Io sono Occidente
16 Marzo 2022DA CHE PARTE STARE
24 Marzo 2022L’area dell’Abbiatense (il territorio di Abbiategrasso, vicino Milano) pullula, per fortuna (e così immagino altre parti e città d’Italia), di associazioni benemerite che, a titolo gratuito, organizzano corsi di lingua italiana per gli stranieri. Ovviamente, essendo i corsi gratuiti, gli stranieri di cui sto parlando sono, per farla breve, non certo russi o giapponesi benestanti: sono immigrati. Diciamola più chiara: sono “extracomunitari” del Sud del mondo: e, da queste parti, sono soprattutto magrebini, mediorientali e affini.
Ora mi accade di ritrovarmi, come novello insegnante di tale categoria di docenti per stranieri, a tenerne uno anche io, di questi corsi. Le mie alunne sono, tranne due giovanissime, per lo più trentenni o all’incirca. E sono, come si è già capito, tutte donne (libere da impegni familiari e domestici nel primo pomeriggio). E sono precisamente (con l’eccezione di una marocchina) tutte Egiziane.
Portano il velo in testa, rigorosamente, e sono ben coperte da tute abbondanti che provvedono a nascondere loro le forme muliebri. E sono altresì, in più di un caso, madri di uno o anche di tre bambini, quantunque giovani. E poi lasciano il numero di cellulare del marito, non il loro, per eventuali contatti con l’organizzazione del corso… E pazienza.
A me è stata assegnata una classe di “principianti assolute” (sic). Insomma, si tratta di donne che parlano quasi esclusivamente in arabo. Del resto, anche per quel che le riguarda, quello che dico io è “arabo”. Dunque, come ci capiamo tra di noi? Io, per parte mia, chiamo a raccolta tutte le mie modeste abilità istrioniche, faccio facce espressive, e sceneggiate, entro ed esco dall’aula per spiegare il “buongiorno” e l’”arrivederci”, ricorro a quel poco o niente d’inglese che conosciamo sia io che loro, traccio sulla lavagna disegni di dubbia qualità per farmi capire. Insomma, come si dice in Lombardia, “ne faccio di ogni”.
Ma (e sto venendo al punto) non caverei un ragno dal buco se le mie nuove alunne non ce la mettessero tutta. Sono incantato dall’attenzione con cui si sforzano di capire il mio italiano che per loro è “arabo”. E loro “stanno sul pezzo”, fanno di tutto per comprendere, e, quando riescono, mi chiedono perfino chiarimenti, in qualche modo. Ma è soprattutto dal loro sguardo, dalla loro espressione (la mascherina anti-Covid ce la togliamo a lezione perché siamo opportunamente distanziati), che io capisco quanto si sforzino costantemente di seguirmi, quanto siano desiderose di apprendere. Capisco anche quando loro capiscono e quando non capiscono. Ma soprattutto capisco di avere di fronte delle persone eccellenti.
Alla fine di una delle prime lezioni, parecchie di loro, dopo avermi salutato con un idoneo “arrivederci” (che nel frattempo avevano appreso in sostituzione dell’universale “ciao”), si sono da me congedate con un (udite udite) “Grazie, maestro” (due parole che avevano appena imparato).
Maestro a me? mi sono detto di primo acchito. A me che in quarant’anni d’insegnamento mi sono sentito sempre dare (con rispetto forse più apparente che sostanziale) del “professore”? Ma poi mi sono ricreduto. Maestro è una parola bellissima. Esprime meglio tutta la riconoscenza e la confidenza che si ha verso una persona che ti prende per mano e ti guida ai segreti dell’arte, quale che essa sia. Mi sono sentito fiero e quasi commosso che mi avessero dato del “maestro”.
E poi ho pensato che in quarant’anni di scuola non ho mai avuto, fatte salve le debite eccezioni, alunni o alunne tanto motivate, tanto desiderose d’imparare, tanto rispettose verso il mio lavoro, tanto grate per lo sforzo che faccio per insegnare loro. Mai.
Dopo di che, mi sono reso conto di un’ulteriore cosa (che già sospettavo da tempo): che forse è proprio vero che le donne sono migliori degli uomini. Per quanto uguali in tutto e per tutto siano i rappresentanti dei due sessi, per quanto le persone perbene e quelle no siano del tutto trasversali al maschile e al femminile, per quanto imbecilli e intelligenti si trovino equamente distribuiti nelle varie categorie di genere, per quanto… Eppure… Non mi si fraintenda: non voglio negare la fondamentale eguaglianza di donne e uomini, che prima d’ogni altra cosa sono persone, e questo è quello che conta. Eppure…
Eppure, con l’avanzare dell’età, mi vado convincendo sempre di più che le donne, a parità di altre condizioni (diciamo così) abbiano una marcia in più rispetto ai maschi. Sono più concentrate, più intuitive, più sensibili; magari spesso anche più suggestionabili e soggette alle tempeste del sospetto, del retropensiero, delle interpretazioni esasperate. Ma è come se questo fosse il prezzo che bisogna pagare al fatto di avere nell’insieme una più larga intelligenza delle persone e delle cose del mondo.
La gentilezza, l’attenzione, la discrezione, l’intensità con cui queste alunne mi seguono mi lascia stupito. Tanto più che spesso mi pare d’intuire che la loro scolarizzazione, anche in arabo, non sia delle migliori.
Se le cose stiano davvero come sto dicendo, io non lo so con certezza. E ancor meno so spiegare la differenza femminile a cui accenno. (O è politicamente scorretto parlare anche di differenze tra uomini e donne, pur nella fondamentale e granitica eguaglianza e irrilevanza dell’appartenenza ad un sesso o ad un altro?). Personalmente sospetto che le donne, cioè degli esseri umani che hanno nella propria prospettiva esistenziale la maternità (che non è mica obbligatoria, beninteso), siano meglio predisposte all’empatia, al comprendere al volo le situazioni, alla gentilezza e ad altre simili cosucce di cui la maternità ha un bisogno vitale.
Forse sto dicendo solo delle sciocchezze (giudichi pure il lettore), ma la mia esperienza di vita di uno che è quasi settuagenario m’induce sempre più a propendere per questa tesi: le donne sono migliori degli uomini. Temo proprio che sia così. Ahimè.