Ascensori negati, icona della “Venezia scomoda”
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18 Febbraio 2022Alcune riflessioni, partendo dall’articolo di Carlo Rubini, in LG del 25 gennaio Diritti e libertà negate nel mondo: diamo voce al dissenso. Sempre volenteroso Carlo, e meritevoli le iniziative per tenere desta l’attenzione su violazioni di diritti o libertà.
L’iniziativa passata di una Biennale del Dissenso – se ne ho ben compresa la storia – aveva un obiettivo delimitato, favorire il dissenso nei paesi dell’Est europeo.
Ora, nel consesso internazionale non si può prescindere dalla presenza associativa di Russia, Cina, Iran e quant’ altri, anche se le libertà di espressione e associazione in questi paesi non sono rispettate. Possiamo considerare Polonia e Ungheria paesi permeati di autoritarismo, in parte retaggio di prassi in vigore nel loro passato comunista. Inoltre, in vari paesi dell’Est, gioca anche un nazionalismo storico.
E’ doveroso allora tallonare i governanti e per quanto è possibile l’opinione pubblica di questi paesi; ma, accanto all’attività di vigilanza, appare un po’ azzardato spingersi fino ad azioni di forza. Si può invece, e lo dobbiamo fare, alimentare la pressione dell’opinione pubblica affinchè i nostri governanti intervengano verso i governanti stranieri per una positiva risoluzione dei singoli casi, per quanto possibile e tenendo presente che altri innumerevoli simili casi non vengono portati alla ribalta.
La primavera araba, giusto dieci anni fa, è stata salutata con esultanza, e si può considerare una liberazione da vecchie satrapie o regimi assolutisti; ma il percorso è ancora lungo, con ricadute in uno stato di guerra tra fazioni politiche e tra bande armate, se guardiamo soprattutto a paesi come l’Egitto o la Libia. Ed in una situazione che vede al potere l’una o l’altra delle bande armate è arduo pretendere il rispetto dei diritti civili.
E così pure per l’Iran, passato dal regime dei Pahlavi – corrotto e dominato dagli USA, ma anche modernizzatore, e per questo avversato da gran parte della popolazione islamica – al regime degli ayatollah. E anche per la Turchia, in bilico tra la modernizzazione laica di Ataturk e l’islamizzazione imperante di Erdogan.
In riferimento alla proposta di Carlo di un testo redazionale di partenza, in collaborazione con “Solo Riformisti”, direi che già esistono testi base cui attingere, tra i quali la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (www.OHCHR.org), come da lui stesso ricordato.
Si parla di diritti umani che non devono essere mai dati per scontati, anche in ambiti a noi vicini.
Per fare qualche esempio, leggendo l’art.11 della Dichiarazione Universale, secondo cui “Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa”, ci viene in mente il moto collettivo di condanna e troppo spesso di linciaggio morale che segue la notizia di un avviso di garanzia recapitato a quello o a quell’altro personaggio.
E vengono in mente le incredibili affermazioni di Piercamillo Davigo, uno dei massimi togati del CSM, secondo cui “”L’errore italiano è stato sempre quello di dire aspettiamo le sentenze” (HuffPost, 29.5.2020). A tal proposito, scrive Federica Farina, “Bisogna ribattere fermamente che “attendere le sentenze” significa applicare il principio di non colpevolezza sancito dalla nostra Costituzione, secondo cui l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, uno dei principi cardine di un Paese civile, la cui negazione spalanca le porte al giustizialismo e alla giustizia “fai da te””. Federica Farina, “Caro dottor Davigo, in un Paese civile bisogna “aspettare le sentenze”” in Left, 1.6.2020.
E all’art. 16 della Dichiarazione Universale, sta scritto, tra l’altro, che “Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi”. E qui abbiamo numerosi esempi, anche in Italia, riguardanti le ragazze promesse spose dalle loro famiglie, soprattutto di provenienza musulmana, ed alla tragica fine in caso di loro ribellione.
Altro esempio, i lavoratori immigrati sottopagati che lavorano nei nostri cantieri, in ditte che dovrebbero essere di tutto rispetto, come già rilevato in LG. Oppure i lavoratori stagionali, per lo più di origine africana, che lavorano alla raccolta di agrumi e ortaggi, ipersfruttati, soprattutto nel Sud, ma non solo nel Sud; o le prostitute ostaggio di organizzazioni criminali; ma anche le badanti provenienti per lo più dai paesi dell’Est, che lavorano in nero. Sono categorie produttive che fanno parte della “infrastruttura paraschiavistica”, come definita da Luca Ricolfi nel suo libro “La società signorile di massa”, del 2019.
In definitiva, è lo Stato di Diritto, cui accenna Carlo, uno dei massimi prodotti della civiltà occidentale, che deve essere diffuso e osservato. Abbiamo tentato di costruirlo in Afghanistan, ed è andata male. Ma anche nel nostro Paese non mancano occasioni per ribadirlo con decisione.
Ribadire lo Stato di Diritto significa, altro esempio, che in occasione di processi delicatissimi per tristi episodi sessuali la sentenza va lasciata ai magistrati, il cui verdetto magari sarà modificato da altri magistrati, come è successo, in una dialettica logorante per i presunti imputati e per le presunte vittime – presunti fino a sentenza definitiva – che però deve mantenersi nell’ambito giuridico. Non ricorriamo ai tribunali del popolo, tanto imperanti nei social!
I fondamenti dello Stato di Diritto devono essere trasmessi – da parte di tutti noi – alle nuove generazioni, nostrane o di provenienza estera, in una attività educativa che sembra in affanno. Attività educativa che è ampiamente trascurata nel dibattito animoso tra i diversi fronti sull’accoglienza ai migranti.
La difesa dello Stato di Diritto esige un lavoro costante, indispensabile anche nel nostro Paese. E su questa difesa e costante affermazione direi che bisogna lavorare.