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24 Febbraio 2024Quando Sylvain Tesson aveva il mondo nelle mani come viaggiatore e come scrittore, lo attraversava in bicicletta , si accampava per sei mesi in una capanna nelle foreste siberiane, si attestava come uno dei maggiori scrittori di viaggio europei, non immaginava che un incidente banale occorsogli nel 2014 avrebbe cambiato la sua vita. Vicino alla morte a lungo, il suo corpo devastato da ferire e fratture ha avuto bisogno di mesi per ritrovare una barlume di funzionalità. Al consiglio ovvio dei medici di sottoporsi ad un lungo periodo di riabilitazione, la sua scelta è stata quella invece di mettersi alla prova attraverso ciò che era la sua natura: quella del viaggiatore, e del viaggiatore a piedi per di più. Un minuzioso itinerario da lui organizzato con cura estrema lo avrebbe portato nel giro di circa tre mesi dal Parco del Mercantour, al confine con l’Italia, attraverso il Massiccio Centrale, fino alle Falesie di Jobourg nel Cotentin, all’estremo Ovest della Normandia.Un percorso di 1300 chilometri attraverso i sentieri neri ( da cui il titolo ), cioè i sentieri secondari che nelle cartine sono indicati con una sottilissima linea nera.
Il mio primo incontro con questa sua avventura è stato di nuovo cinematografico. Nello scorso autunno ho visto infatti il film “A passo d’uomo” di Denis Imbert, dove Jean Dujardin impersonava l’eroe di questa impresa. E già in quell’occasione, di fronte agli sforzi evidenti per procedere di questo uomo col corpo ferito , alla sua solitudine e alle riflessioni che ne derivavano, alla bellezza di una Francia sconosciuta fuori dai percorsi turistici più noti, sono rimasta colpita dal tipo di missione che questo viaggio rappresentava per il protagonista, nella sua fede assoluta che il movimento prolungato e la scoperta di una dimensione alternativa della sua patria, avrebbe portato con sé anche la guarigione progressiva del corpo, ed una nuova consapevolezza di sé.
Ma soltanto con la successiva lettura del libro da cui il film era stato tratto, “Sentieri neri”, ho capito il senso profondo di questo viaggio , dove diversi temi si dipanavano all’interno di un libro breve ma straordinariamente intenso.
Primo tra tutti il senso del cammino come guarigione, e molti saranno i momenti narrativi in cui l’autore sente letteralmente il suo corpo rinascere un poco alla volta, nella pratica quotidiana di ore ed ore di cammino, spesso in sentieri impervi, ed aggirando volontariamente i percorsi più vicini all’abitato o anche solo a piantagioni o campi coltivati.
“Tutta la carta era percorsa da quelle arterie: erano i miei sentieri neri. Fornivano delle vie di fuga; erano luoghi dimenticati dove regnava il silenzio e non si incontrava mai nessuno. A volte i cespugli si richiudevano dopo ogni passo. Certi uomini sperano di passare alla Storia; noi preferivamo sparire nella geografia.”
Ecco, il silenzio e la solitudine sono gli altri grandi temi di questa avventura. L’autore, che ha percorso nella sua vita più volte vie lunghissime nell’Oriente e in Russia, si ritrova a fare i conti con sé stesso nella sua Francia, così familiare ma anche sconosciuta, nelle pieghe più solitarie del suo territorio, occasione per note scritte, notti solitarie nei bivacchi all’aperto, rari incontri con personaggi i più diversi, dimensione che viene sottolineata con intelligenza anche da Mereghetti nella sua recensione al film.
Quali sono gli altri strumenti che Tesson utilizza per la sua guarigione? Senz’altro la scrittura, che lo accompagna durante le soste, gli fa fare distanza da sé stesso e lo aiuta a cogliere rimandi letterari continui tratti dalla lettura, altra grande ineludibile compagna.
Sfogliando qualche altra nota su questo libro, ne ho colto una che mi piace fare anche mia: l’autore è stato definito “viaggiatore proustiano”. Sono d’accordo, se si vuole vedere la storia della sua coscienza nella storia di questo viaggio.
“Ma io, per camminare sognando, scortato da pensieri sereni, avevo bisogno di un paesaggio boscoso con lunghi sentieri e, di tanto in tanto, una locanda con boccali di birra traboccanti su tavoli di legno.”
C‘è inoltre un altro versante forte di riflessione: quello sulla politica agricola francese, sulle diverse fasi delle decisioni governative sull’utilizzo degli spazi da coltivare, in una analisi che emerge a tratti dalle diverse regioni che Tesson attraversa, e che ci fa ripensare in modo radicalmente diverso l’immagine della campagna francese che abitualmente ci accompagna.
“I sentieri di cui andavo tessendo la trama svolgevano una funzione importante: disegnavano la cartografia del tempo perduto. Erano stati abbandonati perché considerati troppo antichi, cosa che ormai non rappresentava un pregio per nessuno.”
Un’ultima nota su di un ennesimo aspetto di questo viaggio: la dimensione dello sguardo, attento ai particolari della natura, ai suoi suoni, fruscii, silenzi notturni, luci ed ombre screziate, ed i rimandi meravigliosi a pittori che nel corso della Storia hanno guardato alla natura per riprodurla nelle loro tele.
“I boschi s’indoravano, punteggiati di rosso dal fogliame dei sorbi. I meli si curvavano sotto il peso dei frutti e i loro contorni da stampa giapponese ingentilivano il limitare dell’albereto. Il vento strappava agli alberi dei fossati delle scaglie lucenti che di spargevano a terra come in un quadro di Klimt.”
Sul’onda di questi splendidi rimandi al mondo della pittura ci congediamo da Tesson, dopo che ha raggiunto finalmente l’Oceano, grati di come il suo passaggio dal Sud al Nord della Francia ci abbia regalato il respiro grande della sua anima.
SYLVAIN TESSON, Sentieri neri, Sellerio 2018
Film “A PASSO ‘UOMO”, regia Denis Imbert, Francia 2023



