La Grande Offensiva
23 Ottobre 2023CONO DI LUCE La vicenda letteraria di John Fante nelle riflessioni di Emanuele Pettener
23 Ottobre 2023“Divorzio in un solo giorno, c’è l’OK della Cassazione” – così abbiamo letto la settimana scorsa
sulle principali testate giornalistiche e questo stesso messaggio hanno amplificato tutti i
telegiornali, all’uscita, il 16 ottobre, della sentenza di Cassazione, numero 28727.
Diciamo subito che non è così, ma è anche vero che, in effetti, la Cassazione ha detto qualcosa di
importante e nuovo. Cerchiamo di fare chiarezza.
Iniziamo spiegando com’è l’iter: il “divorzio” (più precisamente, si chiama “scioglimento” per il
matrimonio civile e “cessazione degli effetti civili” per il matrimonio concordatario), può essere
chiesto, tralasciando fattispecie minori, se i coniugi sono stati separati per un certo lasso
temporale. Inizialmente il periodo di separazione doveva essere durato almeno 5 anni, poi 3, infine
ora, 6 mesi per i casi di procedimenti consensuali (in cui le parti sono d’accordo sia di separarsi,
sia a quali condizioni farlo) o 1 anno per il caso di procedimenti giudiziali (dove cioè le parti non si
mettono d’accordo ma è un Giudice a stabilire d’imperio la separazione e le sue condizioni).
La data da cui far decorrere il conteggio del periodo è quella in cui i coniugi compaiono avanti al
Tribunale, che li autorizza a vivere separati.
Cosa è cambiato, ora, rispetto a questo impianto normativo?
NIENTE.
Per divorziare, anche ora, i coniugi devono essere rimasti separati – cioè non devono essersi
riconciliati – per 6 mesi nei casi di separazione consensuale e per 1 anno nei casi di separazione
giudiziale; dopo tale periodo, decorrente come detto dalla data di prima comparizione davanti al
Tribunale, possono chiedere il divorzio.
Ma, in effetti, qualche novità come detto c’è. La novità principale è stata introdotta dalla c.d. riforma
Cartabia (entrata in vigore nel 2023, in vari momenti), che, in punto procedura, ha apportato
un’innovazione: ha previsto, cioè, che nelle procedure di separazione giudiziale, le parti possano
già chiedere che – decorso il periodo di legge – il Tribunale in automatico pronunci anche il
divorzio, alle condizioni che ciascuna parte indica come proprie conclusioni e su cui il tribunale,
appunto, dovrà decidere.
Quindi, la riforma Cartabia, lungi dall’abolire il periodo obbligatorio di separazione, consente solo –
a chi depositi un ricorso per separazione giudiziale – di dire già al Tribunale che condizioni
vengono proposte per il successivo divorzio, chiedendo che, decorsi i termini di legge, il Tribunale
esamini anche questa seconda domanda (appunto, di “chiusura” definitiva del matrimonio, che
invece durante la separazione rimane “vivo ma quiescente”).
Cosa ha detto, ora, la Cassazione, di tanto innovativo, dunque?
La Cassazione ha sanato una falla (strano, vedasi il mio articolo su questa stessa testata…) della
riforma. Ha cioè indicato come la procedura unitaria che propone sia la domanda di separazione
che la domanda di divorzio sia ammissibile anche per i ricorsi consensuali.
Spiego meglio: la Cartabia aveva previsto tale possibilità solo per i ricorsi in cui le parti litigano,
non prevedendolo invece nei ricorsi in cui le parti concordano su tutto. Il che, a pensarci bene, oltre
ad essere una falla di sistema, è anche ben strano.
Perché mai dovrei consentire in un ricorso dove le parti dissentono su tutto e deve decidere un
Giudice, che le parti avanzino domande anche per il successivo divorzio, ipotizzando e ipotecando
il futuro; e non posso invece consentire una regolamentazione volontaria, anche ora (in separazione) per allora (divorzio) a due coniugi che stanno già trovando un’intesa su tutto il loro assetto familiare?
Onestamente, era un bug incomprensibile a chiunque pratichi la materia. E la Cassazione – per
fortuna – ci ha messo una pezza.
Che vantaggi ne hanno i cittadini? Beh, evitano lo stress di ridiscutere ogni questione dopo pochi
mesi dalla separazione; nel migliore dei casi, delineano già uno scenario complessivo, senza che
nessuno dei due cambi idea nel frattempo. E, non ultimo, vanno dall’avvocato una volta sola…
Insomma, una semplificazione.
Semplificazione che, poi, non fa che sottolineare una domanda: ha ancora senso, il periodo di
separazione? Se i coniugi possono già proporre (consensualmente o giudizialmente) la loro
domanda sul divorzio e se tra i due eventi – separazione e divorzio – trascorrono pochi mesi,
perché non pensare a una riforma più coerente, ed abolire del tutto la fase della separazione? Chi
va dall’avvocato, chi va in Tribunale, ha già deciso che il matrimonio è concluso. Non è
un’ipocrisia, dare ai coniugi questo “tempo di prova”, che altro non è che un’inutile attesa della
parola fine?
Questo apre un tema ancora più ampio, e che mi sta molto a cuore: la necessità di una riforma
complessiva del diritto di famiglia e delle norme relative ai rapporti giuridici familiari in senso lato
(ci aggiungo anche la porzione relativa ai diritti successori), norme che, nel nostro impianto,
risentono ancora dell’impostazione sociale e culturale di un codice che si è formato negli anni
quaranta, con una innovazione importante in diritto di famiglia negli anni settanta, ma che viene –
ora – riformato a piccolissimi passi e comunque a passi di tartaruga.
Capisco che vi sono argomenti, all’onore della cronaca e all’esame della politica, che certamente ci
appaiono più pressanti ed urgenti di questo.
Eppure, nella nostra vita, di cittadini comuni, le vicende che riguardano la famiglia, la NOSTRA
famiglia, sono quelle che, insieme alle vicende lavorative, hanno un impatto più significativo e,
talvolta, purtroppo, dirompente.
Raramente saremo coinvolti in fatti di sangue, di criminalità organizzata o in grandi vicende
societarie, mentre ognuno di noi è passato attraverso un qualche evento di natura familiare, che si
tratti di una separazione – magari non propria ma di un parente o amico; di una successione –
magari con liti tra fratelli; di una convivenza finita male, con le conseguenze patrimoniali del caso
(“avevamo comprato casa insieme, e ora, il mutuo?”) e la necessità di provvedere all’affido dei figli.
O la spartizione dell’eredità tra i figli di primo letto e il nuovo coniuge.
Insomma, per fare due esempi, anche provocatori ma certamente significativi: perché non
prevedere la possibilità di contratti prematrimoniali, che escludano i lunghi contenziosi successivi
al momento della crisi coniugale? Perché non ammorbidire le prescrizioni sull’obbligo di destinare
pressochè l’intero proprio patrimonio, alla propria morte, obbligatoriamente, a coniuge e figli (e
pressochè in pari misura tra questi), qualunque siano stati i rapporti intercorrenti tra questi e il
defunto?
Non si tratta di voler colpire parti sociali deboli, non si tratta di lasciare senza tutela le famiglie: si
tratta di consentire una ragionevole libertà, alle persone, libertà di determinare le proprie scelte,
anche familiari, anche da un punto di vista economico. La famiglia presa a riferimento dal
legislatore, quando ha posto quelle norme, non esiste più: sarebbe il caso di prenderne atto e non
a colpi di sentenze di Cassazione