FILIPPO BUCCARELLI DI ‘SOLORIFORMISTI’ Quale significato può avere – quali linguaggi, quali contenuti, quali forme organizzative – una nuova cultura liberaldemocratica riformista e progressista, in Italia e in Europa? Quali possono esserne le basi sociali in un’epoca come la nostra, sempre più improntata alla soggettività e alla specificità dei propri bisogni e delle proprie aspirazioni e sempre meno rappresentata dai modelli istituzionali e di partito tradizionali, tipici dei sistemi politici novecenteschi? Quali le sue condizioni di possibilità in un mondo sostanzialmente “resettato” prima dalla grande crisi finanziaria, economica e sociale del decennio scorso, ora dalle enormi consegue che, su tutti i piani della vita sociale, sta avendo la grave pandemia del Covid-19? Ne parliamo con Claudia Mancina, già docente di Etica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma, Vicepresidente dell’Istituto Gramsci, Membro del Comitato Nazionale di Bioetica e, dal 1992 al 2001, Parlamentare del PDS e dei DS. Una voce lucida e lungimirante, attenta alle trasformazioni profonde della società civile e alle istanze di movimenti politici e culturali innovativi come quelli oggi impegnati, con sensibilità diverse dal passato e in gran parte ancora da capire e scoprire, sule grandi questioni ecologiste, femminili e del riconoscimento dei diritti umani e dei diritti all’autonomia socialmente responsabile delle persone e dei loro gruppi di appartenenza.
Professoressa Mancina, da tempo la Sua riflessione politologica e filosofica si concentra sulle condizioni di possibilità e sulle prospettive – nel nostro paese ma non solo – di una cultura politica alla quale ci si riferisce spesso con l’espressione “di sinistra liberale”. Ora, se il secondo termine – pur oggetto di discussione spesso retorica (lo si confonde impropriamente spesso con una sua versione economica: il liberismo, neo- o meno) – ha una sua più delineata definizione, il primo, “sinistra”, appare più generico, forse al punto che si potrebbe contestare che si tratti piuttosto di “liberalismo di sinistra”. Eppure non penso sia questo a cui lei allude.
In effetti ci si può chiedere perché non usare l’espressione – storicamente affermata – di “socialismo liberale” o “liberalsocialismo”. Il mio punto di vista è che nella profonda crisi culturale della sinistra si debba in qualche modo ripartire da zero. Mi spiego. Non intendo certo dire che non ci siano più principi e valori a cui ispirarsi. Ma i diversi modi storici che hanno interpretato e dato forma a quei principi e valori mi sembrano oggi tutti logorati, cioè incapaci di dare risposte. In particolare, ritengo che anche il progetto socialdemocratico sia oggi in gran parte consumato. Certo, nessun confronto è possibile con il comunismo, che è totalmente fallito e non esiste più neanche nei paesi che si definiscono comunisti; anche se si trascina ancora stancamente un punto di vista genericamente anticapitalista, che oscilla tra nostalgia del passato e radicalismo utopico. Non c’è dubbio che la socialdemocrazia abbia raggiunto, attraverso il suo “compromesso” col capitalismo, traguardi straordinari di miglioramento della vita della popolazione e di superamento delle diseguaglianze. Tuttavia, oggi, quel progetto è compiuto e mostra, insieme ai suoi meriti (pensiamo alla superiorità del Welfare europeo rispetto a qualunque altro paese), l’esaurimento della sua spinta propulsiva, se così vogliamo dire, rispetto ai problemi attuali, che sono economici e sociali (a maggior ragione dopo la crisi Covid), ma anzitutto culturali. Le difficoltà incontrate dai partiti socialisti nei paesi che sono stati nel Novecento il loro ambiente tipico ci dicono che in qualche modo bisogna andare oltre. Anche l’attuale pervasività dei temi ecologisti (che assumono una funzione di supplenza della spinta antisistema, fino a versioni decisamente estreme) ci dice la stessa cosa. Per questo a me sembra che il termine “socialismo” sia consumato, anche per il cattivo uso che ne è stato fatto nei paesi da cui sino a pochi anni fa era bandito: Stati Uniti e Regno Unito. Né possiamo dimenticare che nella cultura di sinistra del secolo scorso il socialismo comprendeva il comunismo, col quale del resto aveva in comune la centralità della triade classe-partito-stato. Non escludo che il termine socialismo possa ritrovare una sua attualità, se riesce a ridefinirsi completamente. Intanto preferisco usare il termine “sinistra”, come un termine semplicemente descrittivo, che designa una posizione sulla mappa politica, ma non implica un determinato sistema di idee, che ritengo debba per l’appunto essere sviluppato. A partire dagli obiettivi di libertà individuale e giustizia sociale, che però oggi vanno visti su scala mondiale e quindi profondamente ripensati.
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