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Le questioni politiche e istituzionali locali spesso possono anche favorire considerazioni che riguardano l’etica politica in generale, nazionale e non solo. Parlarne serve anche per questo; anzi qui lo farò solo con tal scopo, senza entrare nel merito di alcuna questione, di cui non scucirò una parola su come la penso. Perché, come si dice, non è questo il punto.

Il “Bosco dello Sport” a Venezia e i finanziamenti arrivati, questa volta dal governo per, pare, attuarlo con Stadio e Palasport, è l’ultima evidente puntata, in ordine di tempo (e ultima non sarà, purtroppo) di una storia che si trascina sempre uguale ormai da otto lunghi anni: è il logoro e stantio copione che mette in scena il gioco delle parti tra chi governa la città e chi non la governa, sedendo solo nei banchi del Consiglio Comunale.

Un gioco delle parti sfibrante, che i cittadini apprendono solo dai giornali locali. Questi, a loro volta, semplificano ad arte e calcano forse la mano, ma riportano comunque un’impressione generale, che probabilmente non è distante dalla realtà percepita.  Si tratta di una contrapposizione frontale quotidiana su ogni tema possibile, che si segnala per essere sempre solo un pretesto per cercare di capitalizzare consenso, da entrambe le parti. Per molti, io tra questi, uno spettacolo ormai stucchevole, che ha fatto perdere ogni credibilità a tutti, dico tutti, i protagonisti della scena, non faccio eccezioni, e più di quanto essi stessi meritino. Nel senso che, in un contesto di rissa da pollaio del genere, è impossibile credere alle ragioni messe in campo da entrambi. Non attribuisco mala fede a nessuno di questi teatranti, perché si convincono in buona fede delle loro ragioni. Dico solo che per la cittadinanza inerme è uno spettacolo piuttosto disarmante e incomprensibile, che scoraggia la partecipazione ai problemi e alla loro soluzione. Ciò che si legge nelle dichiarazioni dei principali esponenti politici, tutti senza eccezione, è riconducibile ad una sola parola: propaganda di parte.

Lo fa chi governa, magnificando oltre misura quelli che sono semplicemente atti dovuti, anche qualora fossero svolti bene, ma dovuti, occultando e minimizzando errori, anche vistosi, sempre possibili per carità, ma sempre altrettanto ammissibili; oppure occultando ad arte scelte non proprio a favore del bene comune, facendolo passare per tale, e mescolandole con quelle che invece più si avvicinano al bene comune e che non mancano.

Lo fa chi non governa, assumendo un atteggiamento di sistematico, e sterile perché sistematico, controcanto critico e di contrapposizione di principio, annacquando in questo mare potenziali buone ragioni, che magari non mancano, ma che agli occhi di guarda allibito si confondono con le evidenti questioni di mero principio, e sono la maggioranza delle questioni. Fossero pragmatici e non ideologici, le loro ragioni emergerebbero di più. Salvo poi attribuirsi i meriti, per averlo detto prima loro, delle pochissime cose fatte dal governo cittadino che non possono non condividere, sbottando come alle elementari: “Maestro, mi copiano”. Puerili.

Siamo, cioè, di fronte all’uso di ogni possibile argomento per accrescere il consenso della propria parte politica; il tutto condito da giudizi di delegittimazione, a volte di vero e proprio discredito, da tentativi di vera e propria “bullizzazione”  del cosiddetto avversario, sempre con il sospetto e l’insinuazione della malafede altrui; roboanti, autoincensanti, nel caso di chi governa, spesso massimalisti e demagogici nel caso di chi non governa. Distanti anni luce dall’interesse di tutti.

Ti rispondono irridenti: è la politica, bellezza.

Rimandiamo ai mittenti questa penosa scusa, con la convinzione che un’altra politica è possibile.

Qui non si tratta di antipolitica.

Ci sono due motivazioni diverse tra chi non va più a votare. Quelli che reclamerebbero una ancora maggior faziosità di una parte politica, non si sa quale, e che, considerando moderati tutti i protagonisti, optano, astenendosi, per il “muoia sansone con tutti i filistei”, e questi son i veri alfieri dell’antipolitica, con cui nulla abbiamo da spartire. E chi invece è portatore sano della pro-politica, ma un’altra totalmente diversa, e la pretenderebbe di conciliazione e di cooperazione, con l’abolizione per sempre delle ignobili definizioni, assenti in qualsiasi statuto istituzionale, di “maggioranza” e “opposizione”. Abolizione come lessico, e soprattutto come concetto che il lessico esprime. Chi, nauseato da questa operetta, da questo gioco di bimbi, infantile e inadeguato, non va più a votare per questa seconda motivazione, per ora ha tutta la mia solidarietà. Parafrasando una famosa frase, “siamo tutti astenuti”.

In definitiva ognuno vede il suo film e te lo racconta a modo suo. È la perversione delle narrazioni, su cui propongo una riflessione nella rubrica di LUMINOSI GIORNI “Costume e mal costume”.

Ci si augura solo che in vista di nuovi mandati e nuove sindacature, ancora lontane ma terribilmente vicine, comincino a riemergere dal cuore vivo della cittadinanza persone che si candidano e che abbiano come punto qualificante il farla finita per sempre con questo teatrino.