Non è sfuggito a LUMINOSI GIORNI l’intervento di Raffaele Speranzon, garbato e scritto molto bene, sul Gazzettino di domenica 28 marzo, un intervento lontano dal tono polemico e propagandistico a cui la materia storica della seconda guerra mondiale immancabilmente si offre ogni qualvolta vi si ricorre. E Speranzon, merito a lui, in quest’uso strumentale non c’è cascato.
Egli nel suo testo ricorda due bombardamenti alleati nel’44 nella zona della Stazione di Mestre, che costarono centinaia di morti in un clima di paura e di disperazione.
Ed in effetti devo dire che quello dei bombardamenti e della deliberata intenzione di uccidere persone tra i civili è un fatto che, ovunque si sia manifestato nel corso dell’ultima guerra, mi ha sempre angosciato a posteriori, facendomelo ritenere uno strumento bellico inaccettabile, qualunque potesse essere il fine da perseguire. A maggior ragione se il fine era quello giusto.
Perché passi per Hitler che non si faceva scrupoli di nulla come ben sappiamo, ma che i ‘nostri che arrivano’ per una causa di liberazione attuassero questo ricatto bestiale come pressione bellica l’ho sempre trovato ripugnante.
È ben vero che la popolazione di uno stato non è estranea alla responsabilità dei suoi governanti, soprattutto se li sorregge con un consenso di massa come nel caso del regime nazista e persino di quello fascista, dato quest’ultimo storicamente ormai acclarato e che non contraddice la reazione antifascista una volta trascinato il paese in guerra. Ma la popolazione è responsabile si, ma fino ad un certo punto, soprattutto quando la popolazione inerme ha pochi anni di vita. E certo ad un infante rimasto sotto le macerie non gli potevi imputare alcunché.
Per questa ragione mi sono ad un certo punto pentito, a posteriori purtroppo, di aver approvato a suo tempo i più recenti bombardamenti su Bagdad e su Belgrado, anche se in quelle città si annidavano massacratori come Saddam Hussein e Milosevic, per altro ben riparati in luoghi dove potevano stare al riparo dalle bombe, che invece colpivano persone inermi e le loro case. Migliaia, pare, in entrambi i casi. Nel caso di Belgrado è stata una ‘cosa’ non troppo di sinistra, eseguita da presunti uomini di sinistra come Massimo D’Alema e Bill Clinton, che pure, quest’ultimo, anche mi piaceva, politicamente. Ma va a savèr.
Quello che vorrei però far notare a Speranzon è che la storia come scienza, che non ha colore o bandiera da difendere, non ha mai ignorato tutti i fatti che lui ricorda, una dimenticanza a cui sembra invece alludere chiamandolo “eccidio di guerra dimenticato”. Eccidio di guerra si, ha ragione, ma non dimenticato dalla storia, quella vera.
O meglio ci sono due storiografie. Una è in realtà una pseudo storiografia piegata alla propaganda e che utilizza i fatti a sua discrezione e quindi non contempla le cose scomode nella narrazione, le rimuove o le tace ad arte. E anche nella narrazione sulla ‘buona azione’ degli alleati, come viene da Speranzon ricordato, si glissa sui bombardamenti e li si derubrica. La vera storia invece, l’altra delle due – ma Speranzon dovrebbe far riferimento solo a quella come fa il sottoscritto – queste cose le ha invece sempre riportate così come sono avvenute. Per i bombardamenti di Mestre e per tutti gli altri.
Per esempio uno storico serio e di grande presa massmediatica come Alessandro Barbero, etichettato, più dagli altri che da sé, come uomo “di sinistra”, queste cose le ha sempre dette chiare e tonde. Ha parlato dell’inutile strage in Giappone, quando ricorda che, se sulla prima bomba sganciata su Hiroshima si poteva avere un barlume di giustificazione almeno teorica, la seconda su Nagasaki è stata una strage totalmente inutile: il Giappone era stato già prostrato dalla prima delle due. Idem per il bombardamento di Dresda nel ’45, che fece in poche ore almeno 50.000 morti, ma più probabilmente 100.000, senza accelerare di un giorno la disfatta della Germania, già ormai occupata da tutte le parti.
Ma per continuare, perché l’argomento è serio, va detto che anche tutte le vicende legate alla fine della seconda guerra, quella sulle foibe, quella sui delitti vendicativi dei partigiani, quella sul “triangolo rosso” in Emilia e su molte altre di questo segno, subiscono una strumentalizzazione doppia. Perché da una parte la pseudo storia politicizzata quelle vicende ha cercato di metterle sempre sotto il tappeto per il consueto smaccato obiettivo propagandistico o utilitaristico. È avvenuto per quel trascorso storico, ma non sorprende perché da sempre la politica utilizza la storia a suo favore con il silenzio o con l’invenzione pura e per propaganda, non solo negando o nascondendo, ma anche, all’opposto, creando fatti e grandi eventi mai avvenuti: ci si inventa ascendenze celtiche padane applicandole anche ai Veneti che i Celti hanno invece sempre avversato e combattuto e ci si inventa fondazioni di città, non solo di Venezia ma di molte altre, per rafforzare miti identitari, nulla di nuovo sotto il sole.
La storia vera, cioè la scienza storica, le vicende della fine della seconda guerra e del fronte orientale le ha invece sempre narrate fin dall’inizio, raccontate per filo e per segno per come sono avvenute. E qui la strumentalizzazione è invece il vittimismo di chi ha continuato a sostenere che erano vicende tutte da scoprire per la prima volta, da far conoscere, perché erano sempre state taciute dagli storici, non dagli pseudo storici, ma proprio taciute da tutti gli storici di professione. A sua volta, questo sul silenzio della storia su questi fatti è un falso storico. E non era necessario un Pansa che con provenienza “da sinistra” si inventasse di essere il primo a raccontare quelle vicende. Pansa scriveva e raccontava cose verissime, ma sostenendo il falso nel dire che era il primo a raccontarle.
Eppure anche la semplice memoria dei protagonisti, che storici non sono, sia perché coinvolti direttamente, sia perché la memoria è parziale, ha avuto manifestazioni diverse a seconda dell’onestà morale e intellettuale di chi l’ha utilizzata per trasmissione orale. Ed è così che chi scrive ha avuto un padre partigiano, giovane arruolato nelle formazioni di Giustizia e Libertà sul Cansiglio, ma di fatto aggregato alla Brigata Tollot di ispirazione comunista. Beh tutte le vicende del fronte orientale le ho sempre sapute direttamente da lui e non ieri o ieri l’altro, ma raccontate all’epoca dei miei dieci anni, il minimo di età per poterle capire, vale a dire a poco più di quindici anni da quando erano avvenute. Da lui direttamente ho per esempio sempre saputo di una vicenda peraltro avvenuta molto distante dalla zona in cui lui operava: l’eccidio di Porzus in Friuli, in cui partigiani comunisti hanno massacrato con un’imboscata partigiani osoviani, rei di non favorire l’egemonia titoista sulle formazioni partigiane italiane (cosa vera e meritoria per gli osoviani) e strumentalmente accusati di aver trattato con i Repubblichini (cosa rivelatasi falsa o montata ad arte). Vicende per altro ben note, quelle di Porzus, anche perché in quegli anni in cui mio padre me le raccontava si celebravano i primi processi con le condanne ai responsabili. Certo però che un bambino quale ero non le avrebbe mai apprese da solo se il padre, proprio a proposito dei processi in quegli anni in corso, non gliele avesse raccontate per rimarcare, da ex partigiano affiliato ad una formazione comunista, quello che un’altra formazione comunista aveva fatto in nome della ragion politica. E che ragion politica.
Nessun silenzio allora, né dalla storiografia seria, né, come si vede, dagli onesti di pensiero.
Comunque son d’accordo con quello che Raffaele Speranzon propone chiudendo il suo intervento sul Gazzettino: ci vorrebbe una celebrazione ufficiale per ricordare le vittime civili nei bombardamenti, non solo però nei bombardamenti di Mestre ma nell’Europa intera, vittime che andrebbero ascritte alla pari degli altri come caduti per la libertà. Una data comune simbolica non sarebbe, purtroppo, difficile da trovare.

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.