DIRITTI E LIBERTA’ NEGATE NEL MONDO: DIAMO VOCE AL DISSENSO
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29 Gennaio 2022C’è una regola che i lettori onnivori e i cinefili normalmente cercano di rispettare scientificamente: mai, dico mai vedere prima un film tratto da un’opera letteraria, poi leggere il libro.
E’ del tutto superfluo aggiungere che la diversità dei linguaggi narrativi porta con sé naturalmente ad un dislivello espressivo, anche se entrambi i risultati -narrativo e cinematografico – possono essere eccellenti, e la visione del film in primis imprime nella retina una serie di immagini difficilmente eliminabili di fronte alla successiva lettura .
Mi sto riferendo al romanzo di Eshkol Nevo “Tre piani” , ed al film omonimo che Nanni Moretti ne ha tratto.
Durante l’estate 2021 avevo avuto l’opportunità di assistere, in occasione della rassegna “Una montagna di libri”, ad un incontro con l’autore , che mi aveva positivamente impressionato, dove Nevo si era dichiarato molto soddisfatto delle scelte registiche di Moretti in relazione alla sua opera. Poi, in settembre, avevo visto il film, che mi aveva squadernato, in una Parioli benestante, tre storie di tre famiglie tutte abitanti nello stesso stabile, ognuna con drammi fatti di solitudine, incomunicabilità, morte, che lasciavano me spettatrice triste e poco convinta complessivamente dell’efficacia nella rappresentazione di queste storie, quasi il regista, che mi aveva accompagnato per tutta la vita con la sua personalissima visione di sè stesso e del mondo attorno a lui, non avesse mantenuto questa forza ed originalità di fronte alla riduzione cinematografica di un testo letterario.
Solo di recente sono riuscita ad entrare in possesso del libro , e posso a questo punto fare una conversazione più articolata su entrambe le opere.
Sono stata letteralmente catturata dalla lettura dell’opera dell’autore israeliano, che, confesso, mi ha fatto dimenticare quasi completamente il film che avevo da poco visto al cinema.
Perché dico questo? Perché la confusione esistenziale che, pur egregiamente rappresentata da una pellicola ottimamente diretta ed interpretata, aveva la meglio nel film, e da cui avevo ricavato una desolata immagine generale di mancanza di speranza nella vita, se non nell’esito della terza storia, qui, nel libro, tale confusione si scioglieva fin dalle prime pagine, e ci consegnava tre straordinari monologhi, sotto forma di conversazione con un amico , di lunga lettera alla sorella, di numerosi messaggi al marito morto attraverso una vecchia segreteria telefonica.
La forma del monologo, pieno di pensieri, digressioni, domande a cui non si può dare risposta, costruisce, in tutti e tre i casi umani che vengono dipanati, una forza particolare, un desiderio di fare luce sul proprio enigma esistenziale prima di tutto con sé stessi, la scelta per ognuno di loro di un interlocutore silenzioso ma attentissimo e che li conosce molto bene, a cui non si nasconde niente, ma , facendo così, automaticamente, si sciolgono i nodi sempre complessi delle loro vite, e, pur con grande fatica, si intravede sempre uno spiraglio di luce alla fine, si sente che dai loro dolori e dalle loro cadute, forse possono trovare terreno sufficiente per dare una svolta positiva alla loro esistenza.
“…L’Enciclopedia delle idee mi ha aiutato a ricordare che al primo piano risiedono tutte le nostre pulsioni ed istinti, l’Es. Al piano di mezzo abita l’Io, che cerca di conciliare i nostri desideri e la realtà. E al piano più alto, il terzo, abita Sua altezza il Superi-Io . Che ci richiama all’ordine con severità e ci impone di tenere conto dell’effetto delle nostre azioni nella società.”
Da queste parole consegnate al marito dalla giudice del terzo piano, all’interno della narrazione del suo cammino di progressiva consapevolezza , si è parlato come della rappresentazione che l’autore vuole dare di ognuno dei personaggi , uno per piano, come simbolo di una di queste categorie freudiane. Personalmente, non amando le categorie troppo nette, anche in questo caso ritengo che nelle tre storie raccontate ci sia di più e di meglio di queste tre rigide categorie, c’è vita vera, c’è umanità con tutti i suoi limiti e la sua ricchezza, non c’è mai la volontà di giustificarsi, ma anzi, di fare chiarezza attraverso i propri errori. Come in una seduta psicanalitica? Può darsi, ma mi sento di veder in ognuna di queste storie piuttosto un respiro più largo anche di tipo narrativo, e una simpatia inconfessata da parte dell’autore per la fatica a riemergere che ognuno di loro fa, passo dopo passo, parola dopo parola.
C’è da fare poi anche un’altra osservazione : Moretti, nel suo film, giustamente trasporta la vicenda nella Roma che lui conosce così bene, e i suoi personaggi li fa mettere in contatto molto di più di quanto non accada nel libro. Ma, nelle righe dell’opera di Nevo ci sono una serie di riferimenti, rapidi ma inconfondibili, a questioni culturali e politiche israeliane, che danno uno spessore diverso alla figura del padre in dubbio sulla violenza usata sulla sua bambina, che nelle pagine dell’autore, si tinge di un machismo che si erge a difendere comunque e a qualunque costo le femmine del suo clan. O ancora, sempre in questa storia, il riferimento alla tensione latente con il popolo palestinese, l’insicurezza che lo porta a dotarsi di una pistola, da portare con sé durante le gite fuori porta. C’è una frase che mi ha particolarmente colpito, riferita ad un paziente dell’ospedale dove si reca a visitare il vecchio vicino di casa. “…All’accettazione di medicina interna B mi hanno indirizzato alla stanza quattordici. Nel primo letto della quattordici era disteso un vecchio arabo. Mi ha guardato come se fossi un soldato che faceva irruzione in casa sua. Ho proseguito. “
Tutto questo, nella scena di violenza a cui assistiamo nel film, c’è solo un padre pazzo di dolore e di dubbi, ma manca questo contorno che rende senz’altro più significante la figura.
Egualmente la madre “vedova” , con il marito sempre in viaggio, nel film assume i contorni del viso interessante e stralunato di Alba Rohwacher, ma la sua disperazione, ed il dubbio di venire risucchiata dal gorgo dell’insanità mentale, viene risolto dal regista con un coup cinematografico all’insegna della falsa libertà ritrovata, mentre le sue parole nel libro, pur nella piena consapevolezza della sua crisi, cercano una soluzione diversa, nel nome della nuova misura ritrovata.
Moretti naviga con intelligenza disperata nella sua Roma piena di ombre, Nevo ci accompagna in tre percorsi di vita complessi e magistralmente narrati, dove una luce piccola ma sicura si intravvede alla fine di ogni piano del palazzo alla periferia elegante di Tel Aviv.
Eskhol Nevo, Tre piani, Neri Pozza 2020
Tre piani, regia di Nanni Moretti, Italia 2021