Leggende e speranze: il Centro come l’Araba Fenice
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5 Luglio 2022Qualche giorno fa, prendendo in mano per la prima volta il libro di Giovanni Montanaro “Le ultime lezioni” , mi sono ricordata che di questo giovane autore avevo già recensito l’anno scorso “Il libraio di Venezia”, in cui si faceva in certo modo un omaggio a tutti coloro che, durante l’Acqua Granda dell’autunno 2019 , avevano resistito difendendo i libri e i tesori di Venezia in generale dalla devastazione causata dall’acqua.
Era il libro di un veneziano autentico, che riportava chi lo leggeva , anche se viveva appena fuori la laguna, a vedere luoghi e calli e campi frequentati da tutta una vita. Ecco, c’era già lì una sorta di topografia veneziana che catturava il cuore dei lettori.
Ma dove tale topografia ha la sua consacrazione è proprio in questa altra sua opera, precedente di poco a quella appena citata, ma che offre a mio avviso di nuovo materia per una serie di riflessioni letterarie, di stile, di vita vissuta.
Le ultime lezioni presenti nel titolo del romanzo fanno riferimento ad una bellissima amicizia nata e cresciuta nel tempo tra il protagonista, che si racconta in prima persona, ed il professor Costantini, insegnante di Italiano nella prima classe superiore di Jacopo.
La figura di questo professore diventa, nel corso della narrazione, una sorta di specchio in cui Jacopo, negli anni dell’Università, ma soprattutto nell’estate precedente la discussione della tesi, si ritrova a confrontarsi, costruendo a sua insaputa, un poco alla vota, la sua identità di uomo adulto, in grado di fare scelte personali e professionali decisive.
Costantini scompare presto dalle traiettorie veneziane dei suoi ex allievi: si ritira dall’insegnamento dopo la morte improvvisa della moglie, e va ad abitare nell’isola di S. Erasmo, con la figlia vittima di una gravissima forma di handicap fisico.
Due parole su questo luogo , che assurge a luogo della cura, luogo dell’anima, luogo della formazione dell’adultità di Jacopo. Quando parlavo di “topografia veneziana”, avrei dovuto usare piuttosto il temine di “topografia lagunare” : infatti, nel racconto di Jacopo dei suoi anni giovanili , oltre a S. Erasmo, un occhio particolarmente affettuoso viene rivolto anche al Lido ed alle sue attrattive estive e non. Ma è in mezzo agli orti dove vive Costantini, che abbiamo accesso anche noi lettori a queste vite “di bordo”, volontariamente a parte dalla venezianità insulare, già così “altra” dalla terraferma. E’, questa, una sorta di “insularità duplice”, lontana dal centro di Venezia, appoggiata sulla laguna, e con riti più vicini ad un luogo di campagna, se non fosse che è circondata dall’acqua.
Il ritmo lento delle giornate, le stanze tranquille della casa del professore, i libri che tanta parte avranno anche in questo romanzo , la presenza difficile ma intensa di Lucia, la figlia di Costantini, i pasti preparati per Jacopo, in procinto di concludere la sua tesi in economia, che approfitta di quella pace per stendere le ultime pagine del suo lavoro finale, tessono attraverso le pagine una sorta di fascinazione, di riposo tra una tempesta ed un’altra, dove la vita fuori dal mondo dell’ex insegnante diventa un riferimento , un approdo, una risposta alle inquietudini di un rampollo della borghesia veneziana alle prese con le sue scelte di futuro.
La vita di Jacopo studente a Venezia è fatta di amicizie, amori fluidi, fino all’illusione di una relazione più stabile, che poi si rivelerà anch’essa priva di effettiva sostanza.
Una nota adesso su di una analogia tematica che ho trovato singolare e interessante: l’autore, in “Sotto lo stesso cielo” raccontava delle andate a Mestre da ragazzo con i suoi amici, ed inanellava considerazioni sulla diversità delle ragazze mestrine rispetto a quelle veneziane, ragazze di terraferma che assumono a tratti una nota di esotismo : queste considerazioni affiorano anche all’interno di questo libro, quando l’autore, assieme ai suoi amici, enumera infatti le differenze esistenti tra le loro conoscenze al femminile al di qua e al di là del Ponte.
E di nuovo la venezianità insulare di Montanaro affiora in tutte le sue sfumature, nei luoghi di incontro con gli amici, nella sala di studio alle Zattere , nel ristorante per la festa di laurea in Strada Nuova, e di nuovo il Lido con un locale noto a tutti coloro che lo frequentino, il Pachuka.
Insomma , leggere le sue pagine è come squadernare tutti i giorni della nostra vita a contatto con il cosiddetto “Centro Storico”, i suoi luoghi del quotidiano, i suoi riti sempre eguali.
La svolta professionale di Jacopo, che lo portera’ a vivere e a lavorare a Londra, apre un versante di riflessione sui giovani sempre più numerosi che, come lui e i suoi amici, cercano altrove dall’Italia uno sbocco professionale più sicuro e a lungo termine.
E, nelle pagine dedicate alla vita nella capitale inglese, Venezia riverbera sul fondo, è il punto di partenza e quello d’arrivo per una serie di visite alla famiglia e di nuovo al professore, che ha perso nel frattempo anche la figlia.
Le ultime pagine del libro, anzi le ultime righe, racchiudono a mio parere un tratto di poesia particolare, rappresentato da un rametto di mimosa che, miracolosamente, è cresciuto sul tetto della casa del professore, è garanzia di nuove fioriture, di una vittoria seppur tardiva della vita che rinasce sulla morte.
E dunque, ritornando con un ultimo sguardo a quella S.Erasmo che continua sempre a coltivare verdure e a vivere vite eccentriche nel mezzo della laguna, ringraziamo Montanaro per aver raccontato una giovinezza veneziana accanto ad un insegnante che sicuramente , mutatis mutandis, avrà lui stesso conosciuto da ragazzo.
GIOVANNI MONTANARO , LE ULTIME LEZIONI, Feltrinelli 2019