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6 Giugno 2020“Sotto il segno del MOSE”, libro che provoca: considerazioni e qualche nota
7 Giugno 2020Tutto è cominciato con la morte di Sepulveda il mese scorso. E con la possibilità di comprare di nuovo qualche libro in libreria. I miei acquisti si sono orientati sulle sue opere, e sono stata folgorata da Patagonia Express, in cui, sui quaderni Moleskine che Bruce Chatwin gli aveva regalato in previsione di un viaggio comune in quei luoghi, e che la morte prematura dell’inglese non avrebbe mai permesso, Sepulveda intraprende da solo una sorta di ideale pellegrinaggio nei luoghi da cui la sua famiglia ha avuto origine. E’ un piccolo libro, un libro di appunti, scandito da capitoli che cominciano col primo intitolato “Appunti su una Moleskine” e continuano con questa struttura fino alla fine. E qui ho respirato per la prima volta, con questo scrittore ed uomo straordinario, il profumo della lontananza assoluta, il rumore del vento sulla pianura e sugli altopiani spazzati dalla polvere, ho sentito vibrare il senso della solitudine degli uomini di fronte ad una natura in perenne battaglia con gli elementi, e il dono del racconto per combattere questa solitudine. Perché in questo libro, come negli altri due che l’hanno seguito nelle mie letture, quello che resta nei nostri occhi e nella nostra anima di viaggiatori di carta sono, oltre la natura gigantesca e spesso nemica, gli incontri, le conversazioni, le storie riportate su persone che diventano personaggi, storie spesso bizzarre, raccontate in bar sperduti nel nulla, davanti ad un mate o a una bottiglia di rum, con una brace che scalda le notti cilene, e tanto tempo per raccontare.
Il viaggio di Sepulveda, dunque, viaggio in solitaria, si trasforma in una collana di incontri durante le soste, unico modo per ricomporre i kilometri percorsi e per comprendere la vera anima di questo sconfinato Paese.
E in questi racconti possiamo trovare un bambino affetto da poliomelite che ha per amico un delfino, e quando il delfino non torna più sulla spiaggia, il bambino muore di tristezza. O la storia di un vecchio pilota d’aereo che continua il suo lavoro di taxista e postino volante su di un trabiccolo pochissimo sicuro se non tra le sue mani. Ma la storia che mi ha portato a continuare il mio viaggio in Patagonia è quella che chiude il libro, e si tratta dell’incontro tra Sepulveda e Francisco Coloane, sommo scrittore cileno del XX° secolo, che per primo ha narrato storie della Patagonia e dei suoi abitanti e che Sepulveda considerava uno dei suoi maestri indiscussi. Ecco come lo descrive nella prefazione del libro di Coloane Terra del fuoco del 1958, pubblicato da Guanda nel 1996: ”C’era una volta… un gigante alto quasi due metri, nato nel 1910. Sfoggiava una lunga capigliatura che cominciava ad imbiancare e una folta barba da lupo di mare ; camminava con quell’andatura barcollante tipica dei marinai che hanno appena messo piede a terra, e i suoi passi lo condussero alla Casa della Letteratura. Era il 1941. … l’uomo dall’andatura da marinaio spinse la porta con una vigorosa spallata , si piantò in mezzo al salone e disse :”Mi chiamo Francisco Coloane e vengo dalla fine del mondo!”.
E i suoi racconti di uomini recuperati fortunosamente, di navigazioni di caccia e pesca nei mari tormentati del Sud del mondo, di facenderos che lavorano e allevano pecore nel mezzo del nulla, del costruttore di fari che si sposta da un angolo remoto all’altro per quel suo prezioso lavoro, hanno sempre , di nuovo, il potere del racconto che salva dalla disperazione della solitudine, e le descrizioni indimenticabili di una natura impareggiabile. Eccone una: “L’argento del lago si trasformò in oro puro quando ci ritrovammo in mezzo al campo di paramela. Le infiorescenze, schiacciate dagli zoccoli dei cavalli, emanavano un profumo intenso, che ci avvolse come la luce dorata, dando l’impressione di avanzare sulle pianure della luna”. O ancora: “ Il nome lo deve alla bellezza del luogo. … Al termine di questo canale di grandezza cosmica, le isole lussureggianti di Puerto Eden, sulla riva occidentale del Paso del Indio, formano una vera oasi di bellezza unica, e dato che l’arcipelago sembra emerso dalle acque, il navigante ha la sensazione di poter ritrovare lì il paradiso perduto…”.
E’ quella di Coloane una Patagonia per uomini duri, arcigni ma pronti a tenerezze improvvise, un luogo di silenzi interrotti dai suoni degli uccelli o dal rumore del mare. Una scoperta letteraria emozionante.
Bruce Chatwin, quando andò in quei luoghi negli anni Settanta del secolo scorso, partì armato della forza delle sue gambe, dell’intensità del suo animo vagabondo, e di un buon numero di quaderni di appunti che riempì tutti. Il suo “In Patagonia” è un libro denso, impegnativo, fitto com’è di racconti nei racconti, dove ogni spunto è buono per arrivare lontano nel tempo e riannodare le storie degli abitanti più antichi del Paese, e prima dei suoi scopritori europei nel ‘500 e nel ‘600, e poi dei coloni provenienti da tutta Europa all’inizio del Novecento, che crearono in quegli spazi smisurati delle colonie a loro immagine. E’ un racconto fatto più di uomini che di paesaggi, anche se questi uomini non esisterebbero senza lo sfondo bellissimo ed implacabile della natura che li ha accolti. La cultura europea di Chatwin balza ovunque, creando connessioni letterarie di rara raffinatezza , dove persino Shakespeare o Coleridge risultano avere un debito nei confronti di questo Paese.
Vorrei chiudere queste note su questi tre libri che mi hanno recentemente accompagnato , con un’ultima citazione da “In Patagonia” : “ Bussai alla porta e il poeta si svegliò…. Le sue mani mi strinsero il braccio. Mi fissava con un intenso sguardo luminoso. “La Patagonia!”, gridò.”E’ un’amante difficile. Lancia il suo incantesimo. Un’ammaliatrice! Ti stringe nelle sue braccia e non ti lascia più”.
Ecco, io sono stata stretta dalle sue braccia e per un mese mi ha trascinato con sé nel suo incantamento, che mi auguro di avere trasmesso a chi mi legge.
Francisco Coloane, Terra del Fuoco, prefazione di Luis Sepulveda, Guanda 1996.
Bruce Chatwin, In Patagonia, Adelphi 1994.
Luis Sepulveda, Patagonia Express, Guanda 1999.