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23 Maggio 2021Chi scrive deve ammettere in tutta sincerità che, di fronte alla lettura di “Due vite” di Emanuele Trevi, si è trovata spesso in bilico nel giudicarne la forma e il contenuto. Forse soltanto dalla splendida poesia di Cristina Campo posta all’inizio del volume, sono riuscita a trarre la sintesi più chiara di tale testo. I primi due versi della poesia recitano infatti :
“Quanto ad essere felici, questo è
Il terribilmente difficile, estenuante”.
Ecco, dunque sta secondo chi scrive proprio qui la chiave interpretativa per dipanare adeguatamente le note sulle vite dei due amici carissimi dell’autore, Rocco Carbone e Pia Pera, entrambi grandi intellettuali, morti entrambi precocemente, e qui ricordati da Trevi lungo coordinate parallele di eguale forza ed interesse.
Entrambi gli amici di Trevi hanno infatti attraversato la sua vita diventando compagni intimi di interessi, scontri intellettuali, passeggiate e visite reciproche nelle loro case a Roma e fuori Roma, così vicini da poterne toccare al tempo stesso la natura umana profonda, e il loro percorso di studiosi, così diverso ma egualmente intenso.
Torniamo per un attimo al tema della felicità, squadernato nei due versi della Campo: ebbene, le due figure che l’autore ci presenta, sembrano incarnare i poli opposti dell’attitudine umana alla felicità : Rocco Carbone viene così definito sin dalle prime righe del libro : “Era una di quelle persone destinate ad assomigliare , sempre di più con l’andare del tempo, al proprio nome. …Rocco Carbone suona, in effetti, come una perizia geologica. E molti lati del suo carattere per niente facile suggerivano un’ostinazione, una rigidità da regno minerale. …”.
E tutta la vita di questo intellettuale inquietissimo, che da un inizio come studioso di semiologia, attraverso una serie di ardue prove come scrittore, conclude la sua carriera come insegnante nella sezione femminile del Carcere di Rebibbia, sembra segnata dalla cifra dell’infelicità, per lui e per tutti coloro “nati sotto Saturno”.
Il fatto che tale infelicità ad un certo punto della sua vita abbia avuto anche un nome clinico, quello di disturbo bipolare, non toglie niente alla fatica di trovare pace in quest’uomo del Sud che a Roma si trasferisce di continuo, studia forsennatamente, trova conforto momentaneo nelle lunghissime conversazioni con gli amici, per poi ripiombare in una desertica insoddisfazione che si sfoga in litigi, contrasti verbali anche e soprattutto con chi ama, e che accusa di non amarlo abbastanza. Trevi per questo se ne allontanerà per un certo tempo , e questo sarà per lui motivo di rimorso. Rocco Carbone si sentirà sé stesso a lungo soltanto nelle vesti di scrittore, ma la sua forma, cupa e intellettualissima, non gli concederà molti lettori, e ciò sarà per lui una nuova forma di rovello interiore e di insoddisfazione. La morte in un incidente in motocicletta , ancora giovane, lascerà in parte inespressa la sua complessa natura.
Pia Pera, appare invece fin dall’inizio agli occhi dell’autore, come una personalità predestinata a suo modo ad essere felice e a dare felicità agli altri. Ecco come la tratteggia Trevi :”…Si capiva subito che Pia era un essere bizzarro, assolutamente non conformista: un vero tesoro, nel deserto sociale e nella prigione delle buone maniere intellettuali. …” . Ed ancora, più avanti, per definire la forma della sua amicizia con Pia :”…Posso solo dire che ai miei occhi Pia è sempre stata un essere incantevole, questa è la parola che sento più vicina a lei , “Pia” e “incantevole” per me sono quasi sinonimi. Tutto ciò che è incantevole produce una specie di perpetuo scintillio, e le persone incantevoli spesso si consumano e infine si dissolvono nel loro sciame vorticante di minuscole luci”.
Ma, seguendo la sua vita e le sue opere, l’autore verifica anche implicitamente come la cura per il suo giardino in Toscana, che ha costituto il tema degli splendidi libri di Pia Pera negli ultimi anni , la abbia anche in qualche modo preservata da tale dissoluzione, abbia dato forma distinta alla sua vita, pur in mezzo alle sempre maggiori difficoltà causate dalla malattia, come il suo sia stato un giardino con cui essa ha saputo parlare e di cui ci ha consegnato le risposte , sempre sagge, sempre incredibilmente vitali.
Pensando a questa autrice e al suo amore assoluto per piante e fiori come simbolo di continua rinascita, non posso fare a meno di pensare a come ultimamente,si sia fatto sempre più interessante il tema della foresta urbana ,a come studi sempre più numerosi su di esso si siano sviluppati, all’esempio vicino a noi della mostra “Foresta M9”.
Pia Pera, morta nel 2016, brilla così a mio avviso come una di coloro che già da qualche tempo avevano intuito la forma di salvezza costituita per il nostro futuro di cittadini del Pianeta Terra da una nuova sensibilità al verde anche vicinissimo che ci compete come uomini e donne del Terzo Millennio.
Le pagine che nel libro di Trevi sono specificamente concentrate sulle opere letterarie di Rocco Carbone da un lato, e all’opera di traduttrice dal russo di Pia Pera, costituiscono l’altra faccia del testo, che oscilla sempre tra la tendenza all’esegesi letteraria ed il cedimento alla commozione per la perdita di entrambi gli amici, alla dolcezza ed asprezza insieme della rievocazione di alcuni momenti particolarmente intensi della loro comune amicizia.
Anche nella parte critica, gli aggettivi e le riflessioni sullo scrittore calabrese risentono della complessità delle sue scelte culturali e alla difficoltà della forma della sua scrittura. Quando invece Trevi si sofferma sulla produzione di Pia Pera, la sua inclinazione alla felicità e alla condivisione di sensi e sentimenti si riverbera anche nel confronto con i grandi classici della letteratura russa, e le pagine dedicate alla sua traduzione dell’Onegin contengono termini di grande respiro, leggerezza, di nuovo luminosità, coerenti con l’immagine che della scrittrice appare ovunque.
Il libro si conclude con delle note a proposito della sua “letteratura naturale”, a quella sua conversazione meravigliosa tra sé e le sue piante, che neppure la morte potrà mai interrompere.
“…E se lei non poteva più curarsi di lui, era il giardino adesso a prendersi cura di lei. Proprio così: la aspettava , non come si dice che i morti aspettino i vivi, semmai come un veicolo pronto davanti alla porta, un tappeto volante, una carrozza di Cenerentola, un cavallo alato che conosce la strada che
conduce alla sorgente della vita, all’origine del mondo. “
EMANUELE TREVI , DUE VITE, NERI POZZA 2021