By

“La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, …..in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto tra loro hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta a volte palese”. Così scrive Marx nell’incipit del 1° capitolo del Manifesto del partito comunista, uno dei passi che, con poche e semplici parole, chiariscono in maniera illuminante, incontestabile e ineccepibile la storia dei popoli, di tutti i popoli. Ma anche di tutte le nazioni. Tra nazioni che opprimono e nazioni oppresse. La storia dell’umanità è, quindi, storia di questa ineludibile lotta tra vittime e carnefici, di chi ha bisogno di lottare per opporsi ad un nemico che annienta, che sottrae libertà.

E così è stato per ogni nazione. Gli Stati Uniti sono nati attraverso una guerra di indipendenza dalla madrepatria inglese che sottraeva loro libertà, guerra lunga e dolorosa. L’Inghilterra a sua volta aveva dovuto affermare le proprie libertà e diritti contro l’assolutismo dei sovrani, come del resto la Francia che ha visto riconosciuti i valori, che poi sono diventati fondanti del nostro “Occidente”, solo dopo un sanguinosa rivoluzione che dal 1789 ha poi travolto fino al 1848 l’intera Europa dei popoli, portati ad opporsi ai rispettivi tiranni. La Russia stessa ha dovuto fare la rivoluzione, anzi 2 rivoluzioni, per abbattere il regime autocratico zarista per l’emancipazione del popolo russo (poi sappiamo come è andata!). E che dire della nostra Italia che per esistere come entità politica ha dovuto combattere, prima per l’indipendenza e la libertà dagli stranieri che la opprimevano da secoli e per raggiungere l’unità politica, poi nella resistenza partigiana contro il nazifascismo. Dal Risorgimento alla Resistenza. E che dire dei popoli che hanno portato avanti con le armi più diverse, dal pacifismo di Gandhi alla guerra d’Algeria, la lotta per l’autoaffermazione di sé e della propria autodeterminazione contro le politiche delle potenze colonialiste. Per non parlare della resistenza palestinese che rivendica la sua esistenza a dispetto delle politiche di occupazione israeliane ma sembra ancora avere le armi spuntate: schiacciata dalla diseguaglianze delle forze e senza alcun sostegno da parte della comunità internazionale, tenta di rivivere alternando forme di resistenza pacifica a forme di reazione terroristica. E l’elenco delle mille altre resistenze nel mondo odierno sarebbe lungo.

Potremmo dire che nessuno stato ha affermato la propria esistenza e la propria libertà da…… senza lotte di liberazione, senza rivoluzioni o guerre come forme di resistenza ad un nemico oppressore, che fosse interno o esterno.

Quando è necessario si deve lottare per la libertà, per affrancarsi dal giogo che stritola. Ogni popolo ha una sua festa di liberazione dal 4 luglio al 14 luglio, al 25 aprile al 17 marzo.

Oggi ci troviamo di nuovo dinanzi a situazioni a cui, almeno in Occidente, con i nostri valori che pensavamo ormai consolidati, non avremmo mai più dovuto più assistere. Sono rinate logiche imperialiste, logiche novecentesche che pensavamo appartenessero ad un passato che era davvero passato e che non sarebbe più dovuto tornare. Logiche nazionaliste di affermazione di una nazione sull’altra, di volontà di annientamento del principio di autodeterminazione dei popoli, nonostante trattati, convenzioni, risoluzioni, etc a livello di relazioni internazionali. E se il concetto di nazione, che risale ancora all’ ‘800, ormai sa di anacronistico, il concetto di nazionalismo è la degenerazione del concetto di nazione ed è figlio della volontà di potenza di una nazione sull’altra:“Un coltello piantato nella schiena dei popoli”, dice Moni Ovadia. Inaccettabili concetti entrambi in un contesto in cui ormai bisognerebbe spazzare via i confini angusti delle nostre nazioni e, come dice Aramburo (che pure aveva scritto Patria), “la nostra Patria dovrebbe essere l’Europa.”

Ma ritorniamo al nostro presente, anche se tutto è stato già detto. L’attacco di Putin è stato un attacco non solo all’Ucraina ma a tutti valori della nostra Europa e a tutti i principi fondanti le relazioni internazionali. Non entro nel merito delle cause e delle ragioni che hanno portato fin qui, non entro nel merito delle responsabilità dell’Europa e degli Usa e della Nato, perché nessuna motivazione logica e razionale può giustificare scelte irrazionali come l’invasione e l’occupazione.

Ma la domanda che adesso sorge spontanea è: CHE FARE? Dinanzi ad un nemico che invade e un popolo che si ritrova occupato e vittima di una guerra di annientamento come reagire? E su questo nel nostro paese ma anche in Europa la divergenza di posizioni è stata ed è lacerante. Tema estremamente delicato e controverso che ha visto persone della stessa parte politica o all’interno delle stesse associazioni schierarsi su posizioni decisamente diverse e in parte inconciliabili. Con una visione assolutamente manichea per cui tutto il male sta da una parte e il bene dall’altra e con un approccio fortemente divisivo.

“Non mettiamoci l’elmetto” è stata la sintesi della posizione ufficiale dell’Anpi contro la cessione di materiale bellico dello Stato italiano a un altro Stato in guerra, inteso come un atto di co-belligeranza dell’Italia, posizione sacrosanta perché è vero che violenza non può che richiamare altra violenza, generando un’escalation dagli esiti imprevedibili. L’Anpi, quindi, si oppone all’invio di aiuti militari perché “le armi parlano solo il linguaggio della guerra”.  Inoltre, sostiene chi condanna l’invio di armi, quando si paragona tutto ciò al rifornimento di armamenti ai partigiani da parte delle potenze alleate, si dimentica che le potenze alleate erano in guerra contro i Paesi del Patto d’Acciaio, negando, quasi, che la battaglia degli ucraini possa essere considerata una forma di resistenza paragonabile alla nostra.

Dall’altro lato partigiani come Smuraglia, ex presidente dell’Anpi, nell’esprimere solidarietà alla resistenza ucraina ritiene giusto l’invio di materiale bellico in quel Paese per consentire loro di difendersi giustamente da un’invasione: “Un popolo che resiste contro l’invasore, che si oppone a chi vuole dominarlo con poteri autoritari va aiutato anche con le armi”, anche se è evidente che ciò potrebbe alzare ulteriormente il livello della tensione internazionale.

E per la Segre: “La resistenza del popolo invaso rappresenta l’esercizio di quel diritto fondamentale di difendere la propria patria, che l’articolo 52 prescrive addirittura come “sacro dovere”. Dunque, non è concepibile nessuna equidistanza; se vogliamo essere fedeli ai nostri valori, dobbiamo sostenere il popolo ucraino che lotta per non soccombere all’invasione, per non perdere la propria libertà. Sostegno che non può e non deve significare inimicizia nei confronti del grande popolo russo, anzi. Anche questo popolo subisce le conseguenze nefaste delle scelte e della condotta disumana dei suoi governanti.” Impegno che deve, però, andare di pari passo verso uno sforzo unanime per ricostruire la pace.

E come diceva il Presidente Pertini, siamo fermamente convinti che occorre “svuotare gli arsenali e riempire i granai”. “Non ci rassegniamo alla guerra e vogliamo riappropriarci della Pace. Siamo per l’utopia del possibile” (Cofferati).

Come districarsi in questa congerie di posizioni? E’ vero che il nostro articolo 11 è chiaro ma questa è una guerra di occupazione, non è pensabile che il popolo ucraino si arrenda all’ invasore e occupante, che ceda i suoi territori senza difenderli. Eticamente sacra la difesa, la resistenza e la lotta per la liberazione dalle truppe russe, e, credo, eticamente e politicamente giusto il sostegno non solo politico ma anche di armi per potenziare il materiale bellico per garantire agli ucraini quella capacità di difesa che altrimenti non consentirebbe loro quella strenua tenuta che ha impedito alle truppe russe di avanzare in profondità. Certo, ad un prezzo altissimo in termini di distruzione e di vite umane.

Partigiani loro ma partigiani anche noi perché in certe situazioni bisogna scegliere da che parte stare. E bisogna stare sempre dalla parte giusta della storia. Oggi la parte giusta è stare con il paese oppresso e occupato, a prescindere da tutte le considerazioni sulla politica interna di quel paese. “Prima si salva, poi si discute”(slogan di Mediterranea).

Quest’invasione, questa follia nel bel mezzo del 2000, ci ha posto quindi dinanzi a questioni di cui non pensavamo di doverci nuovamente occupare.

Ma se un effetto ha avuto è stato quello di buttarci in faccia il fallimento della politica di sicurezza e cooperazione internazionale e in Europa; l’inadeguatezza di una struttura obsoleta e inefficace come l’ONU che dovrebbe essere ripensato in termini di strumenti e obiettivi; l’arroganza delle grandi potenze, soprattutto degli USA che presumono di imporre il loro ordine mondiale, che hanno spesso usato 2 pesi e 2 misure, loro che hanno violato sistematicamente l’autodeterminazione di popoli con guerre di invasione spesso giustificate con vistose menzogne.   

Ma al tempo stesso, l’altro effetto è stato di ricompattare quella solidarietà tra paesi europei già sperimentata nella pandemia e la volontà, ormai sempre più cogente, di accelerare la creazione di una difesa comune europea, per inventarci un nuovo ordine mondiale, che non sia più monopolio di una potenza ma creando un sistema di difesa collettiva, di cooperazione e di coesistenza pacifica, verso la fine di questo conflitto ma soprattutto verso un futuro disarmo planetario, non più procrastinabile.