Prima delle analisi politico-strategiche, prima della individuazione di cause e responsabilità, prima delle polemichette politiche di parte (alcune davvero miserrime) va detto che quello che sta avvenendo in Afghanistan è una colossale tragedia umana (e umanitaria). Vent’anni di conquiste e progressi delle donne cancellati in un soffio. Si erano liberate del burqa, avevano avuto accesso all’istruzione, potevano lavorare, fare le giornaliste, era stato restituito il diritto di voto. Tutte cose ovviamente normalissime e per noi scontate. Con un colpo di spugna, si torna al Medioevo (peggio che il Medioevo..). Le donne verranno annientate, non potranno uscire di casa senza essere accompagnate ad un parente maschio, segregate nel burqua, senza diritti, senza voce in capitolo, date in sposa bambine a perfetti sconosciuti. Non potranno incrociare lo sguardo di un uomo, non potranno esprimere un’opinione. In un Paese di 38 milioni di abitanti, la metà di questi è destinata a vivere privati di fondamentali diritti individuali, a non vedere riconosciuta la loro dignità di essere umano.. Tutto come durante il regime talebano ante 2001. Con la significativa precisazione che vent’anni sono una generazione intera: c’è tutta una generazione di giovani donne che non ha MAI conosciuto il greve Medioevo delle loro madri e nonne, che sono cresciute libere e per le quali ciò che sta avvenendo è una tragedia esistenziale definitiva. Sono molteplici le testimonianze individuali che ci vengono da quel Paese derelitto. Leggiamo di ragazzine strappate ai genitori con la forza, delle pretese dei talebani di farsi consegnare liste di giovani non maritate per darle in sposa ai loro prodi combattenti, di esecuzioni massa di veri o presunti collaboratori col nemico..
A questo si accompagna la contingente tragedia umanitaria degli sfollati, di coloro che erano fuggiti verso la capitale per scampare all’invasione dei barbari (fuga vana, come si è visto, considerato che Kabul è caduta dopo pochi giorni). E le scene strazianti della pista dell’aeroporto della capitale invasa da poveretti che implorano di poter fuggire dall’inferno.
Insomma, una tragedia di proporzioni bibliche. Verso la quale, sinceramente, mi lascia basita la sostanziale indifferenza del mondo politico italiano. Registro con costernazione che (per ora) non una dichiarazione, seppure di pelosa circostanza, è stata fatta né da Mattarella né da Draghi. Agli atti solo una penosa intervista del Ministro degli Esteri al Corriere dove si blatera “non lasceremo mai soli gli afgani” “dovremo lavorare con tutte le forze affinché i talebani diano le dovute garanzie sul rispetto dei diritti acquisiti”. Parole così vuote, così confliggenti con la realtà, così palesemente di circostanza che, fatto salvo l’oggettiva condizione di impotenza del nostro Paese nella situazione (Paese che pure nei vent’anni ha speso un tributo di morti e feriti e miliardi di euro), lasciano sconfortati.
E lascia sconfortati la sostanziale indifferenza dei partiti politici (tranne qualche lodevole eccezione dei partitini di centro). A destra solo vaneggiamenti: la Meloni che coglie l’occasione per dare tutta la colpa a Biden (non al suo idolo Trump, che aveva comunicato direttamente e da tempo ai talebani che si ritirava, dando così loro il tempo di pianificare con calma la riconquista).. quando si dice la faccia come il culo. Salvini che ritira in ballo i clandestini. Penosi a dir poco. Ma lascia basito il silenzio della sinistra.. Un mese fa sembrava questione di vita e di morte la tutela di chi ha incerta identità di genere, ci si inalberava sugli articoli 4 e 7… e ora, di fronte alla tragedia di 20 milioni di donne (VENTI MILIONI) che altroché lese nella loro identità di genere… nulla? Non una parola di solidarietà? Ma tutte le anime belle, quelli inclusivi, quelli progressisti dove sono adesso? Forse perché le donne afgane sono lontane? Forse troppo cenciose, forse troppo “normali”?
Due parole sull’aspetto geo-politico. Dico subito che non intendo addentrarmi sulle analisi del perché, degli errori commessi, del dopo, del ruolo della Cina, dell’ISIS o di quant’altri, del perché il Governo di Kabul sia crollato come un castello di carte. Mi limito solo ad una constatazione sul ruolo degli Stati Uniti. Direi che è ora di dirlo chiaro e forte: dopo la seconda guerra mondiale gli USA non ne hanno imbroccata una che sia una. Il Vietnam, la Cambogia, la Somalia, l’Iraq e ora l’Afghanistan, l’appoggio a regimi impresentabili come oggi l’Arabia Saudita (e ieri i vari satrapi sudamericani). Una politica estera basata non solo sull’interesse nazionale (che sarebbe anche comprensibile) ma anche su visioni di basso momento, con l’arroganza di rappresentare il “bene”, la “democrazia” ma spesso senza tenere in conto gli effetti e le implicazioni sul lungo periodo. Per rimanere in tema, la sciagurata scelta di invadere l’Iraq solo due anni dopo la conquista dell’Afghanistan è stata, per esempio, una decisione folle che pesa molto sul tragico risultato odierno. Insomma, una sensazione di inaffidabilità, di incapacità di leggere le situazioni e, attenzione, un’opinione pubblica interna (che è quella che conta perché è quella che vota) sempre più indifferente alle sorti del resto del mondo. L’indecorosa ritirata di Biden, che fa seguito all’altrettanto indecorosa intesa di Trump con i talebani stessi, secondo tutti i sondaggi non costa nulla al Presidente in termini di popolarità e consenso. Semplicemente, alla stragrande maggioranza degli americani non gliene può fregare di meno del destino delle afgane e degli afgani. Con buona pace delle sacrosante lamentele di una donna afgana, Orzala Nemat che al New York Times ha giustamente fatto notare agli amerciani “You made this country extensively dependent in every aspect for 20 years, and then one day you decide this is the time, and you leave without securing it to be able to make any progress”. Appunto
Io credo che sia giunto il momento, da parte dei Paesi Europei, di liberarsi del complesso di inferiorità e dipendenza rispetto agli USA, Del resto l’Amministrazione Trump ha oggettivamente fatto di tutto per mettere la pietra tombale sul tradizionale atlantismo. La vicenda afgana segna forse il punto più basso della credibilità degli USA come “gendarme del mondo”. Urge dunque una politica europea autonoma (con quello che evidentemente questo comporta, sia a livello politico che economico). Una politica europea che, tra le altre cose, abbia ben chiaro in mente che gli interessi europei NON coincidono con quelli USA. Punto.
Difficile? Siamo lontanissimi da questa situazione? Vero, ma non ci sono alternative. O meglio l’alternativa c’è: condannarsi a un ruolo del tutto secondario sullo scacchiere internazionale e soprattutto dimenticarsi ogni velleità di universalismo dei valori fondanti della nostra civiltà.
E un dolente pensiero a tutte le donne afgane in questo momento.

Nato a Venezia, vi ha sempre risieduto. Sposato con una veneziana, ha due figli gemelli. Ingegnere elettrotecnico, ha lavorato all’Enel dal 1987 al 2022, è stato Responsabile della distribuzione elettrica della Zona di Venezia e poi ha svolto attività di International Business Development Manager, lavoro che lo ha portato a passare molto tempo all’estero. È stato presidente del Comitato Venezia Città Metropolitana, esponente di Venezia Una&Unica. È in pensione dal 2022