Quanto conti la politica nella sorte del pianeta Terra non sono in grado di dire, nè sono in grado di dire quanto conti per la sorte del pianeta Stato Nazionale e financo dei Pianetini locali. Non lo so. Scruto la storia che ci hanno insegnato nei manuali e vedo che è una storia solo politica, anche della peggiore, quella che ha creato catastrofi. Il che mi porta a concludere che nel passato, remoto e prossimo, contasse molto, soprattutto nel fare del male, più in difficoltà per fare del bene. Ma non so oggi. I temi globali che ci assediano, virus, riscaldamento, flussi migratori ci fanno sperare che la politica ai piani alti qualcosa ‘possa’. Ma nessuno sa quanto può. A volte ti sembra che la politica annaspi e che ogni scelta sia un palliativo. Nei giorni scorsi pareva che i grandi politici della terra avessero imboccato una strada più decisa e più netta verso alcune soluzioni sul tema climatico. Pareva. Greta ha detto di no, che fanno finta, forse ha ragione. Forse. Ma quanto l’economia, la società e le diverse culture remano contro le scelte più idonee e migliori per tutti e quanto la politica semplicemente vi si adatta?L’economia ha una sua autonomia pericolosa perchè, lasciata a se stessa, si muove secondo logiche e leggi che non guardano in faccia nessuno. E’ forse la partita più dura per la politica, ma è una partita che ha una sua coerenza, lineare nelle dinamiche, pur nello sforzo titanico da compiere. Quel che non ci vorrebbe ad ostacolare la politica nel confronto-scontro con l’economia è la sovrabbondanza barocca, pletorica, a volte retorica che la società e le sue culture immettono ad appesantire la partita e ad ostacolarne il gioco.
Ho ragione di credere che nella società i codici concettuali e linguistici, le categorie mentali che ne sono rappresentate avvolgono la politica con condizionamenti pesanti. la società ha i suoi linguaggi ambigui che condizionano, le sue visioni, le appartenenze separate che ostacolano. E quello sociale è un campo dove valori e linguaggi sembrano fatti apposta per confondere, anche quando sono impugnati per identificare. Ma non identificano, confondono.
Posso citare qualcosa al riguardo. Di tanto in tanto mi prende un coccolone quando vedo simboli e parole in cui mi sono riconosciuto usati per identificare storie, persone e idee in cui non mi riconosco proprio. A suo tempo è accaduto per il termine “comunismo” che in una certa fase della mia vita, quella degli esordi giovanili, mi è stato caro, come concetto essenziale piuttosto che per pregnanza politica. Perchè mi piaceva la matrice “cum”, cioè ‘con’ ‘insieme’ da cui derivava per esempio ‘comunità’ o ‘bene comune’, una condivisione anche di beni, ma soprattutto di destini; e pensavo sempre a quel brano evangelico degli Atti degli apostoli che narra di come questi mettessero in comune i loro averi, cosa del resto non così difficile in dodici, poi diventati undici, più complicata come gesto spontaneo quando in ballo ci sono centinaia di milioni di persone . Ad un certo punto però mi sono risvegliato basito per prendere atto che chi si fregiava e si era fregiato del termine ‘comunismo’, era anche gente come Stalin, Pol Pot, le BR e la cosa mi ha messo a disagio profondamente e alla fine ho chiuso i conti con la parola e con il concetto stesso.
Torno a casa mia e penso che cosa ha significato la Repubblica di Venezia e il Leone Marciano come governo illuminato, esempio, dati i tempi, di tolleranza, di laicità, di apertura, di civiltà a tutti i livelli; ed ecco che una trentina di anni fa quel leone in bandiera è diventato simbolo sventolato di localismo becero, di chiusura, perfino di strisciante razzismo. Bene, in soffitta anche il Leone.
Silvia Rizzo nella nostra prima pagina ci racconta infine come un termine e soprattutto un concetto, quello di libertà, venga oggi impugnato per affermare di fatto il suo contrario, la sopraffazione, da parte dell’esercito No vax e No pass, urlato nelle piazze, probabilmente in perfetta buona fede. E’ la libertà individuale che calpesta la libertà dell’altro e non posso non andare con la memoria a parecchi anni fa quando, di fronte ad una semplice regola legata all’ora e al luogo ove depositare la spazzatura, una frase di un inquilino del palazzo accanto al mio mi aveva fulminato: “io la spazzatura la metto all’ora che voglio e dove voglio”. Ecco l’uomo libero. Secoli e secoli di lotta per la libertà buttati nel cesso dall’estremizzazione senza limiti del concetto, rendendolo anche in questo caso inservibile. Perché è questa estremizzazione di ogni concetto che fa confondere le acque. Così come era estremo l’uso totalizzante del termine comunismo se era applicato anche al possesso statale dello spazzolino da denti di ogni cittadino e soprattutto imposto con la forza ed estremo è l’uso iper identitario del Leone Marciano; che certamente ha espresso un’appartenenza, ma nel senso moderato e in-clusivo del termine e non in quello es-clusivo. Eppure per assurdo anche la versione ‘buona’ di tutti questi concetti, versione a cui ho creduto di aderire, hanno costituito un abito, una ricopertura. Ed è lecito chiedersi se avesse senso confezionare l’abito. A volte penso alla lezione marxista sulle ‘sovrastrutture’ e sul loro essere ingannevoli e finisco per concludere che era una lezione con una sua verità ( se non fosse che anche la lezione è poi una sovrastruttura).
Vero è che una sorta non dissimile subisce anche il concetto di democrazia, che è un concetto ritenuto nobile e moderno a cui pochi rinuncerebbero, ma che si organizza in modo tale da non fornire alla politica la possibilità di decidere, creando una foresta di veti incrociati. La politica è poi irretita da un pre-giudizio che subisce e che la condiziona, in particolare la politica in democrazia. E’ il pre-giudizio per cui la politica democratica vive nello scontro in un sistema sostanzialmente binario, valido forse per l’informatica, ma brutalmente semplificatorio di una realtà dalle mille sfaccettature. E’ un sistema con solo due valori tra loro opposti come protagonisti e ognuno dei due può vincere con la mera contabilità di chi ha anche uno solo numero in più. Ogni protagonista, dal parlamentare al semplice sostenitore, crede di essere il bene e che il male si annidi nell’altro. Non ci sono intermediazioni, sfumature, vie di mezzo, la politica democratica vive in un permanente aut aut e i suoi attori sono convinti che sia giusto così. In un mondo dove la complessità a tutti i i livelli sarebbe la regola, questa considerazione che prende anche l’uomo comune prospetta uno scenario tagliato con l’accetta dove non c’è spazio per il pensiero critico, per il dilemma, per qualsiasi via mediana. E alla fine ogni persona senza accorgersi accetta tale sistema a due e finisce per crearsi un’appartenenza esistenziale fittizia. A ben vedere in questo caso è la politica democratica stessa che condiziona la società perchè per sussistere necessita di competitori, possibilmente delineati con nettezza e il numero di due è l’unico che si presti alla nettezza. Poi la società si adegua e rilancia a sua volta, e su questo terreno c’è un gioco di uovo e gallina nati sempre prima l’uno dell’altro, con una primogenitura impossibile da stabilire.
Sta di fatto che chi non ci sta si autoesclude e non può partecipare alla gara, perchè una politica siffatta viene interpretata come gara tra sistemi valoriali opposti. Sarà per questo che una quota sempre crescente di gente che non accetta il sistema binario non va a votare? Difficile dirlo. Sta di fatto che la politica basata sulla gara, tirata per la giacca da parole d’ordine e simboli ambigui finisce per andare rappresentare un mondo virtuale e non quello reale.
Solo un lavacro purificatore che ci liberi da tutte queste scorie, può restituire un minimo di razionalità che porti a considerare l’oggetto delle scelte politiche per quello che sono, senza la pesantezza dei pre-giudizi, partendo da dati oggettivi e inconfutabili. Le sfide che abbiamo davanti sono grandiose e fan tremare le vene ai polsi e se le si affronta con la dovuta lucidità forse si imbocca la strada giusta. Ma ricominciando ogni volta come se fosse il primo giorno della creazione. Con quella leggerezza per cui ragioni solo hic et nunc. Perchè non esiste il ‘prima’.

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.