo lustro a porre, se lo si vorrà, le basi per un cambiamento duraturo.
Chi è Gabriele Scaramuzza: nato nel 1972, laureato in filosofia, impiegato presso la Città metropolitana di Venezia, presidente di Municipalità di Favaro Veneto (2005-2010), consigliere comunale (2010-2014) attualmente segretario regionale veneto di Articolo Uno, candidato alle elezioni regionali per la lista “Veneto che vogliamo – Lorenzoni presidente”
