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Sono figlio di partigiano e la cultura della Resistenza per me è patrimonio di famiglia. Lo premetto perché chi non conosce la mia storia personale e pubblica sappia da che parte mi pongo e perché non mi trattengo più dal  parlare dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e dal parlarne per nulla bene. Non di tutta l’ANPI, sarebbe ingiusto, diciamo di non parlare bene di chi la dirige ai massimi vertici. Ho amici iscritti all’ANPI, alcuni militanti convinti, e un po’ m’imbarazza dover mettere in rilievo le serie criticità del ruolo politico, ma anche sociale e culturale, che questa associazione da tempo ha assunto in Italia.  Un ruolo che contamina con una buona dose di ambiguità e doppiezza il fronte politico che mi sta a cuore, quello democratico, in cui l’ANPI ostentatamente si colloca, a mio modo di vedere senza averne proprio tutti i requisiti.

Il fatto più recente è l’indisponente posizione di equidistanza sull’aggressione russa all’Ucraina, quasi a mascherare una posizione filorussa, per altro già espressa in tempi non sospetti. Il non voler dare credito alle testimonianze degli orrori e degli omicidi sulla popolazione civile che le truppe russe hanno messo in atto è stata la goccia che per me ha fatto traboccare il vaso.  Certo, molte persone all’ANPI sono iscritte in buona fede, per un legame ancestrale e nobile alla memoria della Resistenza, che questa associazione, per la sua rilevanza di iscritti e per un prestigio a parer mio non sempre meritato, ancora rappresenta; buona fede che evidentemente non dovrebbe limitare l’esercizio di un pensiero critico: questo dall’interno avrebbe potuto e dovuto indirizzare le linea verso altre posizioni più articolate, equilibrate e dialettiche. Per altro so bene che dentro questa associazione ci sono consistenti isole di dissenso (tra le righe lo si legge proprio oggi sui giornali nelle parole decisamente più equilibrate della presidente dell’ANPI Padova Floriana Rizzetto), ma evidentemente non tali da far mutare la linea di fondo dell’associazione, che l’attuale presidente Pagliarulo e, devo credere, tutta la dirigenza nazionale, indirizzano in modo ancora più ideologico rispetto al passato, in cui per altro molti tratti politici di oggi erano già ampiamente delineati.

Da tempo ANPI ha assunto una posizione tesa alla sola acritica autocelebrazione, ingessata in una visione vetero comunista da “ultimi dei Mohicani” e fortemente conservatrice e antiriformista. Si pensi per esempio al 2016, dove ANPI si è unita al delirio accusatorio per la proposta renziana di revisione costituzionale e pur di non farla passare con il referendum, si è schierata in un unico fronte del NO, pazienza insieme a Forza Italia e alla Lega, ma anche insieme a Fratelli d’Italia e soprattutto insieme ai nazifasci di Forza Nuova e Casa Pound.

Oggi nel caso della guerra in Ucraina la storia si ripete: un pacifismo acritico per sostenere una pelosa neutralità e  di fatto l’opportunità di consegnarsi all’aggressore. E ciò da un’associazione nata dalla memoria di una ‘guerra giusta’ come quella partigiana del 44-’45 in Italia. E così ANPI ancora una volta si ritrova ad assumere lo stesso atteggiamento scettico sull’appoggio ai resistenti ucraini che manifesta Salvini e con lui la schiera di sovranisti autoritari alla Orban, che ne è il capofila. E lo fa pur di non farsi assimilare in un fronte NATO antirusso, il che la dice lunga sulla matrice storica di ANPI e alle sue radici nella guerra partigiana di liberazione; in cui il sospetto e l’avversione per gli alleati angloamericani, in tutta evidenza determinanti per la Liberazione dall’invasione tedesca quantomeno sul piano militare, si manifestava già allora continuamente. Siamo cioè alle solite e non c’è niente da fare, la faziosità di una matrice vetero comunista emerge con chiarezza e fa di ANPI l’unica ultima residua roccaforte di un’ideologia bocciata dalla storia.

Anti NATO sia chiaro significa anche anti-Europa unita e in fondo anti-cultura occidentale e i suoi valori, e quindi coerenza con un atteggiamento indulgente con la Russia e Putin. Circostanza invero paradossale, spiegabile forse solo con la teoria del ‘riflesso pavloviano’, perché Putin non ha assolutamente nulla di comunista (si pensi solo al clamoroso arricchimento personale e della cerchia degli oligarchi) e l’unica cosa di cui il leader russo è erede dell’epopea sovietica è l’ambizione totalitaria e imperialista. E questi sono i valori di cui ANPI fa così fatica a prendere le distanze?

C’è un dejà vu (ce ne sono molti in verità) in questa contrapposizione ideologica e dogmatica. I valori occidentali sono rappresentati dalla cultura liberal democratica che infatti in questa guerra indirettamente in maniera plastica, al fondo di tutto, è una parte offesa. Chi li osteggia oggi ripropone una avversione per una cultura laica, democratica, antitotalitaria che anche nella guerra partigiana s’era manifestata, allorché in più occasioni alcune delle brigate a leadership comunista avevano preso di mira tutte le altre formazioni diverse dalla loro. I partigiani fucilati a fine inverno del ’45 a Porzus e a Bosco Romagno dalle Brigate di matrice comunista, legate a doppio filo ai partigiani titoisti, appartenevano alle formazioni di Giustizia e Libertà. Il loro torto era stato quello di essersi opposti alla leadership Jugoslava e titoista della guerra partigiana e alle mire annessionistiche di mezzo Friuli di questa, che invece chi li ha uccisi avvallava; il torto cioè di non volersi asservire a un potere straniero e, soprattutto in quel momento, comandato da Mosca e da Stalin. Questa la ragione contingente, ma essi incarnavano il torto più generale di voler costruire un’Italia libera e democratica ben diversa dall’egualitarismo statalista ispirato alla dittatura del proletariato che invece le Brigate Comuniste dichiaratamente propugnavano. Sono passati settantasette anni, ma la matrice ideologica è la stessa. A lungo l’ANPI, sorretta purtroppo da complicità di storici di primo piano, ha nei confronti di questa vicenda mantenuto un atteggiamento prima apertamente negazionista e in seguito altrettanto apertamente giustificazionista e solo a partire dagli anni ‘2000, costretto da un’evidenza conclamata, confermata da ripetute sentenze e atti giudiziari, ha mutato il suo atteggiamento in un’accettazione ‘obtorto collo’ e formale delle responsabilità comuniste, sempre tuttavia con un certo malcelato imbarazzo, dovuto evidentemente alle posizioni precedenti di tutt’altro segno. Ho citato questa vicenda non per farne un uso strumentale, ma perché è significativa e rappresentativa di molte altre, dal dopoguerra da oggi, in cui le dirigenze dell’ANPI hanno inteso difendere in alcune occasioni l’indifendibile, vale a dire l’acclarato, sebbene non generalizzabile, atteggiamento prevaricatore di un certo numero di brigate a direzione comunista, sfociato anche in altre occasioni storicamente accertate in fuoco, si fa per dire, ‘amico’ verso le componenti laiche e democratiche della Resistenza.

Queste contraddizioni erano scoppiate già nei primi anni dopo la guerra e non a caso già nel 1949 nell’ANPI, che inizialmente unificava tutti gli ex partigiani in un’unica associazione, c’era stata una clamorosa scissione, da cui era nata la FIAP (Federazione italiana delle associazioni partigiane, per altro l’Associazione a cui si era poi iscritto mio padre), legata alle componenti di Giustizia e Libertà di Ferruccio Parri, presidente del Consiglio del primo Governo dopo la Liberazione. E la ragione della scissione era stata lo smaccato filosovietismo della maggioranza dell’ANPI, egemonizzata dall’allora PCI di Palmiro Togliatti.

E la storia si ripete. Le modalità ambigue del pacifismo e dell’equidistanza sulla vicenda ucraina si coglie solo se si ha presente tutta la storia precedente dell’Associazione fin dalla sua origine. Ripeto, il non detto è l’irriducibilità allo schierarsi apertamente con il fronte occidentale, ritenuto come il male assoluto, evidentemente ben maggiore di Putin. La posizione ideologica di ieri è perciò la stessa di oggi e nasce da una cultura politica che ha assimilato in un sommario giudizio storico di condanna il capitalismo globalmente inteso unitamente alla cultura liberal democratica, considerata in qualche modo, ma del tutto arbitrariamente, la legittimatrice dei guasti, delle storture e degli sfruttamenti del capitalismo stesso; con gli Stati Uniti d’America e le loro alleanze militari, come appunto la NATO, ad esserne capofila.

La spiegazione della linea fintamente ‘neutralista’ e pacifista dell’ANPI in questa occasione viene da sé e non abbisogna di ulteriori chiarimenti.

Naturalmente siamo in un paese in cui, come garantisce la Costituzione, c’è libertà di pensiero e di parola e nessuno può vietare all’associazione di esprimere tutto ciò che ritiene di dover esprimere, ci mancherebbe. Ci sarebbe semmai da rilevare che in più di un’occasione l’ANPI si allarga ad occuparsi di temi che solo indirettamente si pongono sul terreno del suo stesso Statuto, anche se si sa che per analogie e sillogismi alla fine si può parlare di tutto e prendere posizione su tutto; e va bene, ripeto, viva la libertà di pensiero e di parola, quella che sicuramente nella Russia di Putin non esiste; e in ogni caso semmai la coerenza statutaria è un problema per gli associati e se la vedranno loro. Ma quando però si pone sul terreno dei propri articoli statutari fondativi e delle finalità dichiarate, ANPI qualche volta lo fa in senso esattamente opposto a ciò che esse esprimono, come avviene nel caso della presa di posizione su questa guerra. E infatti l’equidistanza manifestata più volte in queste settimane fa fatica a conciliarsi con il comma M dell’articolo 2 del suo Statuto, che tra gli scopi associativi così recita:

“dare aiuto e appoggio a tutti coloro che si battono, singolarmente o in associazioni, per quei valori di libertà e di democrazia che sono stati fondamento della guerra partigiana e in essa hanno trovato la loro più alta espressione”.

Oppure per l’ANPI la ‘liberta’’ e la ‘democrazia’ sono solo parole, e ne avevamo il sospetto. L’isolamento che sta subendo anche tra chi nel passato le era in qualche modo contiguo o appartenente ad un’area politico culturale, comunque, non estranea è eloquente al riguardo. Le voci apertamente schierate a favore dell’Ucraina e della sua resistenza armata come quella di Giuliana Segre e, recentemente, di Paolo Flores D’Arcais e di Micromega segnano una distanza sempre più marcata dalle posizioni di questa associazione anche da parte di tutto il mondo culturale e politico che teoricamente le sarebbe vicino.