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di ANNA PAOLA KLINGER e LORENZO COLOVINI

Con il ritorno al governo, Salvini, forse per la difficoltà in cui si trova e per dover riconquistare il proprio elettorato, torna a cavalcare il tema immigrazione.

Tema serio e delicatissimo, che invece diventa more solito una canea da entrambe le parti, in cui le diverse fazioni si lasciano trasportare con spirito da ultras di curva e con esiti miserevoli anche solo sulla comprensione del problema.

Cerchiamo in questa sede di mettere qualche punto fermo, comunque consci che il tema è drammaticamente complesso e che non esistono soluzioni semplici. Chi, in qualunque senso proponga soluzioni semplici fa solo propaganda o legge la realtà tramite il filtro dell’ideologia.

Punti fermi dunque. Vediamo quali:

  1. L’immigrazione è inevitabile. Quando c’è un gradiente demografico ed economico tra due geografie adiacenti, volenti o nolenti, la massa di poveri si riversa dove c’è una situazione anche minimamente più appetibile. Se poi ci aggiungiamo la situazione politica e civile (guerre interne, libertà individuali negate e tutto il triste corollario) il quadro è completo. Esattamente come in un processo fisico, l’osmosi è necessitata. È capitato svariate volte nella storia dell’umanità e capiterà ancora
  2. L’immigrazione potrebbe essere addirittura necessaria. Il nostro Paese sta vivendo un vero e proprio inverno demografico . Ove non si inverta la tendenza, in assenza di iniezioni di sangue fresco dall’esterno, il Paese sarebbe addirittura avviato verso una situazione socialmente insostenibile per la banale considerazione che una società non può fare a meno di un ricambio generazionale, non solo in virtù dei conti dell’INPS ma financo per il suo intrinseco funzionamento. Senza tediare con dettagli (facilmente reperibili in Rete) bastino alcuni dati: continuando con questo trend, nel 2050 la popolazione italiana sarà per il 34,9% composta da ultra 65enni. Entro il 2041 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà e 10,4 milioni saranno persone che vivono sole. Dati drammatici che mostrano una società che non può reggere, per mille motivi tanto evidenti che non citiamo neppure. E, negli ultimi anni, perdiamo in assoluto 400.000 abitanti circa. A tacere della circostanza che per molte mansioni non si reperiscono cittadini italiani che siano disposti a svolgerle

Dunque sussistono due circostanze potenzialmente complementari, il che è una buona cosa. Ora, sarebbe relativamente semplice se potessimo regolare l’immigrazione da parte di Paesi in qualche modo affini: relativamente agevole integrare rumeni, albanesi, ucraini, russi o moldavi.

Ma sta di fatto che la spinta prevalente e soprattutto più pressante nei prossimi anni sarà dai paesi extra europei e segnatamente dall’Africa. Siamo di fronte alla prospettiva di una società multietnica. Società multietnica che altri paesi europei, di tradizione coloniale, hanno già sperimentato e quasi sempre con esiti insoddisfacenti.

Perché una società funziona se tra gli individui si stabilisce un patto (implicito) di convivenza che richiede determinate precondizioni (https://www.luminosigiorni.it/2015/01/il-difficile-esercizio-della-convivenza/). Primo: i membri di una comunità che eserciti con successo la convivenza devono condividere l’idea di un futuro comune (Rousseau). Cioè sentirsi parte di una comunità con cui condividono il futuro e non “ospiti” temporanei. Cioè avere un interesse razionale che la società in cui vivono sia nel tempo prospera e foriera di benessere anche per i loro figli e non solo una fonte da attingere qui ed ora. E l’immedesimazione, il sentirsi parte effettiva e sostanziale di una comunità è un processo lungo e delicato. Nella quale la scuola è un fortissimo strumento ma spesso non basta e spesso non basta neppure una generazione.

Non solo: i cittadini devono anche condividere delle consuetudini (come insegnava Hume). Cioè avere un sentire comune. E questo problema è stato incisivamente rappresentato da Carlo Rubini nel suo problematico (nel senso che dà da pensare) articolo https://www.luminosigiorni.it/2022/06/legalita-e-cittadinanza-garanzia-e-tutela-dei-piu-deboli/ . Dove pone il tema della legalità, quella spicciola, quella per esempio che pretenderebbe che anche un immigrato, con tutti i titoli, un posto di lavoro, il permesso di soggiorno rispetti TUTTE le regole, financo quella di mettere i rifiuti nei cassonetti giusti della differenziata; un amico che abita a Mestre  racconta della frustrazione che prova ogni volta che, mentre è intento a infilare nei cassonetti il vetro, la carta ecc. si vede arrivare il kebabbaro del negozio sotto casa che butta a caso la spazzatura… Qui sono sottesi due aspetti. Uno lo evidenzia bene Carlo: ci sono infrazioni che, in totale buona fede, non sono percepite come tali; uso proprio l’esempio di Carlo: il bengalese che “nei giardinetti di piazzale Roma aveva invaso il passaggio, occludendolo e costringendo a un più lungo giro vizioso, con esposta merce di ogni tipo, che strabordava in modo totalmente abusivo dal suo chioschetto”. Ma se questo bengalese è abituato al caos delle strade di Dacca, la cosa non la vede neppure!

Ma non è finita. La società multietnica e soprattutto multireligiosa si scontra col problema, che purtroppo spesso genera esiti tristissimi e tragici, di consuetudini sociali e religiose diversissime   https://www.luminosigiorni.it/2012/07/il-dilemma-di-antigone/, segnatamente sulla condizione della donna e su usanze (addirittura le mutilazioni genitali o il matrimonio imposto) che cozzano irrimediabilmente con il modello di società che abbiamo costruito nel nostro Paese.

Insomma, problemi enormi, che non si affrontano né con l’arroccamento né con l’astratto politically correct e il relativismo culturale. Si affrontano con integrazione e apertura sociale, ed insieme con la ferma necessità di imporre rispetto delle regole e convivenza civile, ad evitare che siano i cittadini quelli che, a quel punto giustamente, si mostrino refrattari all’integrazione. SI affronta, poi, con una regolamentazione sensata degli ingressi e con una gestione complessivamente seria del benessere sociale di chi arriva e di chi già c’era.

Ma come si entra, regolarmente, nel nostro paese? Ci riferiamo naturalmente ai cittadini extracomunitari e, senza pretendere di essere esaurienti, diamo solo qualche idea divulgativa.

INGRESSO E PERMANENZA IN ITALIA:

In linea di principio, lo straniero che voglia fare ingresso regolarmente in Italia deve, oltre al passaporto e a un regolare biglietto di viaggio, ottenere un visto (presso l’ambasciata o l’autorità consolare italiana nel suo Paese).

Occupiamoci dei soli visti per soggiorni lunghi (escludiamo quindi quelli per turismo, affari o transito) e limitiamoci ai soli casi con motivazioni analoghe a quelle all’origine dell’immigrazione clandestina.

Vediamo i requisiti per ottenerli:

  • Visto per ricongiungimento familiare viene rilasciato previo ottenimento di nulla osta al ricongiungimento che va richiesto allo Sportello Unico Compente (SUI) presso la Prefettura del luogo di domicilio del familiare già presente in Italia.
  • Visto per motivi di lavoro subordinato (a tempo indeterminato, determinato o stagionale) il datore di lavoro che intenda assumere un cittadino extracomunitario deve preventivamente presentare richiesta di nulla osta al lavoro allo SUI competente per la provincia nella quale verrà svolta l’attività lavorativa;
  • Visto per motivi di lavoro autonomo il nulla osta in questo caso va richiesto alla Questura (non allo SUI) occorre possedere i requisiti professionali e morali richiesti dalla legge italiana per svolgere attività di lavoro autonomo non occasionale di carattere industriale, professionale, artigianale o commerciale, per costituire una società di capitali o di persone o per accedere a cariche societarie.

L’Ambasciata con provvedimento scritto può negare la richiesta di visto e nel caso il provvedimento indicherà anche i modi di impugnazione del diniego.

Per ottenere il visto per motivi di lavoro o di formazione, si deve rientrare nelle quote di flusso stabilite ogni anno (numero massimo di stranieri che lo Stato decide di far entrare in Italia per quell’anno)

Per il 2022 ad esempio, il Decreto flussi ha fissato la quota massima di ingresso in 69.700 unità, di cui 42.000 riservate al lavoro stagionale (con specifica indicazione delle nazionalità) e il resto (27.700) per il lavoro non stagionale (20.000 riservate al lavoro subordinato) e con determinate quote riservate per i cittadini di Paesi che hanno sottoscritto accordi di migrazione con l’Italia.

Per la permanenza in Italia, oltre al visto, entro 8 giorni dall’ingresso nel Paese lo straniero deve presentare domanda di permesso di soggiorno che potrà avere diversi periodi di validità (che non approfondiamo).

Quindi gli immigrati regolari e stabili ammessi ogni anno sono pochissimi (27.700 nel 2022).

E tutti quelli che entrano senza visto o senza rispettare il decreto flussi? E i barconi che arrivano dalla Libia?

Parliamo di numeri assai maggiori. Gli immigrati che entrano nel nostro Paese sono (dato molto variabile, da prendere solo come riferimento) intorno ai 100.000 all’anno, ma con picchi anche doppi (vedasi l’ottimo “ISPI fact checking. Le migrazioni in Italia nel 2021”). Di questi, una piccola parte ottiene il permesso di soggiorno per motivi umanitari (i c.d. richiedenti asilo politico). Viene rilasciato dalla Questura a chi sia riconosciuto – da apposita Commissione – quale “rifugiato”, vale a dire allo straniero che per motivi di razza, religione, appartenenza sociale e/o politica viene perseguitato nel Paese in cui possiede la cittadinanza.

Quanto piccola? Il dato è molto variabile, come mostra la tabella sotto, a seconda dell’indirizzo politico (oggi siamo poco sotto il 10%).

Va detto che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una vera e propria gold card per i pochi fortunati: ha una durata di cinque anni, consente di accedere a diverse agevolazioni e di svolgere pressoché ogni attività sul territorio, nonché di ottenere la cittadinanza in tempi dimezzati.

Inoltre il titolare di questo permesso può richiedere il ricongiungimento familiare per consentire ai suoi familiari di fare ingresso in Italia e anche i familiari che si trovino già in Italia – anche se in modo irregolare – possono fare richiesta di permesso per motivi familiari.

Infine, per evidenti motivi, per ottenere il permesso quale rifugiato non occorre né rientrare nel numero programmato di flusso, né dimostrare di possedere determinati requisiti quali alloggio e reddito.

E gli altri? Gli altri o vengono rispediti indietro (pochi), o vengono ufficialmente ricollocati in altre nazioni UE (pochissimi), o si dileguano nella clandestinità (anche fuggendo in altri Paesi UE).

Ma va detto che non raramente delle persone entrate come richiedenti asilo, in attesa dell’esito della commissione e in attesa dell’eventuale pronunciamento degli organi Giudiziari, se la commissione nega il permesso, si perdono le tracce.

Quindi ricapitolando, ogni anno:

  • Accogliamo nel nostro Paese meno di 30.000 persone che hanno potenzialmente le caratteristiche per essere integrati;
  • Ne accogliamo altri 10.000 (il 10% dei 100.000 per motivi umanitari che non hanno in teoria queste caratteristiche);
  • Entra un numero indeterminato di clandestini che probabilmente è maggiore della somma delle due voci sopra e di molti di essi perdiamo le tracce;
  • In ogni caso i numeri sono molto minori della perdita complessiva (assoluta, ovvero comprensiva dell’immissione degli stranieri) di popolazione.

Lasciamo ai lettori le conclusioni da trarre. Noi tentiamo un piccolo abstract di quanto detto, senza pretesa che sia l’unica opinione possibile.

L’immigrazione dall’estero è insieme necessitata e necessaria ma inevitabilmente comporta problemi sociali di integrazione (sulle cui possibili strategie di contenimento non entriamo) seri e che sarebbe stolto negare (ma neppure ingigantire strumentalmente).

In considerazione di questi problemi, sarebbe opportuno guidare il processo in modo da alzare per quanto possibile le possibilità di integrazione con una politica seria, lungimirante e che preveda come obiettivo il vero benessere – economico e di pace sociale – di ospitati ed ospiti, affinché questa distinzione nel breve periodo non si avverta più.

Avviene, purtroppo, tutto il contrario.