L’America di Pier Luigi Olivi
11 Aprile 2022UNA STRATEGIA PER L’ITALIA
15 Aprile 2022L’evoluzione delle questioni che determinano gli equilibri mondiali, le ripetute crisi che si sono innescate fin dalla fine del secolo scorso (politiche, economiche, finanziarie), i contrasti fra “Occidente” e “Oriente”, le diverse visioni del Mondo con tutto il portato di destabilizzazioni e di incertezze che hanno una ripercussione diretta sulla vita di noi tutti, ci portano a valutare come anche il pensiero politico si andato a ridefinirsi e a configurare ancoraggi profondamente diversi da quelli con cui noi, i più vecchi di noi, eravamo stati abituati a fare i conti e a utilizzare per provare a leggere “le cose” della politica.
Non c’è dubbio che il liberalismo, che pur ha una vita come pensiero più che secolare, sia emerso come elemento di ispirazione in forme sempre più forti e convincenti nei decenni che sono seguiti alla “caduta del Muro” e alla dissoluzione del mondo sovietico, divenendo nel mondo occidentale cultura politica egemone.
Fra le diverse forme che lo caratterizzano quella prevalente è quella definita “liberalismo sociale”.
Il liberalismo sociale (o socioliberalismo), anche conosciuto come nuovo liberalismo (new liberalism) nel Regno Unito, liberalismo di sinistra (linksliberalismus) in Germania, liberalismo moderno (modern liberalism) negli Stati Uniti, liberalismo progressista (liberalismo progresista) in Spagna e in America Latina è una scuola di pensiero liberale, sviluppatasi nel tardo Ottocento all’interno del Partito Liberale
A rinnovare l’interesse per il liberalismo hanno contribuito sia i processi economici e sociali legati alla globalizzazione dei mercati sia l’affermazione di teorie volte a esaltare la razionalità di questi ultimi e la logica della competizione.
Un ruolo significativo ha assunto la diffusione delle tesi più recenti di F.A. von Hayek (The fatal conceit. The errors of socialism, 1988) e K.R. Popper (Alles Leben ist Problemlösen, 1994), che sostengono la superiorità del liberalismo rispetto alle ideologie collettivistiche, anche in relazione alla sua capacità di evolversi nel tempo.
Se le tesi politiche di Popper hanno contribuito a svecchiare la dottrina liberale, connettendola ancora più con la democrazia, Hayek ha teorizzato il liberalismo come la teoria e la pratica politica più adatta alle rinnovate società di mercato. In una società moderna fondata sulla divisione del lavoro e sul mercato, la maggior parte delle nuove forme d’azione sorge nell’ambito economico.
Di qui il nesso inscindibile fra liberalismo politico e quello economico.
Sui problemi impostati da Hayek si è aperto, senza essere giunto a conclusione, un dibattito nel pensiero etico-politico di ispirazione liberale, con esiti radicalmente diversi tra loro attestando una profonda lacerazione nel pensiero liberale contemporaneo, che si differenzia in una pluralità di interpretazioni spesso contrastanti che ha reso difficile l’aggregazione di un’area politica omogenea intorno a comuni principi di riferimento culturale.
La lettura politica che ne discende definisce il liberalismo sociale come una filosofia politica tipica dei partiti di centro-sinistra che promuove un’economia di mercato regolamentata e l’espansione dei diritti civili e politici.
Un governo social-liberale tendenzialmente affronta questioni economiche e sociali come la povertà, l’assistenza sanitaria, l’istruzione e il clima, sottolineando al contempo i diritti e l’autonomia dell’individuo.
Quindi esiste un’area laica socialiberale con un’ispirazione a valori pregnanti così come le collocazioni politiche che fanno dell’”atlantismo” e dell’appartenenza più che convinta al progetto dell’unificazione europea due pietre miliari irrinunciabili e discriminatorie, nel senso etimologico della parola (o stai di qua o sei di là).
Se poi questo bouquet di valori qualcuno lo vuole ridurre a una conterminazione geometrica allora viene fuori quella definizione di “Centro” che si dovrebbe barcamenare fra CentroDestra e CentroSinistra autodefinendosi di fatto “né carne né pesce”, rinunciando a far valere i propri principi e le proprie aspirazioni perché i due “grandi mondi” della politica risultano ingessati e ontologicamente antagonisti fra loro.
La debolezza e la disarticolazione del bipolarismo italiano – che si è innescata fin dai tempi di “Mani pulite” (1992), progredendo nel tempo e arrivando all’emersione di quel “liberi tutti” che ha portato nel 2018 due espressioni politiche caratterizzate da non-valori la prima (Movimento 5 Stelle) o da un mix fra populismo e sovranismo la seconda (Lega per Salvini) a prevalere su tutte – è arrivata ad un punto per cui non esiste in nessuno dei due campi sedicenti “poli di aggregazione” una vera leadership se, come ormai si è andato definendo nelle diverse tornate elettorali, nessuno dei partiti riesce a superare significativamente la soglia del 20%.
Il che la dice tutta sulla mancanza di una proposta politica davvero aggregante e convincente.
La dispersione da una parte, l’astensionismo dall’altra, determinano una sostanziale situazione di non governabilità accentuata da un sistema elettorale sempre in discussione e in eterna revisione che ex post non accontenta nessuno ma alla fine mette d’accordo tutti: meno i cittadini elettori che non si ritrovano mai un sistema di governo solido e garantito dall’esito elettorale.
Sempre e solo coalizioni variamente e vagamente composite, che si basano più sulla sconfitta dell’avversario che su una proposta convincente e di prospettiva: prevale spesso il “mai con…” o l’evergreen “attenti al lupo”.
E poi, per fortuna, c’è, nei momenti topici, il provvidenziale intervento del Presidente della Repubblica che li costringe ad un patto di ferro e li mette tutti attorno allo stesso tavolo a governare il Paese.
Di crisi in crisi: ultimo il Governo Draghi, ma prima c’era stato Ciampi, e poi ancora Monti…
Mai come ora questa situazione di profonda destabilizzazione avrebbe bisogno di quelle forze che si ispirano a quel liberalsocialismo di cui si è parlato in premessa.
Non che sia pensabile, allo stato dei fatti, che risulti maggioritario, ma certamente potrebbe risultare il volano e il cardine su cui attestare una proposta politica meno ingessata e più aperta ad un vero e radicale riformismo (istituzionale, economico, sociale).
Che sappia fare da calamita per quelle espressioni politiche più autonome nel pensiero, meno irregimentate nei meccanismi del Destra vs Sinistra, con il che si andrebbe a determinare un’area di pensiero politico non proprio marginale.
In Italia, i partiti che si ispirano a questo pensiero politico sono Italia Viva, Azione, in parte +Europa, il Partito Repubblicano Italiano e Volt.
Ovviamente andrebbe incluso anche il Partito Democratico, che potrebbe fare da capofila di questo rassemblement, ma fa storia a sé considerato che nelle sue prospettive prima c’era l’alleanza strategica con il Movimento 5 stelle – tutto si può dire del M5S meno che abbia un imprinting solidamente e convintamente ispirato al socialliberismo – da ultimo il “campo largo” mai chiaramente identificato e mai concretamente praticato.
Quelle sigle possono costituire un’aggregazione politica omogenea, attrattiva e concretamente agibile?
Lo dubito, purtroppo.
Per alcune ragioni che rinviano alla ragion d’essere di ciascuna di esse, che rimandano al protagonismo dei suoi interpreti, anche se le qualità politiche di alcuni di loro sono indiscutibilmente “una spanna sopra”.
L’ultimo appuntamento per abbattere le barriere, anche caratteriali, e le idiosincrasie personali era stato fissato al dopo l’elezione del Presidente della Repubblica.
La rielezione di Mattarella con la conseguente stabilizzazione di Mario Draghi alla guida del Governo, avrebbero dovuto portare con sé un impulso alla ricerca di un accordo fra quei partiti per la definizione di una piattaforma comune in ordine appunto ai valori di ispirazione e alle riforme da perseguire per lo sviluppo del Paese.
Non se ne vede non solo l’impianto, ma nemmeno l’orizzonte, a maggior ragione adesso che è esplosa l’ennesima emergenza “umanitaria” riconducibile alla guerra che l’autocrate Putin ha scatenato sul fronte ucraino, con le conseguenti ricadute in ordine alle interpretazioni di quelle “sicurezze” (le forniture energetiche) alle quali eravamo appesi e che ancora una volta dimostrano come i distinguo prevalgano sull’ancoraggio alle cosiddette piattaforme valoriali.
Il che ha una ricaduta a tutti i livelli, anche su quelli locali dove la qualità del personale politico risente ancor più di quella debolezza e di quella mancanza di visione che dovrebbe caratterizzare l’agire politico per rispondere ai bisogni dei cittadini e servire ad impostare una strategia di lungo respiro che definisse le linee di uno sviluppo compatibile e sostenibile con la realtà del territorio, delle sue specificità (Laguna, Venezia, Mestre, Marghera e tutta la Terraferma) e che sapesse traguardare gli orizzonti di un’area davvero metropolitana (nei fatti più che nelle definizioni istituzionali).
Qui siamo ancora alle contrapposizioni frontali fra lo schieramento di maggioranza che dimostra una incapacità di mettere a sistema un progetto di largo respiro, e che invece si limita al piccolo cabotaggio e ad interventi alla spicciolata. Puntiformi e microcosmici.
Dall’altra parte un’opposizione sterile, spesso votata al “No” a prescindere, che spesso si fa interprete di pulsioni velleitarie, quasi mai radicalmente propositiva, ingabbiata in quei meccanismi che, come si diceva più sopra, definiscono la politica attraverso le conterminazioni geometriche di un bipolarismo che, segnato dai suoi limiti, sta sparendo.
Ma a tutto c’è un limite: ed è l’incapacità di misurare i propri limiti.