La Battaglia dei Valori
29 Ottobre 2023RIGENERAZIONE URBANA Firenze e gli ecomostri
29 Ottobre 2023C’è chi dice: “L’introduzione dell’elettrico nei motori delle automobili farà perdere migliaia e migliaia di posti di lavoro”. Questa è la prospettiva che viene agitata come un drappo rosso spaventevole. Non è l’unico caso.
Questo dei posti di lavoro che si perdono è una spada di Damocle, anzi un ricatto bello e buono. Che viene usato spesso strumentalmente, anche se in più di un caso tale perdita di posti è una conseguenza potenziale realistica, su moltissime situazioni. Ma il fatto di essere realistica – e si fa presto a fare i conti – non la rende giustificata come minaccia ricattatoria. Secondo la quale un’innovazione, una scelta drastica, una nuova legge riformatrice non si possono, anzi non si devono, mettere in atto, perché fanno scontare questo prezzo. In che campi? L’ho già detto: i più svariati.
Si prendono iniziative, o si propongono con forza, azioni contro l’overtourism? Niente da fare, il fuoco di sbarramento utilizza in prima istanza il fatto che tanta gente ci campa sul turismo proprio così com’è, di massa, indotto compreso; dal cameriere, al lavapiatti su su fino al trasportatore e all’affittatore di appartamenti.
Ci si preoccupa della salvaguardia dell’ambiente montano, contro le devastazioni in atto a favore del turismo massivo, e ci si preoccupa in prima istanza per la sicurezza che le devastazioni mettono a rischio? Stessa risposta di cui sopra. E anche qui con la frase pronta di accompagnamento, che è venuta a noia, per non dire a nausea. “ma il turismo è il nostro petrolio”.
E poi il campo si allarga: e la memoria va alla vicenda ILVA di Taranto, in cui la salvaguardia della salute, a forte rischio per le immissioni della produzione di acciaio, è stata messa sotto scacco dalla perdita occupazionale, che una chiusura della fabbrica, per altro indotta da un intervento della magistratura, avrebbe comportato. Con l’ironia della sorte che il ballottaggio, in questo caso, ma non è l’unico, era negli stessi soggetti, gli operai che vi lavoravano e che spesso abitavano lì vicino. Che dovevano scegliere nella loro stessa persona tra l’occupazione (e lo stipendio più o meno sicuro) e la propria salute da salvaguardare.
Ora, occupazione, cioè lavoro, ambiente da tutelare, salute e sua prevenzione, servizi per la vita sociale e civile di una città e di un territorio, sono tutti temi che la nostra Legge Costituzionale – legge si noti bene – pone paritariamente al centro, come diritti da tutelare e promuovere; non semplici opzioni. Eppure, non tutti questi diritti ed altri ancora si trovano nella medesima situazione nelle modalità con cui vanno perseguiti. La salute e la salvaguardia dell’ambiente non tanto nell’aspetto estetico, che pure conta, quanto nella sua strutturalità, la cui manomissione può mettere a rischio la sicurezza delle persone (quantomeno entro certi limiti) , pongono dei vincoli obbligati, che invece l’occupazione pone di meno o non pone. Così per dire, il debellare o il rallentare il riscaldamento globale è un’azione obbligata e con una strada obbligata, a modo suo rigida. Al contrario il lavoro, nonostante l’incombere della disoccupazione, mi pare si situi in un campo più flessibile e adattabile. E’ una priorità sullo stesso piano delle le altre, ma senza la rigidità delle altre. Le occupazioni, anche se non in tempi stretti, possono cambiare, trovare nuove soluzioni. Le attività produttive di ogni genere sono sempre ciclabili, nuovi settori possono sorgere. Certo è la politica delle istituzioni che, dallo Stato al Comune, avrebbe il compito di guidare le transizioni. Chiaro, non da un giorno ad un altro. E se penso che l’elettrico sarà introdotto, gradualmente, e se va bene, tra quindici anni, direi che, quantomeno in questo caso, c’è il tempo di pensarci, anche se, ovviamente, senza troppi indugi.
Altra cosa, me ne rendo conto, sono le situazioni dove, dalla viticoltura al turismo, passando per i distretti della piccola industria italiana, nel lavoro vige una condizione di monocultura (d’altra parte la stessa ILVA per Taranto in qualche modo lo era). Tutte situazioni dove flettere occupazionalmente è assai più difficile e in cui il lavoro tende ad avere le stesse rigidità obbligate delle altre urgenti azioni. E’ però proprio in questi casi monoculturali lo sforzo delle istituzioni dovrebbe essere massimo. Prima di tutto per correggere una impostazione economicamente miope se non cieca, indotta da una frenesia semplificatoria, dettata da una mal intesa ricerca dell’ottimizzazione. E alla lunga per allentare la morsa del ricatto occupazionale quando certe scelte in altri campi sono ancora più obbligate. In definitiva la “bio diversità” non è solo una condizione da salvaguardare o da reimpostare urgentemente nel campo della geo biologia e della natura vegetazionale e animale. Ma è anche una condizione socio economica, con un’estensione che mi pare appropriata di ciò che è ‘bio’. Vita.
A monte di questo mortifero aut aut, tra occupazione e ineludibili azioni a favore del vivere sociale, c’è una ragione più profonda. Che nasce da un convincimento diffuso in certa imprenditoria, soprattutto italiana direi, e in chi ritiene di doverne salvaguardare gli interessi (alla guida della città di Venezia si identificano nella stessa persona). Ed è questa: chi fa impresa, dalle multinazionali fino al venditore di grano per i piccioni, crea reddito, PIL, posti di lavoro e bisogna fargli tappeti d’oro, costi quel che costi. Il suo profitto, secondo questa mentalità, sarebbe, cosa vuoi, l’ultima cosa. Chi fa impresa serve la società, altroché. Se mi intralci cambiandomi le condizioni per cui faccio impresa non danneggi me, figurarsi, danneggi la società. Buttandola in politica, questo brevemente delineato, di per sé, secondo la schematica vulgata risalente a due secoli fa, sarebbe un teorema prettamente di destra (secondo la vulgata esistono infatti cose di destra e cose di sinistra). Secondo me più che di destra è un’idea anacronistica, che mantiene stupidamente intatto un liberismo primitivo, buono forse ai tempi di Adam Smith, in cui le conseguenze negative delle azioni imprenditoriali erano scarse, anche se cominciavano a manifestarsi con una certa ferocia nello sfruttamento del lavoro.
Chi mi conosce sa che non ho problemi a sposare idee che a parer mio non sono di destra, ma che secondo la vulgata di cui sopra sono attribuite solitamente alla destra. E quindi con la stessa libertà con cui cerco di non farmi condizionare da attribuzioni ideali schematiche, ritengo politicamente utile colpire l’anacronistico liberismo primitivo che, spesso, sta dietro alla finta magnanimità del salvaguardare posti di lavoro sempre e comunque.
Prendendola alla larga, anche se è un tema collaterale ai precedenti, va detto che con una certa fatica si è riusciti a debellare quella comprensibile ma semplificatoria obiezione che ha preparato il terreno al più apparentemente coerente ricatto occupazionale: la tecnologia fa perdere lavoro e occupazione (e quindi stipendi e reddito familiare), perché quello che facevano dieci, con la tecnologia lo fa uno o nessuno. Ricordo al proposito una garbata discussione di molti anni fa in auto con mia sorella, durata però da Venezia a Verona, mica cinque minuti. Superata la barriera di pagamento del ticket autostradale, era sbottata in un’invettiva contro chi aveva abolito il lavoro del casellante con l’automazione, allora da poco introdotta, togliendo uno stipendio a una famiglia. A Verona però l’avevo convinta che l’automazione era ineluttabile e persino utile, magari per diminuire a cascata i tempi della giornata lavorativa. E citavo l’invenzione della ruota, che probabilmente a suo tempo aveva fatto perdere lavoro a un centinaio di uomini destinati a trascinare le loro cose vitali alla sopravvivenza.
Vedo che però questa puerilità si fa di nuovo strada con lo spauracchio dell’intelligenza artificiale, di cui obiettivamente so poco, ma di cui intusco la portata. In effetti l’altro giorno un mio conoscente, che ha un laboratorio di design per fumetti pubblicitari, mi ha fatto vedere un bozzetto, molto carino e mi dice “lo vedi? Con un ‘vocale’ veloce ho dato l’input di ciò volevo al computer e lui in quattro e quattr’otto mi ha prodotto un bozzetto, che fino a ieri mi avrebbe disegnato una persona specializzata in una giornata intera. Quella persona l’ho ancora alla mia dipendenza, ma mi fa, e bene, dell’altro in più che mi serve e che prima non faceva nessuno, con mio danno, essendo scoperto in quel settore di attività. Quindi non ho avuto più la necessità di assumere altri per coprire quel vuoto.” Ora io non so se questa storiella del mio conoscente vada attribuita a un embrione di intelligenza artificiale, magari no – l’ho detto, ci capisco poco – ma rende l’idea ugualmente. Prepariamoci dunque a parare questa nuova fobia, perché invece sottrarre lavoro con la tecnologia, anche estrema, alla lunga e sempre a parer mio dovrebbe essere solo benefico. Se applicato in tempo di pace.
Per concludere, tornando al tema del ricatto occupazionale, che agisce su scelte di valore superiore perché ineliminabili per far fronte a fenomeni ineluttabili, mi riservo però di dire che anche gli altri diritti sanciti dalla nostra Legge Costituzionale corrono a volte il rischio di diventare un dogma assoluto, con le medesime caratteristiche ricattatorie dell’occupazione. Il tema ambientale, per come è usato da alcuni suoi sacerdoti, si presta anch’esso ad essere una religione assoluta, in quanto è tenuto al suo interno indistinto e totalizzante. E nel quale ci sono temi oggettivamente indiscutibili ( e il riscaldamento globale e il cambiamento climatico – l’ho già detto e lo ripeto – lo sono, ma ce ne sono anche altri) e temi puramente di principio, del tutto opinabili.
Ma questa è un’altra storia. Alla prossima.