Il “Cubo”
14 Agosto 2015Il passato che ritorna: Venezia città metropolitana
16 Agosto 2015Ci hanno rotto il calcio!
Si potrebbe partire da qui per provare a ragionare sul come e sul perché il sistema che regola “lo sport più bello del mondo” sia profondamente malato e di fatto inguaribile.
È certamente un assunto radicale che sembrerebbe tracciare uno scenario senza speranza, ma d’altra parte quali e quanti accadimenti si sono succeduti in questi anni, sempre gli stessi (la corruzione), per dare ancora qualche speranza all’appassionato, al tifoso raziocinante, a chi ogni domenica (anche qui ormai si è perso il riferimento temporale della certezza con tutti questi spezzatini del calendario) aspetta la partita per darsi un appuntamento, per cercare una distrazione e qualche emozione.
Si potrebbe partire dai vertici mondiali, la FIFA e il caso Blatter, si potrebbe passare dai vari “calcio scommesse” ripetuti e scanditi nel tempo come fossero una ricorrenza da celebrare, si potrebbe ripercorrere il taroccamento dei risultati di non si capisce nemmeno più di quante partite dalla serie B in giù, si potrebbe rivisitare la composizione dei vari gironi dalla LegaPro (ex serie C) e a scendere nei Dilettanti per scoprire quante e quali città non abbiano più una squadra di calcio, come conseguenza di gestioni allegre e avventuriste.
Per rimanere a noi, al nostro ambito, con tre fallimenti in 10 anni non ci si può proprio chiamar fuori. È la disaffezione del pubblico, il crollo drammatico delle presenze allo stadio, la vera e unica cartina di tornasole utile a misurare la credibilità di quello che comunemente e banalmente viene definito dagli addetti ai lavori “il progetto”.
Qui da noi a Venezia, che per la verità ha conosciuto la massima serie solo in relativamente poche annate sportive negli ultimi 3 lustri, si è passati dal disamore di Zamparini, assolutamente interessato ad operazioni finanziarie in altri ambiti siciliani, alla gestione precaria e provvisoria di Dal Cin (prestanome del di cui ex presidente friulano), alle mani, meglio definirle grinfie, del più titolato dei maneggioni pseudo presidenti, il “mitico” Gallo, di cui ricorderemo sempre la trattativa, con relativa valigetta 24ore piena di mazzette, con quell’altro affarista, sempre verde, di Preziosi (Genoa), per aggiustare il risultato di una partita.
Passando poi per un imperscrutabile Golban, quasi un fantasma mediorientale, e arrivare ai fratelloni trentini Poletti.
Da ultimo la gestione oscura e priva di logica dell’ultimissimo fallimentare piccolo oligarca russo Korablin.
In mezzo qualche sprazzo di luce con interventi risolutivi dell’Amm.ne Comunale e di qualche piccolo imprenditore locale, i Marinese prima e il compianto Rigoni da ultimo.
Una trafila a rappresentazione locale, estensibile a molte altre piazze nazionali, che sta a dimostrare come davvero il sistema sia malato e come da parte della FIGC non siano mai state introdotte e praticate procedure atte a scongiurare e prevenire le scorribande dei faccendieri e dei maneggioni di turno.
La pratica delle garanzie fideiussorie non ha mai garantito davvero il buon funzionamento e la trasparenza gestionale. Perché sono state concesse troppe deroghe e perché i controlli sulle persone e sulle “cordate” si sono sempre accontentati di attestazioni di facciata.
Non sarebbe altrimenti possibile che personaggi come quelli nostrani, ma anche moltissimi altri, pensiamo al clamoroso caso Parma, possano imperversare e attraverso la gestione poco trasparente delle varie transazioni, possano utilizzare per scopi non proprio del tutto legittimi, il sistema calcio per “far girare i soldi”.
Una CONSOB calcistica, con tutte le regole che governano “la trasparenza” delle società quotate, potrebbe dare, se non la certezza assoluta, almeno una qualche maggior affidabilità.
Ma il vero punto qualificante e “rivoluzionario”, in un sistema così precario, potrebbe essere rappresentato dalla partecipazione diretta dei tifosi alla gestione delle società calcistiche.
Non si sta parlando esclusivamente di un apporto in termini economici al capitale sociale, ma soprattutto di una partecipazione attiva alla gestione della trasparenza societaria, della valorizzazione degli ideali e dei valori sportivi, di un coinvolgimento attivo e responsabile di tutti coloro i quali hanno a cuore le sorti della propria squadra, facendo compiere così anche un salto culturale a tutta quella parte della tifoseria che non si accontenta più di rimanere passivamente relegata nel ruolo di cliente/spettatore o di riconoscersi nelle più deteriori pratiche ultras.
Un modello che in Europa ha moltissimi esempi, che sono molto diffusi e popolari nelle serie minori ma trovano applicazione anche in titolatissime squadre di vertice.
Questo solo per dire che deve prevalere un modello culturale innovativo che porta con sé la passione e la partecipazione, perché anche i colori, la propria squadra, possono rappresentare uno dei “beni comuni” di un territorio e di una città. Per fare aggregazione e per socializzare le responsabilità.