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Siamo uguali? O siamo diversi? Maschi e femmine, uomini e donne, sono uguali o sono diversi? Il quesito, posto così, richiama il proverbiale Monsieur de La Palice (o Lapalisse): ovvio che no, che non sono eguali. Anzi, no: ovvio che sono eguali, ci mancherebbe. Sennonché…

                Sennonché l’aggettivo “uguale”, il sostantivo “uguaglianza” sono vocaboli non da oggi alquanto abusati. Si ricorre ad essi con una certa inconsapevole disinvoltura.

                Dunque, vediamo: 2 è eguale a 2, o a 1 più 1. E su questo non ci piove. Il concetto di eguaglianza in questo caso è cristallino. Ma se parliamo di sessi, pardon, di generi (per essere politically correct, si sa), uomini e donne sono o non sono uguali?

                I motivi di “uguaglianza” sono più d’uno. Gli uni e le altre, ovvio, hanno due braccia, due gambe, due orecchie, una bocca da cui si nutrono, degli orefizi da cui espellono le scorie. Eccetera eccetera. In ciò, sicuramente, sono uguali.

                Lo sono poi anche in un senso, come dire, più nobile? Certo che sì: sia le une che gli altri sono persone. E in quanto tali sono dotate d’intelligenza, pensiero, spirito, personalità, emozioni e via dicendo. Tutte cose che prescindono completamente dal genere di appartenenza.

                Da ciò poi consegue (terzo step) che essi, uomini e donne, sono, almeno nella civiltà occidentale (e almeno in linea di principio) titolari dei medesimi identici diritti (e magari doveri, sia detto en passant) riconosciuti a ciascuna persona, del tutto indipendentemente dal genere di appartenenza. Almeno in teoria. Uguali anche in questo, insomma.

                Tali sono le voci principali dell’eguaglianza tra uomini e donne. Ma poi cominciano le differenze.

                Alcune sono lapalissiane (come si diceva sopra) e palmari, e riguardano anzitutto l’aspetto fisico: differenti organi riproduttivi esterni ed interni, presenza o assenza delle mammelle atte ad allattare, bacino proporzionalmente più largo nelle donne in quanto predisposto per il parto. Eccetera eccetera eccetera.

                Ecco, diciamo che tali differenze fisiche (anatomiche, ma anche biochimiche) hanno la loro ragion d’essere nel fatto che le donne sono “progettate” dalla natura (si badi) per la (eventuale, per carità!) maternità, mentre gli uomini sono progettati, virtualmente, per “spargere il seme” ed assicurare a sé e alla specie la maggior probabilità di discendenza.

                Ora, la domanda è: da tali differenze anatomiche e biochimiche (e di “mission” naturale) discenderanno anche altre differenze nel modo di essere, di sentire, di avvertire il mondo? Per esempio, il fatto che le femmine dei mammiferi siano programmate per la maternità, non le rende, per caso, più inclini, più propense, più “istintivamente” portate all’accudimento della prole?…

                Ah, no! insorgono talune: i pannolini possono cambiarli anche gli uomini! Il biberon possono darlo anche loro al bambino! E certo che sì: trattasi di mere operazioni pratiche. Per apprendere le quali non ci vuole certo uno speciale corso di addestramento. Possono imparale in fretta perfino gli uomini. Ma…

                Ma non è di questo che stiamo parlando, se famo a capisse e non facciamo i finti tonti. Stiamo parlando di differenze più profonde, tra uomini e donne, che riguardano il modo di vedere, di percepire, di avvertire il mondo. Queste differenze certo ci sono. Qualcuno oserebbe negarlo? Ma il busillis è: da che cosa dipendono tali differenze? Dalla natura o dalla cultura? Dalla biologia o dalla storia? Dai geni o dall’educazione?

                Molte donne (ma anche parecchi uomini) sono inclini ad optare per la seconda ipotesi. È l’educazione, dicono, che, generazione dopo generazione, ha forgiato comportamenti femminili e maschili difformi, ha incasellato uomini e donne in certi ruoli diversi (relegando specialmente le donne in certi àmbiti di inferiorità).

                Sia pure. Sorvoliamo sul fatto che non è stato sempre e dovunque così. Varrebbe però la pena di riflettere sulla circostanza che la “storia” e la “cultura”, e la mentalità, e i costumi sono tutte faccende che si muovono ed evolvono e si misurano su tempi (anni, decenni, secoli magari) che restano pur sempre un battito di ciglia, rispetto ai tempi (altro che biblici) del cammino lentissimo e remotissimo della specie homo sapiens (milioni di anni) a cui apparteniamo.

                In tali remote profondità vanno ricercati i “fondamentali” della natura umana, e non certo nelle voghe transeunte che allungano o accorciano una gonna, radono o fanno crescere le barbe e i capelli.

                Perché a regolarsi su queste “distanze microscopiche”, quelle della cultura e della storia, dimenticando di indagare e considerare e conoscere le naturali (da “natura”) differenze tra i sessi, si rischia di prendere lucciole per lanterne, di prendere delle sonore cantonate, sia nell’interpretare i comportamenti umani, sia nello scegliere i cammini della propria vita.