CENTRISTI, SE CI SIETE BATTETE UN COLPO
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27 Giugno 2022Sono le leggi che trasformano la società e ne costruiscono una più giusta ed uguale, spesso legalizzando comportamenti già consolidati e garantiscono diritti rivendicati all’interno della società. Ma più spesso sono le trasformazioni nella società che impongono la necessità di emanare delle leggi per tutelare i diritti di tutti o di minoranze, di religione, di genere, che comunque esigono di essere garantiti.
Alcune osservazioni in merito sono già state sviluppate in un mio precedente articolo sulla globalizzazione dei diritti umani.
Una prima osservazione sta nella dialettica tra diritti naturali e leggi positive. I diritti naturali sono quelli di cui ogni individuo è titolare fin dalla nascita e trovano la loro legittimazione nel fatto di essere costitutivi della natura stessa dell’uomo (per es. diritto alla vita, alla libertà personale). Il diritto positivo è il diritto vigente in un determinato ambito politico-territoriale, creato ed imposto da uno Stato sovrano mediante norme giuridiche e volto a regolamentare il comportamento dei propri cittadini entro il proprio territorio. Il diritto positivo è, quindi, un prodotto della volontà umana, è un’emanazione del diritto naturale che trae origine o da Dio o dalla natura o dalla ragione. E se il diritto naturale è universale, il diritto positivo, cioè imposto per legge, varia da luogo a luogo in quanto stabilito da una legge emanata da un’autorità superiore e che è valida entro i confini di uno stato. La legge positiva non può e non deve essere contraria alla legge naturale: la legge umana ha vigore di legge, solo in quanto deriva dalla legge di natura. Esistono dunque delle norme universali, “di per sé chiare ed evidenti”, che precederebbero quelle positive e alle quali queste ultime devono conformarsi. Se non è conforme col diritto naturale o non concorda con esso, una legge positiva non può essere valida. A partire dalle leggi sulla pena di morte che contraddicono una legge di natura che è il diritto alla vita e che purtroppo troviamo ancora in tanti stati che si reputano democratici, depositari e garanti dei diritti umani.
I diritti naturali, pertanto, devono essere tutelati da leggi dello stato.
Essi sono il prodotto della civiltà umana in quanto sono diritti storici e, pertanto, mutevoli. Nuove esigenze all’interno della società e la conquista di nuovi valori, la nascita di nuove idee, di nuove istanze o nuovi bisogni fanno sorgere la rivendicazione di nuovi diritti. I diritti umani, seppur dall’essenza universalista, hanno quindi, un’evoluzione legata alle esigenze sociali. Le nuove esigenze impongono l’emanazione di nuove leggi positive, l’affermazione di nuovi diritti anche per minoranze che comunque hanno diritto all’esercizio della loro libertà e all’affermazione della loro dignità. Sappiamo bene che tutte le persone possiedono un’innata dignità umana e hanno uguale titolo di godimento dei diritti umani senza differenze di sesso, razza, colore, lingua, nazionalità, età, classe, ideologia o religione. Inoltre vanno al di là dei diritti del cittadino, in quanto sono universali poiché appartengono tutti all’individuo, sono incentrati sull’individuo in quanto tale, come soggetto titolare dei diritti fondamentali.
Quindi se i diritti naturali sono universali, le leggi positive sono, invece, il prodotto della civiltà umana, una costruzione storica in espansione, tanto è vero che si suole parlare di generazioni di diritti. E se i diritti di prima e seconda generazione riguardano l’uomo tout court ed erano universali, i nuovi diritti di terza e quarta generazione mirano a tutelare i diritti di tutti anche se l’esercizio di essi è richiesto dai singoli fruitori come il fine vita, lo ius soli.
In Europa, la tutela dei diritti civili dei cittadini è stata affermata nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, stipulata a Nizza nel 2000, nella quale si trovano riuniti per la prima volta, in un unico documento, tutti i diritti di cittadinanza europea prima contenuti nelle differenti legislazioni nazionali e nelle convenzioni internazionali.
La Costituzione italiana, a sua volta, si fonda sul principio che garantisce a tutti la tutela dei diritti della persona non come individuo isolato ma inserito in una dimensione di relazioni sociali all’interno delle quali deve sviluppare la propria personalità.
Tutto ciò è premessa necessaria per capire l’imprescindibilità e la cogenza di alcuni diritti che oggi sono sul tavolo della discussione ma, da decenni ormai, faticano a diventare leggi dello stato.
Proviamo a vedere in generale la situazione italiana di quelle leggi che negli anni e nel corso dell’iter parlamentare hanno cambiato anche nome in base alle modifiche e agli emendamenti che sono stati fatti al loro interno e che spesso hanno modificato anche il senso originario della legge. Vediamo le più urgenti che sono anche le più controverse.
- Il Ddl Zan.
- La legge sul fine vita o dell’eutanasia o del suicidio assistito
- Lo ius soli che è diventato lo ius culturae e adesso lo ius scholae.
Il Ddl Zan, “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, mira ad ampliare le tutele in favore di coloro che sono più soggetti ad episodi di violenza e discriminazione: omosessuali, transessuali, donne e disabili. Nella maggior parte d’Europa i crimini d’odio sono estesi a orientamento sessuale e identità di genere. L’Italia è tra pochi Paesi a non avere una legislazione ad hoc: la Norvegia dal 1981, dal ‘95 anche in Spagna ci sono sanzioni, in Francia la prima legge risale al 2003.
Quali ragioni o meglio quali argomenti pretestuosi vengono portati avanti per bloccare queste tutele che, certo non elimineranno il fenomeno, ma potrebbero arginarlo. Attraverso una formazione dei giovani nelle scuole (argomento contestato perché limiterebbe la libertà d’espressione!) dovrebbe diffondere una nuova cultura del rispetto di chi viene considerato diverso e quindi discriminato. Infatti tra gli obiettivi della legge c’è inoltre l’istituzione della «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia», da celebrare il 17 maggio. Proposta che ha visto l’ostruzionismo dei partiti di destra, che in tutto hanno depositato oltre 800 emendamenti perché sono contrari al concetto di identità di genere. E inoltre le scuole private religiose non accettano il fatto che sarebbero “costrette” a celebrare la giornata contro l’omotransfobia. Punto decisamente sensibile per il mondo ecclesiastico. Approvato alla Camera, trasmesso ma poi affossato al senato ha avuto uno stop definitivo.
Ad oggi, per il tema della cittadinanza a stranieri, esiste lo ius sanguinis: se un minore è nato in Italia ma i genitori non sono cittadini italiani, il figlio non può acquistare la cittadinanza italiana e può diventare cittadino italiano solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento ha risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. Di Ius Soli e di come accogliere le persone straniere in Italia facendole diventare o meno cittadine se ne parla almeno dal 1992, anno in cui è stata firmata la legge 91 che stabilisce come una persona emigrata possa diventare cittadina italiana in base a una serie di requisiti. Secondo i dati Istat sarebbe circa mezzo milione il numero di minori che potrebbe ottenere la cittadinanza immediatamente grazie allo Ius soli e invece si trova negato questo diritto. Lo ius culturae è al momento uno scenario inedito nel diritto di cittadinanza in Italia. Si tratta di un istituto giuridico che permette la possibilità di ottenere la cittadinanza ad un minore straniero, nato in un Paese o arrivato entro una certa età, a patto che abbia frequentato regolarmente almeno uno (o più) cicli di studio o dei percorsi di istruzione e formazione professionale. In sostanza, per diventare cittadino bisogna dimostrare di avere un certo livello di “culturae”. Lo “ius culturae”, quindi, non si deve confondere con lo “ius soli”. Nel primo caso, la cittadinanza si ottiene a patto che venga completato un percorso di formazione, mentre nel secondo caso la cittadinanza verrebbe concessa per il solo fatto di essere nato sul territorio italiano, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Una terza proposta è una mediazione tra ius culturae e ius soli “temperato”: prevede che chi è nato in Italia e ha terminato un ciclo di studi nel nostro Paese abbia diritto alla cittadinanza italiana. A questo punto dell’iter legislativo dopo mille proposte e altrettanti emendamenti siamo fermi sullo ius scholae, considerando la formazione scolastica un potente mezzo di inclusione, funzionale a riconoscere la cittadinanza per i minori di origine straniera nati in Italia che abbiano all’attivo un percorso scolastico di almeno 5 anni ma anche per quei ragazzi che sono arrivati da noi prima dei loro 12 anni. Quindi un percorso parlamentare accidentato per cui ogni proposta si è arenata certamente per la ferma opposizione del centrodestra ma anche per la mancanza di coraggio delle forze progressiste che, pur auspicando la riforma, non riescono a portare avanti una proposta realmente avanzata.
E che dire della proposta di legge sul fine vita, o suicidio assistito o eutanasia. E’ stato profondamente modificato rispetto alla versione originaria durante l’esame in commissione a Montecitorio, subendo alcune modifiche anche nel corso delle votazioni. Ma l’asse portante del provvedimento è rimasto immutato: si riconosce la morte volontaria medicalmente assistita, che viene equiparata alla morte naturale. La legge disciplina la facolta’ della persona affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile che cagioni sofferenze fisiche e psicologiche assolutamente intollerabili, di richiedere assistenza medica al fine di porre fine volontariamente ed autonomamente alla propria vita. Si intende per morte volontaria medicalmente assistita il decesso cagionato da un atto autonomo con il quale si pone fine alla propria vita in modo volontario, dignitoso e consapevole della persona tenuta in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente, con il supporto e sotto il controllo del sistema sanitario nazionale. Non è punibile chiunque agevoli o abbia agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria medicalmente assistita di una persona. Il testo sulle “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” riempie una lacuna normativa di grande portata etica e morale. E deve fare i conti con quelli che strumentalizzano il tema sostenendo che dietro il diniego si afferma la cultura della vita contro quella della morte. Ma chi può imporre ad un essere umano di trascinare una vita segnata dal dolore, dalla sofferenza? chi vorrebbe porvi fine viene tenuto in vita solo da macchinari e dall’accanimento terapeutico?
Ma la politica e il parlamento sono in grave e colpevole ritardo, nonostante i pronunciamenti della Corte Costituzionale. E se la società civile è decisamente più avanti e sono presenti gruppi di pressione, la politica annaspa tra condizionamenti da parte del Vaticano, ostruzionismi da parte della nostra destra che sempre più dimostra il suo vero volto conservatore che “vuole rimanere ancorata a come eravamo. Qui c’è tutta la differenza tra sinistra e destra e noi dobbiamo dimostrarla con un forte impegno sui valori” (E.Letta). Ma vorrei sottolineare, anche, la timidezza dell’impegno e lo scarso coraggio di una sinistra sempre troppo cauta e attenta a mediare e a non fare scelte troppo forti e radicali. Tra la politica e la società civile sembra esserci uno scollamento non più tollerabile.
Ma c’è carattere d’urgenza. E’ ora che il paese legale, cioè la politica, cammini in parallelo al paese reale, che la politica dia risposte certe e immediate alle esigenze e alle pressioni che vengono dal basso.
Quanti Mario attendono questa legge? Quanti Mohamed sono in attesa della cittadinanza? Quanti Cloe devono morire prima che si emani una legge contro le discriminazioni o i crimini d’odio?