Memorie del passato, per la salute mentale
10 Ottobre 2023La perdita di peso industriale dell’Italia
10 Ottobre 2023Diversi lettori leggendo questo titolo, avranno già capito di che cosa si tratta. Mi riferisco ad un recente spot televisivo dell’arcinota catena Esselunga, spot intorno al quale si è accesa, sui media, sui social e perfino tra i politici, un’aspra polemica tra detrattori ed estimatori, una diatrìba degna di ben altre cause, del tutto sproporzionata alla cosa in sé. Si tratta in fondo di un’inezia, rispetto ai problemi ben più gravi che ci assillano.
Un’inezia della quale presto ci scorderemo. Ma ciò nondimeno ne è scaturito un vero pandemonio d’interventi pro e contro.
E adesso, anche su questa rivista? – diranno i lettori. Perché parlarne ancora? Perché aggiungersi al coro, anzi, all’aspra guerra che è scoppiata? In realtà, però, qui non si vuole focalizzare l’attenzione tanto sullo spot in quanto tale (anche se sarà inevitabile farlo) quanto piuttosto, appunto, sulla guerra che ne è nata, cioè sulle reazioni un po’ tossiche e maniacali che sempre più spesso si accendono attorno a un nonnulla.
Ma prima vediamo la cosa, la reclame in sé (un breve filmato di neanche due minuti). La “storia” narrata al video è la seguente. Siamo in un supermercato (Esselunga, ovviamente). Una mamma si avvede di aver perso di vista la sua piccola Emma. Con una certa apprensione la cerca e poi la trova al banco della frutta. La bambina ha preso una pèsca, una singola pèsca. Si capisce che vorrebbe acquistarla. La mamma la esaudisce di buon grado.
Seconda scena: le due protagoniste sono ora in auto ed Emma vede qua e là, per la via, felici famigliole unite, con mamma, papà e tanto di figlioletti. S’intuisce che le guarda con rammarico e forse con invidia. Poi mamma e figlia sono a casa e giocano insieme. Clima sereno. Squilla il citofono. È il papà della piccola: è venuta a prelevare la bambina. La mamma abbraccia e saluta Emma, che, zainetto in spalla, scende al portone dal papà. Il quale a sua volta l’abbraccia, la accoglie serenamente e col sorriso. La piccola sale in macchina ma, prima della partenza, mostra la pèsca al genitore: “Questa – dice – te la manda la mamma”.
Una piccola bugia, ma il senso è chiaro: la bambina vorrebbe che i due genitori, che lei ama (e che
entrambi la amano) tornassero a vivere insieme.
Questa è la storia. Su questa semplice e discreta storia si è accesa la querelle. Alcuni ci hanno visto un implicito manifesto contro le separazioni e a favore della famiglia unita e “normale”. Altri invece ci hanno visto la rassicurante immagine di una coppia che, quantunque divisa, continua a mantenere un rapporto costruttivo e virtuoso, specialmente con la piccola.
Ho l’impressione che tutti ci abbiano visto troppo. Certamente non c’è bisogno infatti dello spot Esselunga per sapere che per un figlio la separazione dei genitori è sempre dolorosa anche se a volte, lo sappiamo, è semplicemente il male minore: meglio due genitori che non litigano sempre in presenza dei figli e sono, sì, genitori separati, ma dei figli riescono a prendersi amorevolmente cura lo stesso.
Pare che lo spot sia piaciuto molto alla premier Giorgia Meloni. E io stavolta sono d’accordo con lei. Non mi capita spesso di esserlo. Ma stavolta sì. Anche se temo di apprezzare tale pubblicità per ragioni affatto diverse dalle sue.
Che cosa c’è di buono in questo spot? Anzitutto non si annoiano gli spettatori con la solita lista dei pregi della catena di distribuzione in questione (i prezzi, la qualità, la varietà, la convenienza ecc.): tutte cose di cui nella reclame non si parla affatto. Quale catena di supermercati, invece, non decanta, in un modo o nell’altro, proprio queste sue virtù? In secondo luogo lo spot non presenta la solita, stucchevole e melensa immagine della famiglia felice da Mulino Bianco. Presenta la realtà. Una parte della realtà. In terzo luogo lo spot si conclude con una voce fuori campo che dice: “non c’è una spesa che non sia importante”. Come a dire: i nostri clienti non sono per noi solo degli anonimi consumatori, sono degli individui, delle persone.
È solo una furbata tale conclusione? E beh, certo che sì, certo che lo è. Ma cosa è lecito aspettarsi da una pubblicità se non, appunto, della pubblicità? Però è una furbata intelligente: trasmette un messaggio positivo sulle famiglie e sulla realtà; inoltre è una pubblicità efficace: ottiene l’effetto desiderato, cioè quello di creare una corrente di simpatia nei confronti del marchio Esselunga. Sarà pure solo una fandonia, questa presunta affezione da parte di Esselunga verso i propri clienti (come in quell’altra pubblicità, di un’altra catena della GDO, in cui si favoleggia che i dipendenti passino notti insonni pensando alla loro amata clientela…). Ma non mi pare che, in questo caso, si tratti di fandonie nocive, volgari o fuorvianti. Si tratta di una storia gentile. E non è una propaganda surrettizia in favore della famiglia unita e non scoppiata, ma non è nemmeno una difesa sotto mentite spoglie delle separazioni buone e responsabili che recano il minor danno possibile ai figli. È una semplice storia narrata con discrezione su una fetta della realtà sociale che esiste e a cui questa pubblicità dà diritto di cittadinanza.
Attribuire allo spot valenze sociali e morali sembra il sintomo di una malattia mediatica dei nostri tempi, fatta di sospetti, dietrologie, interpretazioni esasperate che diventano travisamenti; fatta di esagerazioni, di clamore, di spettacolarizzazione, di tendenza a costruire castelli in aria su cose qualsiasi. Ed è precisamente questo l’argomento interessante (o preoccupante?) della questione, non lo spot della pèsca dell’Esselunga.